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CACAVIESCE
Rosa canina. Rosa selvatica che fiorisce tra le siepi e i rovi da maggio a luglio.
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CACCIUNILLE
Cucciolo, cuccioletto. Il vocabolo dialettale, come del resto quello italiano, deriva dal termine arcaico "cuccio" (al femminile "cuccia") col quale si indicava il piccolo, ancora inesperto, dei cànidi, dei felini, delle scimmie e particolarmente del cane domestico (è in quest'ultima accezione che il termine viene ancora oggi usato). Chiamò tre volte la sua cuccia (Parini, da "La vergine cuccia"). Molto raramente, nell'uso dialettale, il termine viene ad indicare una persona giovane, inesperta. Modi di dire: "Lu citre pazzieve nchi li cacciunille" (il bambino giocava con i cuccioli).
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CALLARE
Caldaia. Contenitore di rame fondo e rotondo utilizzato per la bollitura di grosse quantità di liquidi. Capacità massima due ettolitri (ddu salme).
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CAMIGLIERE
Cavigliera. Nel linguaggio corrente è un oggetto d'oro, d'argento o di altro metallo semiprezioso che s'indossa alla caviglia (da cui il nome). È di origine mediorientale ed è molto usato dalle ballerine durante la danza del ventre. Produce un suono caratteristico che accompagna i movimenti delle danzatrici. In occidente è usato soltanto per una funzione estetica quando si vuole mettere in risalto una caviglia particolarmente sottile.
Nel nostro paese come probabilmente in tutto l'Abruzzo tale oggetto aveva, fino almeno a quando il maiale si allevava e si uccideva in casa, una funzione tutt'altro che ornamentale. La "camigliere" infatti, agganciata alle zampe posteriori dell’animale ucciso, serviva per appenderlo a testa in giù.
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CANNARINE
Gola. Termine derivante dal partenopeo in cui con la parola “canna” o “cannarone” ci si riferisce proprio alla gola. Più raro, ma comunque usato, è il vocabolo “cannarino” da cui deriva appunto la nostra forma dialettale.
Particolarmente interessante è l’uso che, nei modi di dire, viene fatto sia del termine “cannarine” vero e proprio sia della parola “canna” preceduta dalla lettera “n” (‘ncanne). Di seguito se ne riportano alcuni esempi.
La crone di lu cannarine!
Maledizione alla gola!
Rivolto sia ai golosi sia a chi non smette mai di accumulare denaro.
Ja misse la foche ‘ncanne!
Lo ha preso per la gola!
È inteso sia in senso fisico, per esempio durante una discussione, sia in senso figurato, quando si costringe qualcuno a scegliere soluzioni per lui poco vantaggiose.
Mò mi mette la foche ‘ncanne!
Ora mi uccido strangolandomi!
Espressione usata generalmente quando si vuole sottolineare la propria disperazione in una situazione di grande disagio.
Solitamente, come in ogni sceneggiata che si rispetti, si fa seguire la frase portandosi le mani alla gola e, stringendola con forza, si emette anche qualche rantolo.
Si suppone, infine, che la parola “foche”, non sia altro che la traduzione dialettale del vocabolo forca inteso come strumento da lavoro usato per ammucchiare la paglia.
Tale strumento, nella versione artigianale, era ricavato dal ramo di un albero di circa un metro e mezzo in cima al quale due rami formavano i rebbi. Nel nostro caso il pollice e l’indice delle mani che stringono la gola sono appunto i rebbi della forca.
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CANTAMESSE
Mantide religiosa (Mantis religiosa). Conosciutissimo insetto dell’ordine Mantodea, è così chiamato nella forma dialettale per lo stesso motivo per cui è denominata “religiosa” in italiano: a causa della posizione assunta quando attende la preda, con le zampe tese in avanti.
Modi di dire:
"Z'è vistute di verde gnè 'na cantamesse" (si è vestito di verde come una mantide religiosa);
"tè la cocce gnè 'na catamesse" (ha la testa che somiglia a quella di una mantide religiosa: dalla forma triangolare e con gli occhi sporgenti).
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CANTONE
Grosso masso. Derivante dal “canton” francese, portoghese e spagnolo, il termine, è nel suo significato originale, utilizzato, come del resto in italiano, per indicare un angolo o un luogo.
Il dizionario etimologico però definisce la parola come “Sasso grande. Detto così per i grossi canti o per essere atto a far da cantonata”.
Modi di dire:
"So’ pusate lu caniestre sobbra a nu cantone e mi so’ assittate" (ho posato il canestro sopra un masso e mi sono seduto);
"Mi so’ appujete a nu cantone e mi so magniete co cusarelle" (mi sono appoggiato ad un masso ed ho mangiato qualcosa).
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CAPACURNETTE
Suonatore di tromba che fungeva anche da direttore d’orchestra. Era notissima, in tempi non proprio recenti, “la Bande di lu Monte” (Montelapiano). La banda, formata soltanto da quattro elementi, nella festa del Patrono girava per il paese, diretta appunto, dal capacurnette che i bambini individuavano come personaggio importante e che quindi ascoltavano con maggior interesse rispetto agli altri musicisti.
In tempi successivi la festa del Patrono si arricchì con bande provenienti da varie località ed era motivo di vanto anche nei paesi limitrofi ospitare, in occasione delle feste patronali, le bande “prime e seconde di lu Monte, Bonanotte e di la Penne” (prima e seconda banda di Montelapiano, di Buonanotte, ora Montebello sul Sangro, e di Pennadomo).
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CAPISCHIELE
Pianerottolo, ballatoio. Letteralmente: capo delle scale, in cima alle scale.
Modi di dire:
"Mi so’ dovute firmà sobbre a lu capischiele p’aripusàreme, ca mi mancave lu fluate" (mi sono dovuto fermare in cima alle scale per riposarmi, ché mi mancava il respiro);
"leve sa rrobbe da soobbre a lu capischiele, sinnò nin ci passe" (togli codesta roba dal ballatoio, altrimenti non riesco a passare).
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CAROCCHIE
Colpo assestato al capo con le nocche maggiori delle dita serrate a pugno. L’esperto consiglia: per una maggiore efficacia si suggerisce di far seguire al colpo una leggera rotazione del polso senza staccare le nocche dal capo. La “carocchie” era molto usata come incentivo allo studio sia in ambito famigliare che scolastico. Quale migliore stimolo, infatti, per uno studente un po’ restio nell’apprendimento del leggere o dello scrivere, se non quello di colpirlo con le nocche sulla testa ad ogni errore? Pare, appunto, che i geni siano tutti bitorzoluti.
Per quanto riguarda invece l’etimologia della parola, sembra che essa derivi dal greco karà (testa).
Modi di dire:
"T'ammolle la cocce a forze di carocchie" (ti ammorbidisco la testa a forza di colpi).
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CARRINE
Distorsione dialettale della parola CARLINO. Il CARLINO era una moneta d'oro e d'argento, del regno di Sicilia, fatta coniare da Carlo I d'Angiò (da cui il termine carlino); quella d'argento, con varie modificazioni, fu emessa fino all'ultimo sovrano delle due Sicilie. Dieci carlini equivalevano ad un ducato.
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CASCIGNE
Crespigno. È una pianta selvatica spontanea che cresce nei luoghi incolti. È un’erba commestibile che, in tempi di magra, nel nostro paese, era molto utilizzata in cucina. Dalle nostre parti è molto più frequente trovare la varietà spinosa e forse per questo motivo spesso viene confusa con la comune erbaccia.
Ancora oggi, in ogni modo, gli intenditori ne fanno spesso uso impiegandola sia cruda che cotta soprattutto quando la pianta è tenera perché considerata più gustosa e ricca di minerali.
Probabilmente il termine dialettale cascigne deriva da “casce” (formaggio). Sembra, infatti, che i pastori mangiassero quest’erba insieme al pane ed al formaggio. Secondo altre fonti, invece, il suo nome dialettale è dovuto al lattice che sgorga dai suoi fusti recisi.
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CASURIELLE
Salvadanaio. Il termine sembra derivare dalla locuzione "casa aurea" (casa d'oro) a cui è stato aggiunto il suffisso "elle" per indicare, come sempre nel nostro dialetto, qualcosa di piccole dimensioni. Letteralmente quindi la traduzione letterale sarebbe "piccola casa d'oro". Del resto un termine molto simile lo troviamo attribuito ad un comune della provincia di Napoli: Casoria. Lo stemma cittadino di tale località reca, infatti, una casa d'oro in campo azzurro. Modi di dire:
"Mi so fatte lu casurielle pi 'sta 'state" (ho messo da parte i soldi - nel salvadanaio - per quest'estate)
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CENCE
Strofinaccio. Il termine è chiaramente derivante dalla parola italiana cencio che il dizionario etimologico fa risalire al latino cento (abito o coperta o tessuto, composti di pezzi di stoffa cuciti insieme).
La particolarità del termine dialettale consiste nel fatto che esso è usato sia al femminile (la cence, appunto), sia al maschile.
“Lu cince”, oltre ad essere il cencio vero e proprio era anche lo stoppaccio usato nelle lampade a petrolio. Probabilmente era così chiamato proprio perché fatto “in casa” con strisce di stoffa tagliate da abiti dismessi. Modi di dire:
"Damme ‘na cence p’assucuàreme li miene" (dammi uno strofinaccio per asciugarmi le mani);
"chilli cince e chella zappe sotte a chella fratte…" …(quei cenci e quella zappa sotto quella cespuglio…). Citazione di una famosa storiella fallese (vedi “Cenci e zappa” nella rubrica “Aneddoti”).
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CÈNICHE
Piccolo pisolino, colpo di sonno. Probabilmente derivante da cenno da cui derivano cennare, quindi accennare e preaccennare. Nel dizionario etimologico il termine cenno è anche catalogato come locuzione figurativa ad indicare un "indizio di cosa futura". E che cosa è il pisolino se non l'accenno ad un sonno più profondo? Modi di dire:
"Doppe magniete mi so iute a fa' 'na cinicarelle" (dopo mangiato sono andato a riposarmi un poco);
"quase quase mi veje a fa' 'na ceniche!" (quasi quasi, vado a farmi un riposino!).
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CHÈLETE O QUÈLEDE
Organo genitale maschile. Il termine, ormai quasi in disuso nel nostro paese, è stato probabilmente "importato" da qualcuno dei paesi limitrofi. Si tratta certamente di una locuzione arcaica, ma di sicuro interesse etimologico. Probabilmente deriva dalla parola chela (in greco Keras = corno), l'appendice a forma di pinza o tenaglia che si trova all'estremità degli arti di molti animali, principalmente crostacei e aracnidi. In un canto dell'Inferno di Dante Alighieri si fa anche riferimento al "chelidro" che è un serpente acquatico velenoso e che gli Accademici della Crusca definiscono "testuggine marina, o serpente acquatico velenoso, altrimenti detto dai Greci Droina". Insomma, ci sembra che le similitudini siano piuttosto evidenti. Modi di dire:
unico riferimento riguardante tale termine lo troviamo in una boccaccesca storia (e, visto l'argomento, non potrebbe essere diversamente) narrata da un'anziana donna in cui una signora tradita dal marito risolve il problema familiare in maniera radicale: "tagliette lu chèlete a lu marite" (evirò il coniuge).
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CHIACCHE
Laccio di metallo per la cattura di animali selvatici. Era posto nei punti di passaggio della bestia che era attirata con qualche esca. Quando l'animale passava il laccio si stringeva imprigionandolo o soffocandolo.
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CHIATRE
Glassa ottenuta montando l'albume dell'uovo con una forchetta o con una frusta da cucina che diviene così, una volta solidificato, di colore bianco. Tale glassa è utilizzata per ricoprire alcuni dolci tra cui la famosa “Pupa” o l’altrettanto noto “Castello” preparati, tradizionalmente, nel periodo pasquale.
Il termine, nel dialetto partenopeo, sta ad indicare il ghiaccio e, visto il colore e la consistenza che assume la glassa, la derivazione è molto appropriata.
Una nostra compaesana riuscì, senza volerlo, a ottenere una glassa “argentata”, semplicemente sbattendo con una forchetta l’albume posto in un recipiente di alluminio.
Il contenitore aveva perso una parte della sua cromatura, la glassa non era certamente commestibile, ma vuoi mettere l’originalità!
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CHIECHE
Piega. Chiamata anche pleche. Oltre al significato generico (la chieche di la onne o di lu calzone: la piega della gonna o del pantalone), la parola chieche (o pleche) è usata anche come riferimento ad una porzione abbondante di salsiccia (na chieche di salcicce). Le salsicce, per essere essiccate, erano poste su bastoni di legno collocati inizio, in locali con scarsa umidità (di solito la cucina). Seccandosi, la parte che poggiava sul bastone e la parte opposta, si restringevano formando così una piega.
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CHIENCHE
Macelleria. Il termine, arcaico ed ormai quasi non più in uso nel nostro paese, è d'importazione partenopea. L'origine della parola va ricercata nel basso latino ed in particolare nel termine "planca" (palanca, tavola lignea) che, in napoletano, divenne "chianca". Poiché originariamente l'esposizione e la vendita al minuto delle carni macellate avveniva tenendole poggiate su un tavolo di legno (una palanca, appunto), è facile risalire all'etimologia della parola: la macelleria è un luogo ove si trovino una o più tavole di legno. Modi di dire:
"Eja i a lu chianchiere prime chi chiute" (devo andare dal macellaio prima che chiuda);
"era une chi minive da ess'abballe e faceve lu chianchiere" (era uno che veniva da laggiù, dai paesi verso la costiera, e faceva il macellaio).
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CHIÒCHIERE
Ciabatte, pantofole. È forse questa l'occasione più propizia per riconsegnare al dialetto abruzzese la "paternità" di questo vocabolo che, del tutto erroneamente, viene da sempre attribuita al dialetto di Ciociaria (Lazio-Frosinone). Sulla base di questo infondato presupposto, il termine viene poi riferito al dialetto abruzzese come una traslazione da quello ciociaro. In effetti la citata zona del Frusinate deve il proprio nome al vocabolo dialettale "ciocia" che indica appunto una sorta di calzatura rustica costituita da un unico pezzo fissato al piede per mezzo di corregge di cuoio o stoffa. Ma il termine "ciocia" deriva dall'abruzzese "chiochie" direttamente ereditato dal latino "clocca". Modi di dire:
"Tè cierte scarpe che pare nu puare di chiochiere.!" (ha delle scarpe così malridotte che sembrano un paio di pantofole);
"scètte da la case nchi li chiochiere a li piete" (uscì di casa con le pantofole ai piedi).
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CICHITÙNIE
Sonnolenza. Deriva dalla parola dialettale “cicate” (cieco) seguita dal suffisso “tunie”. Il termine vuol rappresentare la condizione di semicecità provocata dagli occhi che si chiudono e che diventano due fessure a causa delle palpebre che si abbassano. Modi di dire:
"La notte nin dorme e po’ la sera a li otte m’arrive ‘sta cichitunie" (la notte non dormo e poi la sera alla otto mi viene questa sonnolenza).
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CÌCINE
Contenitore per l’acqua. Più piccolo del “trufèle” (vedi termine nel dizionario), deve il suo nome probabilmente proprio a questa particolarità, di essere cioè di modeste dimensioni. Con il termine “ciciniello”, infatti, nel napoletano ci si riferisce al bianchetto (novellame del pesce azzurro) che è chiaramente piccolo.
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CIAMMAGLICA
Generico per lumaca. Nello specifico si avrà:
la ciammaglica nute (la lumaca nuda) con cui si fa riferimento alla limaccia;
lu maruozze con cui si fa riferimento alla chiocciola;
la pipilonne con cui si fa riferimento ad un tipo particolare di chiocciola dal guscio duro e dal colore biancastro;
lu ttuppatielle con cui si fa riferimento sempre ad un tipo particolare di chiocciola ma di piccole dimensioni, molto compatta, dal guscio tendente al verde scuro e dalla carne bianca.
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CIANCONE
Cosa vecchia ed inutile. Da una prima analisi il termine sembrerebbe derivare da cianca (gamba, coscia), ma non si trova nessuna corrispondenza con l’uso che ne viene fatto in dialetto. Si potrebbe però supporre che derivi dalla parola partenopea “chianca”. Tale termine, già analizzato e presente in questo dizionario, proviene da “planca” (palanca, asse di legno) di cui la parola dilettale in esame potrebbe rappresentare un accrescitivo/dispregiativo.
Non a caso, infatti, si usa ancor oggi dire “nu ciancone vecchie” (una grossa, vecchia palanca).
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CIAVUCHE
Buco-buca. Oltre al significato citato, il termine fa riferimento anche ai "buchi" anatomici. Un particolare e divertente aneddoto, nel raccontare il quale omettiamo il nome dei personaggi per ovvie ragioni di riservatezza, narra di una donna di qualche tempo fa, nota per la sua schietta rozzezza di espressione e per la sua sindrome di malata immaginaria, che così descriveva i suoi malanni allo sventurato medico che la visitava: "Ecche lu vite dottò: cheste (alludeva alla testa) nin la pozze move ca mi zi sciacquareie; chiste (alludeva ai piedi) mi z'addumidisce.. Si mmove lu vruacce, mi corre na saiette abballe pi la schine e lu dilore è accuscì forte ca mi tire tutte lu prisutte e mi z'aricumpronte a lu ciavuche di lu cule!" (TRADUZIONE : "Ecco Dottore, guardi : questa (la testa) non la posso muovere perché mi sciacqua, questi (i piedi) mi si gonfiano.Se muovo il braccio mi corre una saetta lungo tutta la schiena ed il dolore è così forte che mi "tira" la natica e mi va a corrispondere fino al buco del culo! ". Modi di dire:
"la ciavuche di li galline" (il buco per il passaggio delle galline: solitamente le porte delle stalle presentavano un buco in basso per consentire l'uscita delle galline e permettere loro di razzolare nel recinto circostante. La sera il buco veniva richiuso con una pietra o con un piccolo asse di legno per evitare che, nel corso della notte, animali predatori potessero passarvi e fare razzia nei pollai);
"la ciavuche di la chieve" (il buco della chiave: con tale espressione si definisce sia la serratura propriamente detta, sia la buca - segretamente scavata o reperita fra le fessure di una roccia - nella quale, in altri tempi, veniva custodita la chiave per aprire una porta).
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CIAVUCUATE
Bucato, perforato. Da "ciavuche" (vedi vocabolario). Modi di dire:
"Z'è ciavucuate lu suacche" (si è bucato il sacco);
"pare ca i z'è ciavucuate lu stommeche!" (sembra che gli si sia bucato lo stomaco: riferito a persona insaziabile ed ingorda);
"tè li saccocce ciavucuate !" (ha le tasche bucate, è uno spendaccione).
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CILINGHE
Cocci di vetro. È questo un termine interessantissimo sotto diversi aspetti.
Innanzi tutto c’è da notare che, per quanto riguarda la lingua italiana, non esiste un unico termine per indicare i cocci di vetro. Nel nostro dialetto, invece, con la parola “cilinghe” ci si riferisce solo ed esclusivamente a quel tipo di cocci.
C’è poi da notare come il termine sia chiaramente onomatopeico richiamando con il suo suono proprio il rumore di piccoli pezzi di vetro che cozzano tra loro.
Infine, per quanto concerne l’etimologia, sembra che il lemma derivi dal cinese. Infatti, la parola “ling”, in detta lingua, vuol dire frammento, rottame. Qualche dubbio resta per il prefisso “ci” che, sempre in cinese, sembra significhi secondario, ma chi ci dice che, come spesso accade, con il tempo la forma dialettale non abbia subito delle trasformazioni?
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CILLATE
Bacato, andato a male, guasto. Esclusivamente riferito a prodotti alimentari (soprattutto granaglie, cereali, legumi ecc.) quando le scorte stipate vengono attaccate da larve di insetti che se ne nutrono provocando, ad esempio, le tipiche perforazioni delle semenze. Modi di dire: "Z'è cillate tutte lu suacche di fasciuole.!" (si è bacato l'intero sacco di fagioli).
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CILLISTRINE
Civettuolo. È doveroso precisare che la civetta in quanto animale viene correntemente indicato col termine "ciuvetta" e che l'uso della parola "cillistrine" è ironicamente vezzoso. Interessantissime, però, le due ipotesi sull'étimo del termine. La prima farebbe risalire la parola al vocabolo italiano (desueto) "cilestrino" con riferimento al particolare colore celeste chiaro che il cielo assume sul finire del giorno: è in tale momento che si ha la possibilità di scorgere le prime civette che sono notoriamente rapaci notturni. La seconda ipotesi attribuirebbe l'origine del termine alla fusione di "cielle" (uccello in senso generico) e "strine" (contrazione e storpiamento dell'italiano "strido" col significato di grido acuto ed aspro): uccello dal verso stridulo (che richiama cioè l'attenzione al pari di una persona civettuola). Modi di dire:
"Va facenne la cillistrine " (va in giro civettando qua e là);
"na citre cillistrine" (una bimba civettuola, vezzosetta).
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CILLUCCE
Uccellino (diminutivo o vezzeggiativo della parola uccello). Lo stesso termine viene usato anche per indicare una sorta di biscotto di pasta frolla ripieno di marmellata o altro. Questa ghiottoneria, spesso cosparsa di zucchero a velo, viene infatti forgiata a guisa di piccolo fagotto che ricorda la forma di un uccellino. Modi di dire:
"Dentre a culle nite ci sta già li cillucce" (dentro quel nido ci sono già gli uccellini, si sono già schiuse le uova);
"nnecche a lu cillucce di la mamme!" (vieni qui uccellino della mamma: amorevole vezzo materno rivolto ai bambini per gratificarli, coccolarli, invitarli al grembo rassicurante );
"so' fatte 'na bella guantiere di cillucce" (ho preparato un bel vassoio di "uccellini" - biscotti -);
"z'era mbusse gnè nu cillucce" (era fradicio come un uccellino, come un pulcino).
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CILLUNE
Corvi, cornacchie. In genere tutti gli uccelli di grossa taglia. Il termine viene anche riferito alle persone inopportune che con il loro improvviso apparire suscitano disappunto. Modi di dire:
"na morre di cillune" (una gran quantità di uccellacci); "stavame pi li fatte nuostre, quanna zi prisintette a la porte gné nu cillone!" (stavamo tranquilli per i fatti nostri, quando apparve all'improvviso come un uccellaccio).
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CIMMITÒRIE
Ossario.
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CINTRELLE
Particolare tipo di chiodo per calzatura. Il termine è d’origine partenopea. Le “centrelle” (questa è l’esatta parola in napoletano) erano dei chiodi a gambo tagliato ed a testa quadrata tronco-piramidale che venivano posti sull’intera suola esterna della scarpa rendendola praticamente eterna. Così facendo, infatti, si consumavano soltanto i chiodi e non la suola. Per contro le scarpe che subivano tale trattamento, oltre a diventare pericolose perché veniva a mancare l’attrito della suola sul terreno, erano anche molto rumorose.
Interessante è l’aneddoto di una nostra anziana compaesana che narrava come nella sua giovanissima età, attendeva la sera il suo (attempato) promesso sposo e lo riconosceva “da lu rummore di li scarpe nchi li cintrelle” (dal rumore delle scarpe con le centrelle).
Un po’ come ora si riconoscerebbe il rombo del motore di una moto o di una macchina.
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CIRUOTE
Scansafatiche. Il termine, ormai quasi caduto in disuso, deriva probabilmente dal latino “cerritus” (insensato). In particolare, il dizionario etimologico ipotizza che anche la parola cerretano possa avere la stessa radice del termine in esame. Nulla a che vedere, ovviamente, con gli abitanti dei vari Cerreto sparsi per la nostra penisola. Modi di dire:
“Chi ti ni vuo’ fa’ di culle ciruote?” (cosa vuoi fartene di quello scansafatiche?).
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CIOCE
Cerambice Eroe. Coleottero della famiglia dei Cerambicidi. Modi di dire: stà gnè nu cioce (sta come un cerambice; sta bene in salute).
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CIPPITIELLE
Piccoli pezzi di legno o scarti delle fascine utilizzati per ravvivare il fuoco.
L’unica cosa sicura di questo termine è che si tratta di un diminutivo perché seguito dal suffisso “tielle”. La parola vera e propria potrebbe derivare da “ceppa” che troviamo sia del dialetto partenopeo dove vuol dire gruppo, sia in italiano corrente che sta invece ad indicare la parte interrata della pianta, vicino alle radici.
Non bisogna però neppure ignorare il termine “cippo” derivante dal latino “cippus” (palo): in questo caso quindi li cippitielle non sarebbero altro che dei piccoli pali.
In tutti i casi abbiamo a che fare con la legna. Modi di dire:
“So jute a riccoglie du’ cippitielle p’appicièreme lu fuoche” (sono andato a raccogliere qualche rametto per accendermi il fuoco).
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CISTUNIE
Il termine potrebbe derivare da un volontario storpiamento canzonatorio della parola "cesto": lo confermerebbe il significato del termine stesso che viene ironicamente impiegato per indicare una pettinatura scomposta e scarmigliata, simile cioè ad un cesto male impagliato. Altre versioni sosterrebbero che il termine, a prescindere dall'étimo, fosse usato per indicare il vistoso e intricato nido di taluni uccelli di grossa taglia. Modi di dire: "Tè na cocce gnè na cistunie" (ha una testa spettinata, gonfia di capelli arruffati, scompigliata, simile, cioè, ad un cesto spagliato o ad un nido di rapace).
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CITRE
Bambina (la citre) o bambino (lu citre). Parola derivante dal latino citeriorem, comparativo di citer, che vuol dire, appunto, citeriore (prima o al di qua).
Probabilmente l’utilizzo che viene fatto del termine, si spiega nel voler porre i bambini al di sotto di un certo numero di anni, entro un determinato limite. Ciò chiarirebbe anche la “classificazione” usata nelle varie fasce d’età. Avremo, infatti:
lu citre: il bambino;
lu vaglione: l’adolescente;
lu giòvene: il giovane.
l’ome: l’uomo
Il termine è ancora oggi ancora usato dalle mamme o dalle nonne come coccola verso i più piccoli (‘nnecche a lu citre miè!).
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CIUCCLATTERE
Piccolo recipiente di metallo, malridotto e di poco valore. Parola che non trova uno specifico corrispettivo nella lingua italiana.
Una prima analisi porterebbe a far derivare il termine dall'italiano cioccolatiera, ma tale oggetto, oltre a non dover essere necessariamente di metallo, non è detto che sia sempre malridotto.
Un'indagine più approfondita conduce ad ipotizzare che la locuzione provenga dalla parola ciuòcchele (oggetto malconcio e perciò inutilizzabile) da cui il verbo acciucculuà (acciaccare, ammucchiare).
Interessante è a sua volta la provenienza del termine ciuòcchele di cui sopra che, quasi certamente, deriva dall'italiano ciocca (fascio, mucchio) che è anche un gruppetto di fiori, foglie o frutti nati insieme (esempio: viola a ciocche). Ciuòcchele è quindi qualcosa di ammucchiato, schiacciato, in pessimo stato. Modi di dire:
"Vattinne 'nchessa ciucclattere!" (vattene con codesto recipiente inutilizzabile!).
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CIUFILIELLE
Piccolo zufolo, fischietto. Il termine è derivante dal corrispettivo italiano ciufolo o sufolo seguito dal suffisso “elle” per indicarne le piccole dimensioni. Nel nostro dialetto la parola si usa anche per segnalare qualcosa di molto sottile e fragile. Si dice, infatti, a chi è gracile “tè li cosse gnè dù ciufilielle” (ha le gambe come due piccoli zufoli).
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CIUMME
Gobba (talvolta anche in senso figurato). Se il termine è decisamente bizzarro, ancora di più lo è la sua origine che (udite, udite!) ci perviene dal russo attraverso una voce samoieda. Con il termine ciùm, infatti, viene indicata una tenda trasportabile (per lo più fatta di pelli con armatura in legno) usata come dimora estiva dai nomadi siberiani. Una volta smontata, la tenda viene "confezionata" a guisa di fagotto e caricata sulle spalle per essere trasportata. È facile intuire, dunque, il motivo dell'attuale significato dialettale. Presumibilmente, il termine è stato "importato" dai tanti soldati italiani che, a più riprese nel corso della storia, hanno combattuto in quelle lontane terre sperimentando la triste necessità di trasportare il ciùm. Modi di dire:
"Camìne diritte cà ti ve' lu ciumme!" (cammina dritto altrimenti ti viene la gobba!);
"Tienghe na camisce chi mi fa lu ciumme" (ho una camicia che mi fa la gobba - sgarba - );
"La cuperte sobbre a lu liette tè nu ciumme a lu luate" (la coperta sul letto ha una gobba - uno sgarbo - sul lato).
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CIUMMINERE
Camino.
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COGNE
Guscio. Usato quasi esclusivamente in riferimento a prodotti alimentari, il termine definisce un involucro coriaceo che racchiude qualcosa (di commestibile). Modi di dire:
"La cogne dill'ove" (il guscio delle uova);
"li cogne di li nucelle" (i gusci delle nocciole);
"na cogne di ciammagliche" (un guscio di lumaca);
"li cogne di luvine di chicocce" (i gusci di semi di zucca).
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CÒZZECHE
Concrezioni, formazioni di sporco sulla pelle dovute alla mancanza d’igiene personale. Deriva chiaramente dal partenopeo dove, con tale termine, si intendono le cozze intese come mitili e con cui si preparano tanti gustosissimi piatti.
La somiglianza delle due parole è dovuta probabilmente sia al fatto che il mollusco è di colore scuro, proprio come le concrezioni di sporco di cui sopra, sia perché è difficile da staccare dallo scoglio proprio come la sporcizia sulla pelle di chi da tempo non usa il sapone.
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CRISTORE
Scopa. Realizzata, solitamente, legando insieme intorno ad un bastone alcune piante di ginestra.
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CROCCHE
Gancio. La parola è stata utilizzata in questo sito nella sezione “Modi di dire. vita pratica” in riferimento al detto “Cricche, crocche e mièneche di ‘ncine” (cricco, crocco e mano ad uncino). Il termine crocco non è più in uso nella lingua parlata, ma il lemma è ancora utilizzato nel gergo dei pescatori proprio per indicare un grosso gancio usato nella pesca dei tonni.
Deriva dal francese croc.
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CRUVELLE
Setaccio a trama larga. È un termine chiaramente derivante dalla parola corbello, così definito nel dizionario etimologico: vaso rotondo, tessuto di stecche di legno, col fondo piano, usato per trasportare la roba a spalla.
In effetti il setaccio e il corbello sono molto simili sia nella forma che nelle dimensioni anche se l’uso che viene fatto dei due oggetti è completamente diverso. Proprio la similitudine nella forma ha ingenerato confusione nella trasformazione del termine dall’italiano al dialetto cambiandolo addirittura di genere, dal maschile al femminile (si dice, infatti, “la cruvelle”). Modi di dire:
"Tienghe ‘na tielle tutta ciavucuate: pare ‘na cruvelle" (ho una pentola talmente bucata che sembra un setaccio).
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CUANEPUZZE
Puzzola. Veramente singolare questa parola formata dai due termini dialettali “cuane” (cane) e “puzze” (puzza). Letteralmente, quindi, cane puzzolente. Forse chi ha forgiato la parola dialettale non conosceva molto bene l’animale in questione. La moffetta, infatti, non ha proprio l’aspetto di un cane, è un carnivoro ed è sicuramente più puzzolente del migliore amico dell’uomo. Il termine è anche usato per indicare una persona poco incline alla pulizia personale: “nin gni può sta’ vicine, pare nu cuanepuzze” (non puoi stargli vicino, sembra una puzzola).
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CHELLE
CHILLE
Corrispondono a: quello (maschile), quella (femminile), quelli-e (plur. maschile e femminile). I termini derivano direttamente dal latino: ecce ille (m), ecce illa (f), ecce illi (plurale) e vengono usati per indicare qualcuno o qualcosa sia lontano da chi parla e da chi ascolta, sia lontano da chi parla e vicino a chi ascolta.
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CUNZUOLE
Consolazione. Termine caduto in disuso insieme alla tradizione di portare il pranzo alla famiglia colpita da un lutto. Solitamente “lu cunzuole” che si serviva subito dopo le esequie, consisteva quasi sempre in brodo con brandelli di carne o salsicce ed era generalmente portato dai vicini di casa che avevano più confidenza con la famiglia.
Quest’usanza non è tipica soltanto dell’Abruzzo, ma ne troviamo tracce, con diverse varianti, in molte regioni d’Italia. Ad esempio, in alcuni paesi del sud si era soliti, durante “lu cunzuole”, porre a tavola un piatto vuoto in ricordo del defunto.
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CUPPINE
Mestolo. Deriva dal termine latino cupa o cuppa (botte) seguito dal suffisso dialettale ine (piccolo). Sta quindi per piccola botte o piccolo contenitore. La parola cupa sembrerebbe derivare, a sua volta, dal sanscrito kupas (cavità), dal lituano kumpis (curvo), dal lèttone kumpt (incurvarsi) e dal greco kypto (mi curvo). Insomma, si tratta di un piccolo recipiente curvo con un manico: praticamente “nu cuppine”.
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CURCE!
Verso onomatopeico col quale si richiama l'attenzione dei conigli d'allevamento. La parola viene pronunciata con voce un po' in falsetto e facendo vibrare la "r" sotto il palato con suono sordo. Era probabilmente un ingenuo tentativo di imitare il verso di questi animali (pressoché muti) per indurli ad avvicinarsi e lasciarsi accudire o prendere. Forse per riflesso condizionato, le bestiole rispondevano sempre al richiamo e si avvicinavano senza timore alle mani del padrone.
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CURIGLIELE
Corniolo. È un arbusto che può raggiungere anche l’altezza di cinque metri. Produce fiori gialli ad ombrello e bacche sia gialle che rosso corallo. Attecchisce nei boschi d’alta collina, ma non è difficile trovarlo anche nelle nostre zone. I frutti possono essere usati sia per le marmellate che per aromatizzare gli alcolici (grappa). Ha un legno durissimo (pare il più duro presente in Europa) e forse per questo motivo nel nostro paese si usava dire a chi era particolarmente duro di comprendonio: “te la cocce gnè nu curigliele”.
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CHESTE
CHISTE
Corrispondono a: questo (maschile), questa (femminile), questi-e (plur. maschile e femminile). I termini derivano direttamente dal latino: ecce iste (m), ecce ista (f), ecce isti (plurale) e vengono usati per indicare qualcuno o qualcosa sia vicino a chi parla e lontano da chi ascolta, sia vicino a chi parla e a chi ascolta.
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Quello, quella, quelli-e. I termini hanno lo stesso significato di CULLE, CHELLE, CHILLE (v. vocabolario) ma vengono usati solo per indicare qualcuno o qualcosa lontano da chi parla e vicino a chi ascolta.
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CUTTURE
Paìolo. Recipiente da cucina di rame, fondo e rotondo con manico di ferro arcuato. Molto più piccolo della "callare", era usato per cucinare. Solitamente era appeso alla catena del camino.
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CUZZE
Posto nascosto la cui esistenza non va rivelata per evitare che altri possano venirne a conoscenza. Termine particolarmente usato dai bambini per indicare un luogo segreto dove nascondere o reperire in abbondanza qualcosa da non condividere con nessuno. Modi di dire:
"Sacce nu cuzze di muriechele" (conosco un posto segreto dove nascono le more );
"Lu so misse a nu cuzze chi sacce i" (l'ho messo in un posto che conosco io - solo - ).
Fra gli adulti, il termine è usato piuttosto con un senso di ironia: "Tè na case chi pare nu cuzze di mmucciglie.!" (ha una casa che sembra un deposito di cose inutili).
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