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GAGLIAVONE
(plurale GAGLIAVUNE). Gorgo d'acqua, piccola cascata di fiume con gorghi di risucchio. Derivante probabilmente da ganglio seguito dal suffisso accrescitivo “vone”. Il termine ganglio, figurativamente parlando, rappresenta il punto di raccordo o nevralgico di un sistema e sembrerebbe derivare dal greco gaggalion che è molto simile alla nostra parola dialettale.
Modi di dire:
"Chiove a gagliavune" (piove a catinelle);
"tienghe cierte gagliavune a lu stommeche." (ho dei rimestamenti di stomaco): è un'espressione usata spesso con ironia per indicare il proprio disappunto nel fare qualcosa di controvoglia o nell'incontrare una persona antipatica con la quale non si vorrebbe avere a che fare.
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GALLIOTE
Galeotto. Termine, ovviamente, usato in maniera dispregiativa verso chi è considerata persona poco raccomandabile e di cui non si può avere fiducia. Ricordiamo che il galeotto era originariamente colui che remava nella galea (tipica nave da guerra e da commercio). In seguito ai remi di dette navi erano impiegati coloro che avevano commesso reati ed erano quindi condannati ai lavori forzati. Modi di dire:
"I nin ci vuoglie avè niente a chi ffà nchi culle galliote" (io non voglio avere nessun tipo di rapporto con quel galeotto).
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GARIGÀGLIE
Pappagorgia. Modi di dire:
"Ddiè lu bindiche, tè na bella garigàglie" (Dio lo benedica, ha una bella pappagorgia).
Il concetto di "grasso uguale salute", è ancora molto radicato nei paesi abruzzesi. È infatti tipica la frase: gnà stà bielle grasse, Ddiè lu bindiche, i luce la facce (com'è bello grasso, Dio lo benedica, gli luccica la faccia).
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GARIGARUOZZE
Detto anche “piruozze” (letteralmente piccolo pero, ma col significato di sporgenza), è il pomo d’Adamo. Il termine è sicuramente derivante dall’italiano gargarozzo. Anatomicamente parlando, infatti, il pomo d’Adamo è posto nello stesso punto di quello che è precisamente chiamato gargarozzo. Il dizionario etimologico fa a sua volta derivare tale parola dalla duplicazione della radice “gar”, ingoiare (dal greco gargaron, canna della gola) seguito dal suffisso “ozzo” come diminutivo.
Per quanto riguarda invece il pomo d’Adamo, una credenza popolare lo pone in relazione al peccato originale: è un pezzo della mela (pomo) mangiata da Adamo e che gli rimase in gola.
Pomo d'Adamo.
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GLIENNE
Ghianda.
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GLIÒMBERE
Gomitolo (solitamente di lana). Nonostante la sua stranezza fonetica, questo termine viene ancora oggi usato correntemente. Decisamente sorprendente l'etimo che va ricercato nel termine greco glòmmiros (gomitolo, appunto). Come sia approdato fino a noi resta un mistero, ma certamente il "contagio" deve aver avuto luogo in un passato molto remoto. Modi di dire:
"Sfilìve la maglie e ci facive nu gliòmbere" (sfilai la maglia e feci un gomitolo - con la lana ricavata -); "accattive nu gliòmbere di spuache" (comprai un gomitolo di spago);
"zi ntriccette lu gliòmbere" (si intrecciò il gomitolo).
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GLIUTTE
Indica una cosa di sapore sgradevole e difficile da ingoiare. Il termine è solitamente riferito a sostanze molto dense. La parola deriva probabilmente dal suono “glut glut” che fanno i liquidi quando passano attraverso un foro di piccole dimensioni come diventa appunto la gola quando tenta di ingoiare qualcosa di sgradevole. Modi di dire:
"M’era rimaste ‘na nze di vine dentre a ‘na bottiglie, ma era ddivintate nu gliutte, nzi zi puteva veve" (mi era rimasto un po’ di vino in una bottiglia, ma era diventato sgradevole, non si poteva bere).
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GNÈ
Questi due bizzarri monosillabi traducono il termine italiano "come" (nelle domande il primo, nelle risposte il secondo). Dietro l'apparente indecifrabilità dell'etimo, si nascondono semplicemente le forme contratte del verbo "insegnare" ai tempi dell'imperativo (esortativo) e del futuro (concessivo/dimostrativo). Negli esempi scritti che seguono è sicuramente più facile stimare il meccanismo di tali contrazioni:
Gnà stié? (domanda: come stai?) "inse-gna-mi (dimmi, indicami) come stai" (esortativa);
Gnè nu Pape (risposta: come un Papa! - benissimo!) "ti inse-gne-rò (ti dirò che, ti confesserò che) sto come un Papa (concessiva/dimostrativa).
Modi di dire: A parte i due piccoli esempi citati sopra, in dialetto abbiamo integralmente la stessa gamma fraseologica della lingua italiana.
"Gnà si fatte?" (come hai fatto?);
"gnè bielle!" (come è bello! - dimostrativa -) ecc.
Particolarmente gustose sono alcune forme idiomatiche assai ricorrenti in quanto allusive a fatti o racconti da cui trarre insegnamenti morali o di vita. Fra queste vi riproponiamo le seguenti:
"Ha fatte gnè culle chi piscette a li fichere.!" (si è comportato come quel tizio che fece la pipì sui fichi!).
- L'espressione fa riferimento ad un noto racconto in cui il protagonista, ad un certo punto della storia, orina con spregio sulle scorze di quei fichi che, più avanti nella narrazione, sarà costretto a mangiare per necessità. L'aneddoto vuole mettere in guardia dal compiere azioni avventate o maldestre per colpa delle quali si potrebbe provare in seguito un inutile pentimento o, peggio, subire umiliazione;
"Gnè lu cunte di lu cuscinille." (come "il racconto del piccolo cuscino").
- In questo caso si fa riferimento ad una notissima quanto lunga fiaba per bambini che veniva narrata allo scopo di intrattenere il più a lungo possibile gli ascoltatori. In essa si raccontava, con dovizia di particolari ed attraverso intricate vicende, il tentativo di recuperare un piccolo cuscino prodigioso che era stato smarrito o, secondo altre versioni, trafugato. Sul punto di recuperare il prezioso "cuscinille", il protagonista della fiaba veniva beffardamente depistato dagli altri personaggi della vicenda che sistematicamente gli dicevano: "va chiù bballe ca lu truove!" (vai più avanti ché lo troverai!). La frase era il "tormentone" di tutta la fiaba ed i piccoli ascoltatori, grazie a questo espediente narrativo, venivano intrattenuti a lungo e tenuti a bada. Ancora oggi, quindi, si cita questo celeberrimo racconto per l'infanzia col chiaro intento di ironizzare sulle lungaggini di una narrazione o su un complicato e paradossale svolgersi di eventi.
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GRAMACCE
Gramigna. Pianta erbacea perenne dannosa alle coltivazioni per la rapidità con cui si propaga.
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GRASTILLERE
Grata fatta di canne che, sospesa al soffitto, era utilizzata per essiccare il formaggio. Deriva chiaramente dall’italiano rastrelliera.
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GRATICCE
Trappola per la cattura o l'uccisione di animali selvatici commestibili o da pelliccia. Solitamente si trattava di un sasso piuttosto pesante che cadeva sulla preda. A Fallo, in località "Lu Cucù", ne esiste una per la cattura delle volpi. Consiste di due grossi sassi piatti sovrapposti, uno dei quali era sollevato da un lato e sorretto da un bastone di legno. Sotto quest'ultimo era posta l'esca (di solito carne). Quando la volpe tentava di strappare via la carne, faceva cadere il bastone ed il sasso le si abbatteva addosso schiacciandola.
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GREFE
Amuleto che si appendeva, per mezzo di una cordicella, al collo dei bambini per tenere lontane le streghe. Si trattava di un pezzo di tessuto contenente le cose più disparate: immagini di santi, ciuffi di peli di cane, crini di cavallo, ritagli di stoffa intinti nell'acqua santa, ecc.
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GRIENCE
Termine dialettale per indicare i vermi del formaggio. Non è facile, ovviamente, trovare l’etimologia della parola, ma è invece interessante sapere che con lo stesso vocabolo si indicano anche alcuni parassiti che si formano dentro lo strutto quando quest’ultimo è mal conservato o troppo vecchio.
È abbastanza nota la storia di una nostra compaesana che litigava spesso con il marito e che regolarmente gli rimproverava di avergli portato in dote soltanto “na ‘ncelle di sogne chiene di grience” (un’ancella di sugna piena di parassiti).
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GRÌECIE
Greco. La particolarità di questo termine non consiste tanto nella sua originalità perché, come si può notare, la parola dialettale e quella italiana quasi coincidono, ma nel suo uso. Il termine, infatti, era solitamente usato in forma dispregiativa soprattutto se riferito ad una persona ed al suo contesto sessuale. Tutto nasce dal fatto che, com’è noto, nella società dell’antica Grecia, l’omosessualità non soltanto era ben tollerata, ma era considerata, al pari dell’amore eterosessuale, una ricerca del bello.
Ciò nell’antica Grecia, appunto. Da noi si parte da un altro presupposto. Nella pastorizia dire “è nu mintone grìecie” (è un montone greco) corrisponde ad affermare che l’animale in questione è sterile. Dirlo invece ad una persona di sesso maschile corrisponde ad affermare o che la persona è sterile oppure che è omosessuale.
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GRUFE
Broncio, cipiglio. E' questo un interessantissimo termine di cui si trovano pochissime tracce del corrispettivo italiano. Solitamente una persona con "la grufe" è colui che ha la fronte aggrottata, ma genericamente il vocabolo è utilizzato anche per indicare un individuo dall'aspetto poco solare. Il termine potrebbe derivare dal verbo grufolare, azione che fa il maiale nel cercare il cibo e che li costringe quindi ad arricciare il muso.
La parola la troviamo però anche in un antico documento risalente al 1700 ("La Pragmatica" degli Ebrei Romani del secolo XVII) che di seguito riportiamo:
. Com`anco si proibisce espressamente alle Donne maritate il portar capelli con gricci avanti alla fronte, come quelli, che si dicono grufe, ...
In questo caso quindi il termine "grufe" è utilizzato per indicare un modo di portare i capelli: arricciati sulla fronte dando così l'impressione di avere la stessa aggrottata. Modi di dire:
"E rite 'na 'nzegne, ca tiè sempre la grufe!" (e sorridi un po', che sei sempre imbronciato!)
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