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MACCATURE

Fazzoletto per coprire il capo. Con il termine dialettale “fazzulette” si intende, normalmente, il comune fazzoletto da naso, mentre in questo caso la parola sta ad indicare il copricapo tipico delle contadine. Generalmente molto colorato, diventava rigorosamente nero quando chi lo indossa si trova in una situazione di vedovanza.
Il termine è di origine spagnola e deriva da “mocador” (fazzoletto da naso, appunto) derivante a sua volta dal latino muccus (muco).
Modi di dire:

"So fatte lu sparielle nchi lu maccature" (ho fatto una ciambella di stoffa con il fazzoletto);
"quanne ha 'ncucciate lu sole, mi so misse lu maccature 'ncocce" (quando il sole è diventato troppo forte, mi sono messo il fazzoletto in testa).
     
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MACCIUÒCCHERE O MAGLIUÒCCHERE

Ammasso intricato di vari elementi. Il termine è utilizzato anche per indicare un insieme di fili aggrovigliati. Deriva dalla parola mazzocchio che nel dizionario etimologico è così definito: da mazza o mazzo, di cui apparisce essere forma diminutiva (mazzoccolo). Quantità di cose strette insieme a guisa di mazzo. Per similitudine si disse così del berretto ducale.
Il copricapo cui fa riferimento il dizionario etimologico era, infatti, in voga in Europa nel quattrocento, cinquecento ed era composto da un anello poco più grande della testa.
Paolo Di Dono, detto Paolo Uccello (pittore fiorentino 1397-1475) ci ha lasciato molte opere in cui è ritratto il mazzocchio, segno che tale copricapo fosse in voga nel Rinascimento.
Infatti, in una lunetta del Chiostro Verde di Santa Maria Novella a Firenze, nella scena del Diluvio affrescata appunto da Paolo Uccello, uno dei personaggi ritratti porta al collo proprio un mazzocchio. Modi di dire:

"Vuleva fa' 'na 'nzegne di paste di case, ma la farine nin è bbone e è minute nu macciuòcchere." (Volevo fare un po' di pasta in casa, ma la farina non è buona ed è venuto un ammasso non lavorabile).

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MACIRINE

Sassi di medie dimensioni accatastati alla rinfusa. Solitamente il mucchio era formato dai sassi trovati nel terreno durante l'aratura e la sarchiatura. Il termine è derivante dall’italiano maceria che il dizionario etimologico definisce come muro greggio non legato da calce, muro a secco. Per similitudine, quindi: monte di sassi, di case rovinate e simili.
Un riferimento su tale parola lo troviamo in questo sito nell’aneddoto “Il giuramento”. In tale storiella si parla di una volpe che giura “sobbre a ‘na preta macirine” (sopra la pietra di una maceria); su qualcosa, quindi, d’instabile o di poco affidabile com’era, appunto, il giuramento che il furbo animale stava facendo.

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MAGLIUOLE

Tralcio (della vite). Deriva dal latino malleolus, diminutivo di malleus (maglio, martello). Nel dizionario etimologico il magliuolo è definito come “sermento che si taglia dalla vite, al quale è lasciato in fondo un pezzo del ramo su cui nacque, onde piglia la forma di un martello e si pianta per allevare nuova vite”. Spesso i magliuoli erano utilizzati, dopo la potatura della vigna, come legni per ravvivare il fuoco. Erano raccolti insieme e legati per farne fascine (“li fascette di magliuole”).

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MAGNITTARE

Ansia, paura. È difficile definire l'etimologia di questo termine dialettale (tra l'altro ormai quasi in disuso), ma qualche ipotesi forse si può azzardare. La più verosimile è forse quella che la vuole formata da due diverse parole latine, magnus (grande) e iactatio (agitazione). Come sempre, il tentativo di semplificare qualcosa d'incomprensibile e la scarsa conoscenza del latino hanno trasformato i due termini in un'unica parola che è quella che è giunta fino a noi. Modi di dire:

"Sacce i, quann'arrive la sere, mi piglie 'sta magnittare!" (Non so, quando giunge la sera, mi prende quest'ansia!).

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MAJURE

Nonno. Termine arcaico ormai quasi caduto in disuso e sostituito dal più “moderno” e, secondo alcuni, rispettoso nonnò. Deriva chiaramente dal francese majeur (maggiore). Modi di dire:

"so’ ncuntrate tutta la famiglie, puatre, mamme, nipote e majure!" (Ho incontrato tutta la famiglia, padre, mamma, nipote e nonno!).

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MAMMUCCE

Nonna.

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MANDRÌCCHIE

È difficile trovare l'esatto corrispondente nella lingua italiana. Il termine indica un telo di stoffa di media grandezza e sovente di forma quadrata, utilizzato per lo più come "contenitore" nella raccolta spicciola dei prodotti agricoli: riempito il telo, si raccolgono le quattro cocche nella parte superiore e si annodano fra loro per evitare che il contenuto fuoriesca. Ma il termine indica molti altri "teli" simili a quello descritto: un improvvisato grembiule da cucina, un tovagliolo grezzo, un fazzoletto ampio col quale formare un fagotto, ecc. Figuratamente parlando, la "mandricchie" è "l'aspetto iniziale" di ciò che diverrà un fagotto (la "multine") o un involucro (la "mappatelle"). Se la ricerca dell'esatto corrispettivo italiano è un'impresa ardua, l'ètimo della parola è invece facilmente riconducibile al sostantivo femminile latino "mantica": nella Roma antica indicava la sacca destinata a contenere i viveri per il viaggio. Modi di dire:

"Arinchijve na bella mandricchie d'ove" (riempii una bella "mandricchie" di uova: feci una buona raccolta nel pollaio); "pirdive lu maccature e m'apparive nchi na mandricchie" (persi il fazzoletto per il capo e mi coprii con una "mandricchie": durante il lavoro nei campi le donne si coprivano il capo con un fazzoletto - lu maccature - per proteggersi dai cocenti raggi del sole ma, alla bisogna, si ricorreva anche ad una "mandricchie")

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MANIERE

Mestolo di rame. Inutile cercare corrispondenze col vocabolo italiano "manièro" (castello feudale). Sorprendentemente, la parola dialettale deriva dal gergo della falconeria. In questa disciplina, con il termine "manièro" si indica un animale docile e ben addestrato alla caccia, cioè "di buone maniere" (in senso figurato): .un bello astor manièro (Carducci). Parimenti, il vocabolo dialettale allude al procedimento con il quale il metallo del mestolo è stato forgiato alla bisogna (reso cioè "manièro", docile, plasmato duttilmente all'utilizzo cui è destinato). Modi di dire:

"Lu maniere stà appise vicine a la conche" (il mestolo è appeso vicino alla conca. Anticamente l'acqua da bere per uso quotidiano veniva spillata alla fonte e condotta in casa in una conca. Qui veniva consumata prelevandola dal contenitore con un mestolo di rame, lu maniere, appunto, che, per ovvie ragioni di praticità, era custodito vicino alla conca stessa);
"ha fatte gnè culle chi vuleve adacquà l'uorte nchi lu maniere." (ha fatto come colui che pretendeva di innaffiare l'orto con il mestolo: riferito ironicamente a chi intraprende un'operazione senza essersi munito dei giusti utensili, o a chi si accinga pazientemente a compiere un'impresa con mezzi di fortuna).
     
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MANNELLE

Mazzo di spighe afferrate in una mano per essere falciate. Il dizionario etimologico definisce la parola mannella o mannello “diminutivo di manna, nel senso generale di quantità di cui sia capace la mano”. Il termine dialettale quindi non si discosta molto da quello italiano, infatti, se cerchiamo la parola mannello tra i sinonimi, troveremo: “piccolo fascio”, “piccolo covone”, “falciata”. Il vocabolo è ormai poco usato perché la falciatura del grano avviene con mezzi meccanici, ma certamente i non più giovani ricorderanno le istruzioni che erano loro impartite dai più esperti su come afferrare la “mannelle” per non tagliarsi anche…le mani.
     
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MANTILE

Tovaglia. Il termine in sé non presenta particolari "stranezze" linguistiche, ma è interessante rilevare che ancora una volta l'etimo del termine ci proviene dal greco. Con la parola mantìlion veniva appunto indicata la tovaglia su cui poggiare le pietanze. Per certo anche il termine spagnolo "mantiglia" (il caratteristico ed ampio telo di pizzo usato dalle donne) deriva dallo stesso vocabolo greco. Modi di dire:

"Mitte lu mantile sobbre a la tàvele!" (metti la tovaglia sul tavolo - apparecchia! -); "abbruscive lu mantile nchi na tijelle" (bruciai la tovaglia con una pentola - rovente -).

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MANUÒPPELE

Covone. Termine probabilmente derivante dall’italiano manipolo. La stessa parola manipolo ha come etimo il latino“manipulus”. Tale vocabolo indicò, nei tempi più antichi di Roma, l’insegna di una compagnia di soldati e raffigurava un piccolo fascio di fieno infisso in un’asta. Inoltre, il manipolo, sempre militarmente parlando, era un gruppo di uomini che non superavano mai le centoventi unità: quattro manipoli formavano una coorte. Ancora oggi, infine, la parola è usata per indicare una piccola schiera.
Nel nostro paese li “manuoppele” si trovavano, ovviamente durante la mietitura, oltre che nei campi anche su “Colle Rosso” o sulle varie aie in cui era possibile procedere alla trebbiatura. La disposizione dei covoni sull’aia era spesso motivo di litigio tra i vari partecipanti alla mietitura, ma non era raro assistere a dispute anche piuttosto accese per altri motivi. Una classica frase era la seguente: “li ‘alline te è jute sobbre a Carrusce ‘n miezze a li manuoppele miè e mi z’è magnijete lu grane!” (Le tue galline sono andate su Colle Rosso in mezzo ai miei covoni e mi hanno mangiato il grano!”

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MAPPATELLE

Involto ottenuto legando a croce le quattro cocche di un fazzoletto, di uno strofinaccio da cucina (la cencia o cinciarelle) o di un grembiule (mandrìcchie). Utilizzato di solito per contenere generi alimentari da portare nei campi.

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MARAMÈ

Esclamazione per indicare disappunto verso qualche cosa. Utilizzato anche attribuito ad altre persone (ad esempio, maraisse riferito ad un uomo e maraesse riferito ad una donna).
Deriva probabilmente dal termine maràme la cui radice "mar" si riallaccia al greco mayros (oscuro) e quindi oscurarsi, nel senso di essere confusi, disorientati.
Più semplicemente il termine potrebbe essere la contrazione delle due parole "amara" e "me" che, riferite ad altre persone, diventerebbe "amara lei" (maraesse) e "amaro lui" (maraisse). Vale a dire povera me, povero lui e povera lei. Modi di dire: maramè! E mò com'eja fa (Povera me! Come devo fare ora?).
     
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MARAPILOSE

Processionaria. È del tutto inutile cercare l’etimo di questo termine dialettale. Possiamo soltanto ipotizzare che sia formato dall’unione delle due parole, anch’esse dialettali, “mara” (amara) e “pilose” (pelosa). Sul fatto che la processionaria sia pelosa non vi sono dubbi, basta guardarla, ma sarebbe interessante conoscere il nome di chi si è preso la briga di assaggiarla per stabilirne il sapore. O forse, più semplicemente, con l’aggettivo "amara" si voleva indicare il rischio che si corre toccandola, essendo, come noto, urticante.
     
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MARCÒFIE

Persona brutta, sgraziata. Per questo termine non esiste un riferimento etimologico. Le uniche tracce le troviamo in alcune leggende, ognuna con diverse sfumature, nelle quali si fa riferimento a un certo Marcofio (o Marcoffio) e alla luna.
In tali racconti il protagonista, per motivi diversi, sale fin sopra al nostro pianeta restandovi per sempre ed assumendone l'aspetto. La faccia della luna quindi non è altro che il viso di Marcofio che ci guarda da lassù. E non mi sembra che abbia un bell'aspetto!
Modi di dire:
 
"Te la facce gnè nu Marcòfie" (ha la faccia come un Marcofio);
"È brutte gnè nu Marcòfie" (è brutto come un Marcofio).
     
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MARROCCHE

Pannocchia.

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MASHCATURE

Serratura. Deriva dalla parola italiana maschiare inteso nel senso di incastro (vedi dizionario etimologico). Il termine non è ormai quasi più in uso sostituito dal più “moderno” sirrature (serratura). Modi di dire:
 
"Mi z’è rotte la mashcature di la porte e nin pozze arrintrà a la case" (mi si è rotta la serratura della porta e non posso rientrare in casa).

MATINTATE

Ammaccata, sciupata. Derivante dall'altro termine dialettale, molto simile, attintà (palpare) il quale a sua volta proviene dall'italiano attentato (participio passato di attentare), tentare, mettere mano. Nel linguaggio forense è anche usato in luogo di assalto, aggressione.
Quando nel nostro paese era ancora molto attiva la coltivazione delle piante da frutto, si era soliti, quando si portavano i bambini nei campi, mostrare loro la frutta in fase di maturazione. La curiosità dei piccoli, li portava a toccare i frutti, ma venivano prontamente ammoniti con la frase: "Nin li tuccuà ca sinnò zi matente!" (non li toccare altrimenti si sciupano). Modi di dire:
 
"So ripurtate ddu mile da 'n campagne, ma è tutte matintate" (ho portato alcune mele dalla campagna, ma sono tutte ammaccate);
"La grànile, m'ha matintate tutte li fìchere" (la grandine mi ha ammaccato tutti i fichi).
     
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MAZZUÀFFERE

Cosa informe e sgraziata. Da una prima analisi il termine sembrerebbe derivare dalla frase italiana "mazzo di affari" (vale a dire accozzaglia di cose messe assieme) di cui potrebbe essere una contrazione. Altra ipotesi, molto più attendibile, è quella che il termine sia l'unione di due parole latine: massa e fere. La prima, simile all'italiano, corrisponde ad ammasso, mucchio, mentre la seconda (fere) sta per circa, quasi, generalmente. Ovviamente, come sempre accade in questi casi, nei vari passaggi (dal latino, all'italiano e da quest'ultimo al dialetto) i termini hanno subito una serie di trasformazioni diventando appunto "mazzuàffere" lasciando però invariato il concetto: una brutta cosa sgraziata. Modi di dire:

"Stà vistute gnè nu mazzuàffere" (indossa vestiti poco eleganti);
"zè spusate nu mazzuàffere" (ha sposato una persona dalle forme non proprio aggraziate)
     
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MBUSSE
MBONNE

Bagnato, bagnare. Deriva dal latino imbuo (inzuppare). Il termine era spesso usato in maniera impropria nella frase “Aiùteme a mbonne!” utilizzata dalle donne quando, per caricare un peso eccessivo sulla testa, chiedevano aiuto per sollevarlo all’altezza giusta. In questo caso, infatti, la parola dialettale corretta avrebbe dovuto essere “mporre” (imporre). La frase tradotta in italiano diventava quindi: “Aiutami ad imporre” cioè a porre il peso sulla mia testa. Probabilmente l’utilizzo consueto che veniva fatto del termine ha portato a pronunciarlo nello stesso modo distinguendolo soltanto in base alla circostanza.
Potrebbe essere però interessante immaginare il bisticcio di parole dialettali di una donna con un canestro di panni bagnati da porre sul capo che, per essere aiutata, chiede: “Tienghe nu caniestre di pienne mbusse da ripurtà a la case: aiùteme a mbonne.”. (Ho un canestro di panni bagnati riportare a casa: aiutami a bagnare - imporre, caricare -).

     
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MESA

Contenitore in legno utilizzato per impastare, madia. L’oggetto in questione è solitamente di forma quadrata, a tronco di cono rovesciato e dello spessore di circa venti centimetri. Nel nostro paese era molto usato quando si faceva il pane in casa.
L’unica ipotesi plausibile che si può fare sull’etimologia del termine, è che esso derivi dal prefisso italiano “meso” che sta per “mezzo” (dal greco mesos). Probabilmente esistevano recipienti della stessa forma, ma di dimensioni più grandi o più piccole. Ma questa, come già detto, è solo un’ipotesi. Modi di dire:

"So lassate lu pane a ricresce dentre a la mesa" (ho lasciato il pane a lievitare dentro la madia).
     
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MIGLÌCHERE

Ombelico. Ammettiamolo: pretendere di trovare l’etimologia di questo termine dialettale è piuttosto complicato. Considerando le molte analogie con il dialetto partenopeo, la parola si potrebbe far derivare da tale idioma in cui l’ombelico è chiamato vellìculo. In questo caso si può ipotizzare che, come spesso accade, il termine sia è stato in seguito storpiato, appunto, in miglìchere.
C’è inoltre da aggiungere che nel nostro dialetto con il termine “migliche” ci si riferisce sia alla mollica del pane, sia ad una piccola parte di qualche cosa. Nel caso quindi si voglia forzare una spiegazione del lemma in tal senso, ci si chieda: l’ombelico è molle oppure è una piccola parte del corpo?
Probabilmente l’etimo di tale parola resterà un mistero.
Ciò che invece può interessare è il motto “tè lu miglìchere a lu fuoche” spesso usato nel nostro paese. Per saperne di più in merito visitate la rubrica “Modi di dire”, sezione “Carattere” di questo sito. Sicuramente ne resterete meravigliati.

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MINACCE

Contrariamente a quanto può sembrare leggendo il termine dialettale, la parola non ha niente a vedere con le intimidazioni. Con tale termine, infatti, si indica semplicemente la vinaccia, vale a dire quel che rimane dalla pigiatura dell’uva fresca o ammostata.
Si era soliti, durante la vendemmia, ripassare più volte la vinaccia nel torchio in modo da estrarne più vino possibile. Da qui la frase: ej’ancora torce lu minacce (devo ancora spremere la vinaccia).

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MIRZÙGLIE

Sorso. Bisogna ammettere che trovare l’etimologia di questa parola non è stata cosa facile. Né si è sicuri che la soluzione prospettata sia corretta. Partendo dal presupposto, si spera giusto, che il sorso sia il contenuto della bocca, si può ipotizzare che il termine sia una derivazione della parola morso. Il diminutivo di quest’ultimo vocabolo nell’italiano arcaico lo troviamo come morsello che nel plurale diventa morségli.
Alcuni riferimenti li riveliamo in antichi testi del seicento e del settecento:
Hai tu veduto, diceva egli, alcuna volta il cane prendere a gola aperta i morsegli del pane?”;
Manducano un morsello di pan grosso, e appresso si coricano in un povero letto”.
C’è da aggiungere che, come in molte altre parole del nostro dialetto, anche in questo caso la distinzione tra singolare e plurale è data soltanto dall’articolo che la precede. Avremo, infatti, lu mirzùglie (singolare) e li mirzùglie (plurale).
Sull’etimologia di tale parola, si accettano, ovviamente, altre ipotesi.

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MISCISCCHE

Carne, di solito caprina, ridotta a strisce ed essiccata al sole. Il termina deriva da muscisca, un salume diffuso nella provincia di Foggia, molto usato durante le transumanze.
La parola dialettale pugliese deriva a sua volta dall’arabo “mosammed” (cosa dura) e rende bene l’idea sul tipo di alimento di cui parliamo.
La miscische, aromatizzata dalle spezie, ha un sapore molto forte e, solitamente, le strisce di carne che la compongono sono legate a due per volta. Per quest’ultima particolarità il prodotto è meglio conosciuto con il nome di “coppietta”.
Modi di dire: te la facce gnè na miscissche, pare 'na miscissche (ha il viso smunto; è una persona magrissima e dall'aspetto malaticcio).

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MIZZITTE

Contenitore di legno per granaglie. Poteva contenere fino ad un massimo di cinquanta chili. Modi di dire: cocce di mizzitte (testa di legno, stupido).

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MMICCIARIELLE

Fiammifero. Termine derivante dall’italiano “miccia” seguito dal suffisso diminutivo “rielle”. La parola fiammifero deriva a sua volta dal latino “flammiferum”, portatore di fiamma (flamma = fiamma e ferre = portare).
Nella forma dialettale fallese è, alcune volte, chiamato anche “picciarielle”, parola proveniente da “appicciare” (accendere) di chiara origine partenopea.

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MMUCCIGLIE

Cose inutili, di scarso valore, carabattole. Altro interessante termine derivante dal partenopeo in cui con la parola "mucciglia" ci si riferisce allo zaino.
Nell'equipaggiamento in dotazione all'esercito borbonico lo zaino (chiamato appunto mucciglia) era confezionato
con pelle di montone verniciata ad olio in modo da sembrare pelle di tigre. Di forma grossolanamente quadrata, era fornito di una chiusura per riparare il contenuto dalla pioggia. All'interno c'era un pannello di tela che lo divideva in due scomparti: in uno andavano riposte le scarpe, il sacco da polvere e una gamella da latte e nell'altra il pane (la razione per quattro giorni) e gli indumenti che dovessero occorrere per una marcia. Lo zaino era chiuso per mezzo di tre piccole corregge con fibbie di rame giallo ed era portato sulle spalle tramite due cinghie di pelle di mucca verniciate di rosso, come le bretelle del fucile.
Il motivo per cui le carabattole siano chiamate "mmucciglie" va probabilmente ricercato nel fatto che lo zaino così concepito non era forse il massimo della praticità e che anche il suo contenuto lasciava molto a desiderare in fatto di utilità. Modi di dire:

 
"Te la case chiene di mmucciglie" (ha la casa piena di cose inutili);
"So vuiutuate la cantine e so fatte 'na ittate di mmucciglie" (ho svuotato la cantina ed ho gettato via un po' di carabattole).
     
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MOZZADÉTERE

Scorpione. Letteralmente: mozza dita.

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MPASTORAVACCHE

Serpente “Cervone”. È un animale elevato dai contadini quasi al rango di essere mitologico poiché “portatore di corna”. Tale rettile, in realtà, è soltanto una grossa biscia che deve il suo nome al fatto che i pastori quando la incontrano mentre incomincia a cambiare pelle, scambiano per corna la vecchia cute della bocca rivoltata sulla nuca. Il fatto poi che venga chiamato “mpastoravacche” (letteralmente: impastoia mucche) deriva dall’altra leggenda secondo cui il rettile in questione sia ghiottissimo di latte e, per ottenerlo, si attacchi addirittura alle mammelle delle mucche. Oltre, ovviamente, a quelle delle puerpere. Ma qui se volessimo approfondire l’argomento, dovremmo entrare in una serie di racconti paragonabili alla famosa serie “del grottesco” di Allan Poe.

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MUGNARINE

Organo sessuale maschile del maiale. È difficile ricercare l’origine di questo termine: si può solo ipotizzare che derivi dalla parola mungere (in dialetto mogne) o da mingere. Interessante è invece l’uso che veniva fatto di tale oggetto nella società contadina. Partendo dal presupposto che del maiale non si butta via nulla, “lu mugnarine” veniva salato e, appeso a un chiodo, successivamente utilizzato per lucidare e rendere più flessibili gli scarponi dei contadini.
Non mancano, ovviamente, gli aneddoti legati a tale oggetto.
Pare che qualcuno lo tenesse appeso in cucina accanto alle pentole per cucinare, come oggetto decorativo di sicura originalità.
Una nostra compaesana, invece, citò tale oggetto durante la narrazione di una sua disavventura circa una persona chiamata in aiuto per dei lavori nei campi.
La bracciante, presentatasi all’appuntamento in netto ritardo, cercò di scusarsi con la frase: “Nin mi pijece alzàreme prieste la matine.” (non mi piace alzarmi presto il mattino).
Al che la nostra conterranea, sfoggiando un estro poetico probabilmente fino ad allora sconosciuto anche a se stessa concluse: “E l’accuocchie ‘mpacce a stu’ mugnarine!”. (E lo racconti vicino a questo mugnarine!)

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MPUTERE

Immusonito, contrariato, che si irrita per un nonnulla. Si tratta di un termine arcaico di cui non troviamo traccia nel corrispettivo italiano. È stato invece interessante la ricerca dell'etimologia della parola che sembra derivare, come spesso accade, dal latino o, meglio, da una frase latina: "Homo sum, humani nihil a me alienum puto" che letteralmente si traduce in "sono un uomo, non ritengo a me estraneo nulla di umano". In parole più semplici: nulla che sia umano mi è estraneo.
L'espressione è di Publio Terenzio Afro che la usò nella sua commedia Heautontimorùmenos (Il punitore di se stesso) del 165 A.C.
In tale commedia, uno dei personaggi, Cremète, è invitato da Menedemo ad impicciarsi degli affari propri e Cremète risponde con questa frase che, nel contesto della commedia, si può tradurre come "sono un essere umano, e ritengo che tutte le cose umane siano fatti miei".
La parola latina "puto" si traduce molto semplicemente in reputare, ritenere, ma ciò che la rende interessante nella nostra forma dialettale è l'uso che ne è fatto. Come può, infatti, chi si prende carico di tutto ciò che è umano e quindi anche dei problemi, vivere serenamente e non essere contrariato? Di fatto, "Stà mputere". Modi di dire:

 
"Nin gni zi pò dice niente ca stà mputere" (non gli si può dire niente perché si irrita per un nonnulla);
"Auoje lu tiempe sta' mputere" (oggi le condizioni atmosferiche sono variabili).
     
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MUGNARINE

Organo sessuale maschile del maiale. È difficile ricercare l’origine di questo termine: si può solo ipotizzare che derivi dalla parola mungere (in dialetto mogne) o da mingere. Interessante è invece l’uso che veniva fatto di tale oggetto nella società contadina. Partendo dal presupposto che del maiale non si butta via nulla, “lu mugnarine” veniva salato e, appeso a un chiodo, successivamente utilizzato per lucidare e rendere più flessibili gli scarponi dei contadini.
Non mancano, ovviamente, gli aneddoti legati a tale oggetto.
Pare che qualcuno lo tenesse appeso in cucina accanto alle pentole per cucinare, come oggetto decorativo di sicura originalità.
Una nostra compaesana, invece, citò tale oggetto durante la narrazione di una sua disavventura circa una persona chiamata in aiuto per dei lavori nei campi.
La bracciante, presentatasi all’appuntamento in netto ritardo, cercò di scusarsi con la frase: “Nin mi pijece alzàreme prieste la matine.” (non mi piace alzarmi presto il mattino).
Al che la nostra conterranea, sfoggiando un estro poetico probabilmente fino ad allora sconosciuto anche a se stessa concluse: “E l’accuocchie ‘mpacce a stu’ mugnarine!”. (E lo racconti vicino a questo mugnarine!)

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MUNNÀ
MUNNATE

Spazzare, pulire - spazzato, pulito (aggettivo o participio). Il vocabolo deriva chiaramente dall'italiano "mondare" (nettare, pulire appunto). Talvolta lo si incontra nella forma "arimunnà" ("arimunnate"). Modi di dire:

"So' date na munnate alte alte" (ho dato una spazzatella superficiale);
"z'avessa munnà abballe pi li schiele ca stà chine di vricce" (bisognerebbe spazzare le scale ché sono piene di sassolini);
"nin ci passà ecche ca mo so' munnate!" (non passare qui perché ho appena spazzato);
"so' munnate li fasciuole pi li frascarielle" (ho pulito -mondato- i fagioli per la polenta).
     
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MUSCILLE

Gattino appena nato. Nella fase successiva della crescita diventa attucce e, da adulto, uatte.

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MUSCHIGLIONE

Moscone.

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MUTTILLE

Imbuto. Interessante termine che sembrerebbe derivare dall’italiano mitilo (mollusco, dattero di mare). Infatti, la radice latina e greca di tale parola (mi), da cui rispettivamente mitilus e mytilos, indica diminuire (vedi, meno e mutilato). L’imbuto, in effetti, per sua forma tende a diminuire di diametro proprio per consentire al liquido in esso introdotto di confluire nel recipiente sottostante.
Per pura curiosità, c’è da aggiungere che l’accrescitivo di mitilus è modiglione, vale a dire la mensola scolpita posta sotto i gocciolatoi dei cornicioni ed usata in modo particolare nello stile corinzio.
A proposito del “muttillo” è inoltre doveroso narrare questo piccolo aneddoto.
Parecchi anni fa, quando nel nostro paese ancora c’erano molti bambini che frequentavano le elementari, erano in uso i libri illustrati in cui accanto ad ogni oggetto disegnato era indicata anche l’iniziale della parola che il disegno stesso rappresentava.
Un nostro compaesano, allora bambino, nel tentativo di leggere il nome dell’oggetto rappresentato, si semplificava la vita cercando di tradurre in italiano la parola dialettale corrispondente.
Così, mentre puntava il dito sul libro ed indicava l’oggetto, quasi urlando, lo si sentiva sillabare:

la cra-pa
il fu-gno
il cua-no
il mut-til-lo.

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