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SANAPURCIELLE

Era colui che castrava i maiali per renderli più grassi e con la carne più delicata. Un riferimento al sanaporcelle si trova nel "CRISTO SI E' FERMATO A EBOLI" di Carlo Levi.

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SBALDONE

Contenitore di stagno di varie dimensioni utilizzato solitamente per la conservazione dell'olio o del miele.

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SBAUTTITE

Spaventato. Modi di dire: "piere na allina sbauttite" (sembri una gallina spaventata).

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SBRIDINATE

Sbeccato, scheggiato. È solitamente riferito a recipienti di coccio, ceramica o vetro.
La ricerca etimologica del termine è stata piuttosto complessa. Per formulare qualche ipotesi plausibile si è addirittura dovuti risalire al dialetto sardo (provincia di Nuoro) dove con il termine "bridina" ci si riferisce all'invetriata (cosa chiusa da vetri, lucida come vetro) e sbridinate vuole quindi indicare qualcosa non più liscia. Se tale ipotesi è corretta, resta da stabilire come sia possibile che un termine sardo sia giunto fino in Abruzzo. Modi di dire:

"M'ha date da veve lu cafè dentre a 'na tazze tutta sbridinate" (mi ha dato da bere il caffé in una tazza tutta sbeccata).

SCALLICCHIJETE

Aperto, spalancato, ma riferito soprattutto a parti anatomiche. Una porta spalancata, infatti, si dice che è “spalijete”. Termine derivante probabilmente dalla parola calle (latino: callem), definita come “sentiero stretto e aspro sopra alture e monti”, a cui è stato aggiunto il prefisso “s” per indicarne il contrario.
Sta quindi a indicare qualcosa di stretto, ma che viene aperto in maniera più o meno forzata. Se quest’ultima frase vi sembra un po’ ambigua…avete ragione a essere maliziosi: spesso il riferimento è proprio quello cui avete pensato. È anche vero però che con la frase “Te nu callicchie!” ci si riferiva a chi, parlando, urlava troppo e con voce stridula.

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SCALTRICCIJÈ

Razzolare. Termine derivante dall’italiano scaltrire che a sua volta ha radici nel latino scalpturire (lavorato, ridotto col lavoro). La parola, oltre ad essere utilizzata in riferimento al raspare del terreno tipico dei polli, è anche usata per indicare il gesto del rovistare in un luogo o il cercare tra più cose. Modi di dire:

"Và scaltriccijenne gnè ‘na ‘alline" (va rovistando come una gallina).

SCACCAMARRONE

Scarabocchio incomprensibile. Non esiste un corrispettivo termine italiano e la parola dialettale è ormai quasi del tutto in disuso. È per questo motivo che è piuttosto difficile formulare un'ipotesi sulla sua origine tranne quella che derivi dall'unione delle due parole italiane "cacca" e "marrone" proprio ad indicare qualcosa di sicuramente poco avvicinabile e d'inguardabile come sono appunto gli escrementi. Il termine è pervenuto fino a noi per via di alcuni aneddoti raccontati dalle persone più anziane del nostro paese. Modi di dire:

"Aveva scrive 'na lettere, ma ha fatte solamente ddu scaccamarrune" (doveva scrivere una lettera, ma ha fatto soltanto due scarabocchi);
"ci sta la firme di lu sicritarie, ma è nu scaccamarrone e nin zi capisce niente" (c'è la firma del segretario, ma è uno scarabocchio e non si capisce nulla).
     
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SCARAFUOCCHIE

Buco di piccole o medie dimensioni dai contorni imprecisi come quelli provocati, ad esempio, dal maleppeggio. La parola dialettale è anche usata per indicare un buco tra due rocce.
Il termine deriva probabilmente dall’italiano scarabocchio che il dizionario etimologico definisce “macchia d’inchiostro fatta scrivendo che pare uno scarabeo sulla carta”.
Ricordiamo che il maleppeggio è un piccolo piccone in acciaio, usato in edilizia, forgiato e stampato, di circa 25 centimetri di lunghezza e di 400/500 grammi di peso.
Modi di dire:

"Mmiezze a chille ddu cantune ci stave gnè nu scarafuocchie" (in mezzo a quei due massi c’era come un buco);
"eja truvà ddu prete p’atturuà nu scarafuocchie a la stalle" (devo trovare delle pietre per chiudere un buco nella stalla).
     
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SCARDAPUZZE

In senso generico, pianta volgare senza alcuna utilità. Più esattamente il termine indica una specifica pianta selvatica il cui fiore, a forma di "piattino da caffè", è costituito da un insieme di piccole infiorescenze bianche e reca al centro minuscoli pistilli neri e rotondi: si tratta del Cirsium arvense delle Composite (in italiano "scardaccione"). Pur conservando intatta la radice del termine italiano, è presumibile che la seconda parte della parola dialettale alluda allo sgradevole odore del fiore.

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SCARDAVONE

Calabrone. Parola usata alcune volte impropriamente anche per identificare lo scarafaggio. Esempio classico è "lu scardavone appallotta cacate" che letteralmente vuol dire: lo scarafaggio che appallottola la cacca (stercoraro).

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SCARISCIJETE

Graffiato. È riferito a recipienti di coccio.
Termine derivante dal dialetto della provincia de L'Aquila dove con il vocabolo "sgarisciato" ci si riferisce al maggese eseguito in maniera non corretta o comunque ad un terreno con solchi irregolari (alcuni profondi ed altri più superficiali).
Ricordiamo che il maggese è la parte di un campo lasciato a riposo per un anno per consentire la ricostituzione del terreno ed il suo arricchimento con i sali minerali sottratti con la coltivazione.
Durante questo periodo di riposo il terreno è regolarmente lavorato per tenerlo pulito da erbe infestanti.
Tali lavorazioni (arature), nel numero di quattro, si susseguono, distanziate di circa 45 giorni, da marzo fino ad agosto ed hanno profondità variabile: molto leggera l'ultima e più profonde invece la prima e la terza.
Molto più redditizia è la sostituzione del maggese con la coltivazione foraggiera (che produce mangime per il bestiame), infatti, tali piante sono azotofissatrici e fertilizzano il terreno.
Il termine maggese deriva, ovviamente, dal latino Maius (di maggio). Era, infatti, in quel mese che in epoca medievale si era soliti dissodare il campo. Modi di dire:

"Tineve nu bielle sirvizie di tazze ancore di la dodde, ma mi z'è rotte tutte quante. Mi n'è rimaste sole une, ma è tutta scariscijete" (avevo un bel servizio di tazze ancora della dote, ma mi si sono rotte tutte. Me n'è restata soltanto una, ma è tutta graffiata).

     
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SCERTE

Serto, ghirlanda. Locuzione derivante dal latino sertum (da serere, intrecciare, legare insieme, connettere) ed il termine dialettale è, in questo caso, molto simile a quello italiano. Il vocabolo è particolarmente noto nel nostro paese perché c'era l'usanza, ormai purtroppo scomparsa, di creare le famose "scerte" formate da cipolle, da agli, ma soprattutto da granturchi e di appenderle fuori dai balconi per farli essiccare. Modi di dire:

"So fatte 'na scerte di grandinije" (ho fatto un serto di granturco);
"Pìglieme n'uàglie da la scerte chi sta' arrete a la porte" (prendimi un aglio dal serto che si trova dietro alla porta).
     
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SCIGLITURE

Il termine deriva chiaramente dal termine italiano scegliere e dal vocabolo "tecnico" sceglitura, cioè l'atto di dividere del materiale. Si parla appunto di "sceglitura" dei fiori nel caso della processione del Corpus Domini, ma lo stesso termine lo troviamo anche nella lavorazione della canapa. Nel nostro dialetto la locuzione è solitamente utilizzata per indicare una persona molto magra con chiaro riferimento alla parte più sottile del materiale che si sta trattando. Modi di dire:

"Zè fatte gnè 'na scigliture" (è diventato come una sceglitura, è molto magro).

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SCILITE

Insipido. Termine usato in sostituzione della frase “è ‘na ‘nzegne dulce di sale” (è un tantino dolce di sale) e derivante chiaramente dall’italiano scipito che nel dizionario etimologico è così spiegato: da scìpido, forma secondaria di sciàpido. È anche detto di persona senza senno o inconcludente. Modi di dire:

Creca so’ fatte lu suche scilite (credo di aver fatto il sugo insipido);
chi ti ni vuò fa’: è nu scilite! (cosa vuoi mai fartene: è una persona insipida!)

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SCINIRE

Si tratta di una cosiddetta "mmallizzone" (maledizione) o "sintienze" (letteralmente sentenzia). È la contrazione delle parole "sii nero" vale a dire "che tu possa essere (vestito) di nero", ossia "che possa capitarti un lutto in famiglia". È, come si può notare, un anatema gravissimo che però è usato nel nostro paese in maniera talmente superficiale da essere diventato quasi d'uso corrente. Il termine è ovviamente applicato sia al maschile (scinire) che al femminile (scinere) e, in alcuni casi, indirizzata anche ad oggetti o animali. Modi di dire:

"Gnè brutte, scinire!" (quanto è brutto, scinire!);
"La 'alline, scinere, m'è jute a fita' dafore!" (la gallina, scinere, ha fatto l'uovo fuori dal nido!)

 

   
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SCIONNE

Culla. Termine utilizzato anche per indicare il sonno dei neonati. Deriva dal termine arcaico scionnare, che sta per svegliare e quindi contrapposto ad assonnare. A sua volta scionnare proviene da una forma latina, ex-somnare: da ex (particella privativa) e somnare (da somnus, sonno).
Il termine scionna quindi, anche se etimologicamente dovrebbe indicare il contrario di dormire, è in questo caso utilizzato proprio per indicare il sonno o l'oggetto utilizzato per dormire. Ricordiamo inoltre che la culla, nel nostro paese, è anche genericamente chiamata "cùnele". Modi di dire:
 
"Mitte lu citre dentre a la scionne" (metti il bambino a dormire nella culla);
"Scionna scionna, a lu citre miè!" (dormi dormi, al mio bambino!) Frase rivolta solitamente dalle mamme ai loro piccoli nel momento di porli a dormire.

 

   
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SCRETTE

Fenditura, spacco. Derivante, con molta probabilità, dal termine “crettare” che il dizionario etimologico così descrive: “Spagnolo grietar; portoghese gretar: dal latino crepitare, intensivo di crepare scricchiolare onde il senso di fendersi. Spaccarsi leggermente….ed anche delle mani e delle labbra pel freddo”
Nel nostro dialetto il termine è utilizzato soprattutto in riferimento alle fenditure del terreno dovute alla siccità o alle screpolature delle mani provocate dal freddo (come, appunto, sopra esposto dal dizionario etimologico).
Modi di dire:
 
"Tante lu fridde, ma fatte li scrette a li miene!" ( fa talmente freddo che mi si sono riempite le mani di screpolature );
"la terre è chiene di scrette: z’è arrinnute pi la secche" (il terreno è pieno di fenditure: si è arreso alla siccità).

 

   
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SCRICCUÒGLIE

Seme dell’uva, chiamato anche vinacciolo. L’etimologia del termine, oltre che di tipo onomatopeico (il rumore prodotto da tale seme se masticato) va probabilmente ricercato anche come derivazione della parola scrìcciolo (piccolo volatile detto anche Foramacchia).
È uso comune utilizzare quest’ultimo termine per indicare appunto qualcosa di piccolo (ad esempio: uno scricciolo d’uomo).
La stessa parola scrìcciolo deriva dal verso che tale uccello emette (cric) e che riporta nuovamente al rumore emesso dal vinacciolo quando è schiacciato con i denti.

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SCIARABBALLE

Carrozza per trasportare viaggiatori in lunghi tragitti. È un termine decisamente desueto che veniva spesso usato anche in senso ironico per ridicolizzare un improvvisato mezzo di trasporto dalla dubbia affidabilità. Tuttavia, verso i primi anni del '900, a Fallo esisteva uno "sciarabballe" di tutto rispetto: era la carrozza che Raffaele di Mariscialle usava per trasportare i viaggiatori a Napoli. Altro che metropolitana ed aerei supersonici! Ironia a parte, il termine dialettale deriva dall'espressione francese "char à banc" (carro con i banchi - per sedersi -) con la quale veniva indicata una sorta di "diligenza" per il trasporto di passeggeri.

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SCRUPPIONE

Pipistrello. Modi di dire: "viè girenne di notte gnè nu scruppione" (vai in giro di notte come un pipistrello).

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SCUACCIAMURIÉCHELE

Letteralmente: schiaccia more. Arnese formato da due canne una dentro l'altra. A quella esterna, più larga, era praticato un foro nella parte terminale. Le more erano poste all'interno della canna più grande e, con quella più piccola, venivano schiacciate. Il succo, che fuoriusciva dal foro posto all'estremità, era raccolto in un bicchiere o succhiato direttamente dalla canna.

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SCUGNÀ
SCUGNATE

Togliere la "cogne" (vedere vocabolario), sgusciato. Nella maggior parte dei casi in riferimento alle uova dei volatili, ma anche con altri usi (vedi "modi di dire" in calce). Nel periodo della cova delle chiocce si attendeva il ventunesimo giorno perché le uova "scognassero" (si aprissero per dare alla luce i pulcini). È interessante ricordare che i più piccini attendevano questo evento con particolare eccitazione sia perché avevano modo di maneggiare i pulcini, sia perché era concesso loro (sotto la supervisione degli adulti) di favorire la schiusa levando con le mani i pezzetti di guscio già incrinati in quanto giunti a "maturazione". Modi di dire:

"Sacce nu nite di cardille ma ancòre nni scogne" (ho scoperto un nido di cardellini ma ancora non si sono schiuse le uova);
"z'avessa scugniè li fasciuole pi massére " (si dovrebbero sgusciare i fagioli per - la cena di - stasera).
     
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SCUMMÒNICHE

Probabilmente sta per scomunica. Il termine è usato generalmente in senso dispregiativo o esclamativo verso qualcosa che ci contraria, sia essa persona, animale o cosa. L’esclamazione “ssa scummòniche” (codesta cosa scomunicata) è ormai caduta in disuso, ma fino a qualche tempo fa, nel nostro paese, era quasi d’impiego comune.

     
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SCUMPITÀ
SCUMPITARE

Non aver voglia di fare qualcosa, essere un tipo pigro. Probabilmente deriva dal latino computàre (contare). Il termine italiano compitare è riferito ai bambini, quando cominciano a leggere, cioè rilevano e mettono insieme le lettere che formano la parola quasi contandole (da qui l'altro termine computare). Dalla stessa etimologia nasce probabilmente la parola compito (mansione, incarico, esercitazione) e quindi "scompitare" (non avere voglia di eseguire un incarico). Modi di dire:

"Zi ni scumpite pure a fàrize a mmagniè" (non ha voglia neppure di prepararsi da mangiare).

SCUNSUOLE

Disgrazia, malasorte. È chiaramente il contrario di consolo (conforto, sostegno). In particolare, il termine italiano consolare deriva dal latino "consolari" (cum = con e solari = confortare). Del resto l'utilizzo della frase "solari famen" (soddisfare la fame) era frequente presso i latini. Anche in questo caso, nel linguaggio corrente del nostro paese il termine è spesso usato come "mallizzone" (maledizione) o "sintienze" (letteralmente sentenzia). Modi di dire:

"So 'vute 'stu scunsuole.! " (mi è capitata questa disgrazia.!);
"Pozz'ave' nu scunsuole! " (che ti possa capitare una disgrazia!)
     
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SCURRETORE

Letteralmente vuol dire scorrimento, ma nel nostro dialetto la parola è utilizzata come termine “medico”. Si dice, infatti, che “La frute ja fatte ‘na scurritore” (la ferita ha provocato uno scorrimento) quando la ferita stessa a causa di un’infiammazione, forma un ematoma di colore violaceo che si estende oltre la lesione assumendo, a volta, una forma allungata.

     
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SFRÌVELE

Piccoli pezzi di carne o pancetta rosolati in padella. Il termina deriva dal latino frivolus (frivolo) avente la stessa radice di fri-are (tritare). Secondo il dizionario etimologico, i latini originariamente, applicarono il termine ai cocci rotti, poi ai discorsi che non reggono ed alle cose di nessun valore: frivole, appunto. Modi di dire:

"So’ misse ddu sfrìvele dentre a ‘na friaove e mi ci so’ accunciate ‘na ‘nzegne di paste" (ho messo dei pezzetti di pancetta in un tegamino e ci ho condito un po’ di pasta).
     
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SGRINIJETE

Con la schiena dolorante. Deriva dal termine dialettale “grine” (reni) a cui è stato aggiunto il prefisso “s” e il suffisso “ijete”. Letteralmente vuol dire senza reni, cioè: il dolore è talmente forte che pare mi abbiano strappato i reni.
Interessante a questo proposito è l’aneddoto “Soluzioni drastiche” narrato nella sezione “Gnà dicette culle” di questo sito in cui, un singolare personaggio nostro compaesano, risolve il problema con un maiale che non voleva mangiare, prendendolo a bastonate e, appunto, sgrinènnele.

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SGRIZZACULE

Cocomero Asinino o Elaterio. Cucurbitacea che vive nelle zone incolte della regione mediterranea. Quando i frutti sono maturi il picciolo si curva a uncino verso il basso e nel loro interno si forma un liquido prodotto dalla degradazione della polpa. Questo liquido determina un aumento della pressione interna per cui, quando è giunto il momento propizio, a maturazione completa, il peduncolo si stacca di colpo dal frutto lasciando un foro, da cui esce a getto il liquido e tutti i semi. Cosa voglia dire letteralmente è abbastanza chiaro.

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SPALIJÈ

Spargere. Probabilmente derivante da spagliare. Nel dizionario etimologico troviamo, per spagliare, la seguente spiegazione: levar la paglia al grano o qualcosa che prima era impagliata. Dicesi anche quando le pecore o per paura o per cibarsi si sparpagliano per la stalla rovistando la paglia. Modi di dire:

"Zè rutte lu sacchitte e tutte la sumente mi zè spalijete ‘n terre" (si è rotto il sacchetto e tutta la semenza mi si è sparsa in terra).
     
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SPARATTRÀPPELE

Cerotto. Da molti considerata una parola tipica del dialetto abruzzese, tale termine deriva, come in altri casi, dall'idioma partenopeo. Ma non solo. In spagnolo lo esparadrapo è la tela adesiva che serve per fissare i bendaggi, mentre in francese con sparadrap si intende proprio il cerotto. Si ignora, ovviamente, tramite quali passaggi il vocabolo sia diventato sparattràppele nel nostro dialetto, ma di sicuro, nel momento in cui fu immesso sul mercato, risolse un bel po' di problemi per quanto riguarda la medicazione delle ferite. Che poi fosse usato anche per eseguire riparazioni di fortuna è tutta un'altra storia.

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SPARIELLE

Ciambella di stoffa ottenuta per lo più arrotolando un grosso fazzoletto. Veniva posta sul capo prima di porvi un peso da trasportare. Serviva sia per riparare la testa che per dare stabilità all'oggetto da trasportare.

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SPASE

Zuppiera, ma anche participio di spanne (stendere). Termine derivante chiaramente dal verbo italiano espandere, cioè stendere. È identica la radice latina il cui participio passato è expansus, composta da ex (fuori di) e pandere (mostrare). In latino troviamo anche la parola spatium (spazio) indicante qualcosa di molto ampio, atto a contenere una grande quantità di qualcosa. Modi di dire:

"So priparate 'na bella spase di sagne" (ho preparato una bella zuppiera di lasagne);
"stave spannenne du' pienne, quanna tutt'inziembre, z'è 'mantate lu sole" (stavo stendendo alcuni panni, quando improvvisamente il sole si è coperto).
     
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SPICANARDE

Rosmarino. Il termine dialettale deriva dall'italiano "spicanardo" (o anche "spiganardo") col quale si indica, in botanica, la spiga della Lavanda. La pianta del Rosmarino sembrerebbe non avere molto a che spartire con quella delicata della Lavanda, ma la somiglianza delle rispettive infiorescenze e la pari persistenza dei loro aromi hanno evidentemente determinato un equivoco nell'utilizzo del termine.

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SPLAPPÀ
SPLAPPATO
 
Aprirsi, fiorire. E' riferito generalmente ai fiori o alle gemme nel momento in cui si aprono in primavera. È un termine onomatopeico che rende chiaramente l'idea di qualcosa che si apre all'improvviso. Deriva probabilmente dal termine italiano "lappare" la cui radice latina è làmbere, vale a dire lambire, proprio come fanno i fiori che, prima di aprirsi del tutto sfiorano il perianzio (la parte esterna dell'involucro fiorale).
Utilizzato anche nei confronti di chi improvvisamente compie un'azione insolita o imprevedibile. Modi di dire:
 
"Li caruòfene sobbre a lu balicone stà splappenne" (i garofani sul balcone stanno per fiorire);
"mò mò splappe! " (sta per fare qualcosa di impensabile!).
     
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SPOGLIACRISCTE

Salsapariglia (nome scientifico: Smilax aspera L.). E’ una pianta lianosa con foglie a forma di cuore e dalle spine acutissime. Cresce spontaneamente nei boschi e nelle macchie. I suoi frutti sono bacche rosse riunite in grappoli. In molte parti d’Italia, per ovvi motivi, è conosciuta come “stracciabraghe”. Per altrettanti ovvi motivi nel nostro paese ha assunto il nome di “spogliacriscte” (letteralmente: spoglia Cristo”.
Curiosità: la salsapariglia o, nel nostro caso, “lu spogliacriscte” è il cibo prediletto dei Puffi. Ovviamente, chi ha dato il nome dialettale alla pianta, quest’ultima cosa, non la sapeva.

     
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SPONTAPETE

Non esiste un preciso corrispettivo nella lingua italiana: il termine viene usato per indicare un "inciampo" nel camminare ed a seguito del quale si rischia una caduta o una storta; più precisamente indica l'incunearsi della punta del piede in un ostacolo, una crepa o sotto una pietra non vista. Modi di dire:

"Sò pigliete nu spontapete e mi ni sò iute a musse nniente.!" (ho preso un inciampo e sono andato giù di muso).

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SPRANZONE

Spranzone. Persona scansafatiche e sempre a spasso. È chiaramente un accrescitivo del termine speranza (in dialetto, spranze), ma l’individuo in questione, a discapito dell’appellativo impostogli, non spera assolutamente in nulla e trascorre la propria vita in perfetto immobilismo tranne che per il soddisfacimento dei suoi bisogni primari.
La traduzione corretta della parola potrebbe essere zuzzurellone. Modi di dire:

"ariviè a la case mmece di i girenne gnè nu spranzone" (torna a casa invece di andare in giro come uno scansafatiche).

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SQUÀCCHIE

La distanza che intercorre tra il pollice e l’indice distesi nella massima lunghezza.
Deriva dall’italiano scacchiare privare cioè una pianta dei cacchi (i germogli falsi o soverchi), per favorire lo sviluppo di quelli fruttiferi. In tale azione detti germogli non vengono tagliati, ma sono staccati tirandoli verso l’esterno del fusto.
È un termine ormai quasi in disuso, ma molto utilizzato nei tempi in cui si “jucuave a lisce” (gioco succedaneo delle bocce) dove la distanza tra il cosiddetto “palline” e l’ipotetica boccia si misurava a palmi, dita e, appunto, a “squacchie”.

     
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STANNARE
 
Nel nostro dialetto il termine è utilizzato per indicare l'atto di sfoltire le viti togliendo qualche tralcio o qualche foglia, sia per far prendere ancora un po' di sole all'uva, sia per facilitare il lavoro dei vendemmiatori.
La locuzione, potrebbe derivare dal tannino, composto polifenolico presente sia nelle cortecce delle piante vascolari ed utilizzato nei tempi passati per la concia delle pelli, sia nell'uva e, di conseguenza, nel vino. Stannare potrebbe quindi indicare l'atto di privare la pianta di una parte dei suoi produttori di tannino. Modi di dire:
 
"Dumane matine eja i' a stannà la vigne" (domani mattina devo andare a "sfoltire" la vigna).
     
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STÌGLIE
 
Pagliaio. Ormai quasi completamente scomparso dalle nostre campagne, “lu stiglie” era il tipico pagliaio “all’aperto” caratterizzato da un bastone centrale intorno al quale era accumulata la paglia.
Il termine deriva probabilmente dall’italiano stigliare che nel dizionario etimologico è così definito: da tiglio nel senso di fibra d’albero. Separare con le mani i fili del lino e della canapa dai fusti.
Un episodio legato a questo tipo di pagliaio accadde molti anni fa nel nostro paese. Un noto personaggio di Fallo possedeva un pezzo di terra a Colle Rosso e su di esso aveva appunto allestito un pagliaio. Un giorno, per ripulire il terreno, il nostro decise di dare fuoco alle stoppie, ma perse il controllo della situazione e le fiamme avvolsero anche “lu stiglie”. Le urla della responsabile del gesto (perché si trattava di una donna) giunsero fino al paese insieme al calore, al fumo ed alla puzza di bruciato. Inutile furono i tentativi di spegnere quel gran falò ed i pochi coraggiosi riuscirono soltanto a circoscrivere l’incendio per evitare che causasse danni peggiori.
Di “lu stiglie” rimase soltanto un bel mucchio di cenere e, ovviamente, il ricordo dell’episodio di cui ogni tanto ancora qualcuno parla.

     
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STINNICCHIJETE
 
Steso, rigido. Deriva dall’altro termine dialettale “stenne” (stendere, nel senso di allungare), da non confondere con il sinonimo “spanne” il cui corrispettivo italiano è spandere.
Infatti, un oggetto si “stenne”, la biancheria invece si “spanne”.
La parola in esame si associa quindi ad un senso di rigidità di un corpo: “è muorte e stinnicchiete” (è morto ed irrigidito) oppure, quando il freddo faceva gelare i panni stesi “fa lu fridde! so ritiriete cierte pienne stinnicchijete!“ (fa freddo! Ho ritirato certi panni irrigiditi!)

     
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STRUPPIJETE
 
Storpiato. Il termine è usato in maniera figurata per indicare una situazione di grande stanchezza fisica. Come dire: sono talmente stanco che cammino come uno storpio. Solitamente si sentiva “struppijete” chi tornava a casa dopo una lunga ed intensa giornata di lavoro nei campi.
     
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STUACCHE
 
Stuacche o staccarielle. Ciuchino, piccolo somaro. Interessante è l’etimologia della parola, derivante dal termine staccone, maschile di stacca a sua volta riferito solitamente a ragazza bella ed alta (detta anche stanga) e, per ampliamento, a cavalla che ha partorito.
La stessa voce stacca deriva dallo spagnolo e dal portoghese estaca: pezzo di legno a foggia di piedistallo posta per lungo, entro il quale s’infigge l’asta delle insegne e delle bandiere. Con lo stesso nome ci si riferisce anche a un’asta di ferro infisso nel muro terminante con un anello di ferro entro cui si fa passare l’asta dell’insegna.
Nella rubrica “Modi di dire” di questo sito è già inserita la frase :
"Chi fa lu stuacche? Chiene chiene addivente uàsine!" (cosa fa il ciuchino? Pian piano diventa somaro!).
     
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STÙPPELE
 
Pezzo di sterco sodo e rotondo, quello che, in italiano, viene chiamato volgarmente stronzo.
Deriva probabilmente dalla parola stoppaccio che il dizionario etimologico così definisce: stoppa o altra somigliante materia che si mette nella canna del fucile, acciò la polvere e la munizione vi stia dentro calcata.
Direi che come forma ci siamo.
     
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SÙBBELE
 
Lesina da calzolaio. Il termine deriva dall’italiano subbia che è, appunto, sinonimo di lesina. Nel nostro paese ce n’era una in quasi ogni casa. La lesina, infatti, era un utensile utilizzato spesso o per riparare da soli le calzature o per praticare fori sulle cinghie dei finimenti delle bestie da soma. Si evitava in questo modo, soprattutto nel primo caso, di dover ricorrere al calzolaio e doverlo poi pagare per il suo lavoro.

     
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SUOCCE
 
Mezzadro, socio, ma anche pari inteso come livellato. Il termine deriva dal latino socius (compagno) e nel nostro paese era usato per indicare, appunto, un colono che, coltivato un fondo, ne divideva poi i prodotti e gli utili con il proprietario.
La parola era inoltre usata come aggettivo per indicare qualcosa di fitto. Esempio: chiove suocce suocce (piove fitto fitto, pari pari).

     
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