|
N
CLICK SULLA PAROLA CHE INTERESSA PER AVERE IL DETTAGLIO
|
'NCELLE (ANCELLA)
Olla, giara. Per le spiegazioni sull'uso di questo oggetto, vi rimandiamo alla didascalia della foto pubblicata nella rubrica "Oggetti d'Abruzzo". I due termini italiani sono pressoché indicativi dello stesso soggetto anche se, per dovere di precisione, va detto che l'olla è solitamente più piccola della giara ed attualmente il termine è impiegato per lo più nel linguaggio degli archeologi. Ciò è indicativo del fatto che questo contenitore di terracotta è di origini antichissime ed il suo uso nei secoli è testimoniato dai tanti ritrovamenti di preziosi reperti. La giara, lo dicevamo poco sopra, si differenzia dall'olla per le dimensioni ma sostanzialmente presenta le stesse caratteristiche strutturali e le stesse finalità d'uso. Non ci tragga in inganno la novella del Pirandello ("La giara" appunto) nella quale tale oggetto ha dimensioni talmente grandi da poter contenere una persona al suo interno. In realtà le giare di uso comune erano di formato più ridotto e, così come la botte per il vino, erano spesso destinate alla conservazione dell'olio. Il termine dialettale è di chiara derivazione latina (ancilla: ancella, domestica, serva) con evidente riferimento alla funzione domestica dell'oggetto nonché a quelle raffigurazioni classiche nelle quali le schiave sono spesso rappresentate nell'atto di trasportare anfore sulla testa o sotto il braccio. In una delle tante scene di una divertente e famosa commedia musicale di Roberto De Simone ("La gatta Cenerentola") viene rappresentata una esilarante lite fra lavandaie nel corso della quale volano pittoreschi insulti di ogni genere. Fra i tanti, uno recita "ancellona 'nzivosa!!" ed è indirizzato, nella finzione scenica, ad una popolana dalle forme sgraziate e dai vestiti "impataccati" con macchie di unto.
|
'NCIMINTA'
Dare fastidio, prendere in giro. Deriva dal termine cimentare (mettere alla prova, saggiare) che è sinonimo di provocare, sfidare. È, quindi, un'esortazione al cimento, alla prova. La forma dialettale è molto nota tra i bambini che notoriamente usano canzonarsi, ma anche tra le persone adulte è spesso usata per allontanare gli individui importuni. Modi di dire:
"Nin mi 'nciminta'! " (lasciami in pace, non mi scocciare!);
"và 'ncimintenne li muorte chi dorme! " (dà fastidio ai morti che dormono, rompe le scatole anche a chi non ha la possibilità di reagire).
|
'NMUOGLIADIÈ
Contrazione della frase "Non voglia Dio", equivalente alla più conosciuta "Che Dio non voglia", il termine è un'esclamazione utilizzata soprattutto a conclusione di una frase in cui per qualche motivo si cita un probabile accidente. Un esempio tipico lo troviamo nel seguente modo di dire:
"Si casche da elle sobbre, 'nmuogliadiè, zi spacche la cocce. " (se cade da lì sopra, che Dio non voglia, si rompe la testa).
|
Infilare a forza. Derivante dall'unione della parola latina intro (entro, dentro) e da quella italiana forzare. Quindi forzare dentro.
Modi di dire:
"So ntravurzate lu sùvere a la bottiglie" (ho forzato il sughero nella bottiglia);
"ci lu so ntravurzate nchi lu martielle" (ce l'ho forzato con il martello).
|
'NTUNATE
Contuso. Derivante dal termine italiano intronato (participio passato di intronare) cioè scosso, offeso: proviene, infatti, dal latino attonare (scuotere col fragore del tuono). Modi di dire:
"So sciuviluate e mi so 'ntunate nu vruacce" (sono scivolato e mi sono contuso un braccio).
|
NAZZICÀ
Cullare, dondolare. Deriva dal termine arcaico "azzicare" (che vuol dire muoversi minimamente) a cui è stata aggiunta, come prefisso, la lettera "n". Tale termine è molto usato nel senese ed equivale a cincischiare, gingillare e simili. Modi di dire:
"Nàzziche 'na 'nzegne la cùnele, ca cuscì lu citre z'addorme" (dondola un po' la culla, così il bambino s'addormenta);
"statte ferme nchi su nazzicamiente!" (fermati con codesto dondolio!).
|
NDINDALÒ
Altalena.
|
NDRIMAPPE
Farina assai poco raffinata contenente crusca e grossolane parti del chicco. Veniva impiegata per impastare una rustica pizza (detta appunto "pizze di ndrimappe" ) oppure in alternativa alla farina di mais per fare la polenta.
|
NDRUNGHILIJÈ
Rumoreggiare. È un termine onomatopeico derivante da “ndrung”, simulazione del rumore di qualcosa che urta contro qualcos’altro emettendo suono sordo. Solitamente si utilizza per indicare una situazione di disagio dovuto, appunto, ad un rumore fastidioso e ripetitivo.
Uno dei tanti racconti che narravano le persone più anziane del nostro paese, fa proprio riferimento a tale rumore.
La favola, narra di un padre che, per motivi di indigenza, dovette abbandonare i propri figli nel bosco. Per evitare che si accorgessero delle sue intenzioni, li aveva lasciati in una radura dicendo loro che sarebbe tornato a riprenderli quando avesse finito di tagliare la legna in luogo poco distante.
- Non preoccupatevi se si fa buio. – Aggiunse – Se continuate a sentite il rumore dell’ascia sulla legna, vuol dire che ancora non ho finito e dovete ancora aspettare. –
L’uomo, invece, appena allontanatosi, posò accanto ad un tronco cavo un recipiente vuoto che, muovendosi con il vento, simulava il rumore sordo dell’ascia sulla legna.
Così i bambini, anche quando scese il buio continuavano a farsi coraggio dicendo:
- Siente, ancora fa li lene tate! - (senti, ancora fa la legna papà!)
La frase “Eh, nrunge, ndrunghe, ndrunghe, ancora fa li lene tate!” è spesso ancora oggi usata per indicare, appunto, un rumore che reca fastidio o una situazione in cui ci si prende solo la parte sgradevole e che si prolunga senza fine.
|
NDRUNGHINITE
Immobilizzato. È un termine molto simile al precedente, ma che non trae origine da nessuna onomatopea. In questo caso, infatti, la parola deriva semplicemente da tronco. Si dice infatti che una persona “zè ndrunghinite” quando non riesce più a muoversi agevolmente o affatto.
|
NGANNADORE O NGARNADORE
Esca. Il termine si riferisce generalmente ai bocconi che sono posti nei punti di passaggio della selvaggina per attirarla e catturarla, ma figurativamente è usato anche per indicare un imbroglio, un inganno (parola italiana da cui, chiaramente, deriva).
Un discorso a parte va fatto per quanto riguarda la parola dialettale “escche” con cui si fa riferimento sia all’esca vera e propria di cui sopra, ma anche e soprattutto al materiale usato per accendere o ravvivare il fuoco. Si è, infatti, solito dire “è secche gnè n’escche” (è secca come un’esca). Modi di dire:
"Statte attiente prime d'accunsintì, ca pi niente è 'na ngannadore!" (stai attento prima di dare il consenso, come niente potrebbe essere un inganno!).
|
NGUCCIATE
Intestardito. È molto facile trovare il riferimento etimologico di tale termine: deriva chiaramente da incocciare (da coccia, intesa come testa). Interessante è invece l’uso che solitamente ne viene fatto, o meglio, ne veniva fatto, nel nostro paese. Quando si andava a lavorare nei campi nel periodo estivo, ci si alzava prestissimo per tornare a casa “prime chi ngucciave lu sole” (prima che il sole diventasse troppo caldo).
|
NGURDINÌZIE
Alimenti per persone ingorde. Di solito si riferiva alle carni molto grasse (soprattutto maiale ed insaccati), ma anche a primi a base di pasta con condimenti molto pesanti.
|
NNICCHIERE
Campo incolto, in stato di abbandono. E' stupefacente l'ètimo di questa parola che deriva dal termine italiano "nicchia" non nella sua accezione più comune (incavo) ma in quella dottissima che, in ecologia, indica specificamente il luogo in cui si realizzano i fattori ambientali convenienti alla crescita di una specie. La "nnicchiere" è quindi una sorta di microcosmo ecologico nel quale si sono prodotte naturalmente tutte le condizioni vitali che consentano la crescita spontanea (selvatica) delle piante. Il termine italiano in questione deriva dal verbo "nicchiare" (sempre in tema di scienza ecologica) che deriva a sua volta dal latino volgare "nidiculare" cioè mostrare ostilità (aspetto selvatico): la stessa che mostra una "nnicchiere" ricoperta di rovi. Il termine offre lo spunto per narrare un gustoso aneddoto di qualche tempo fa. Una vecchia donna, stabilitasi a Fallo da un altro paese in tempi di maggior gioventù, era nota a tutti per le sue stramberie ma soprattutto per il singolare fatto di aver avuto ben tre mariti. Nel raccontare le sue vicissitudini soleva definire le alterne vedovanze come periodi in cui era stata "na bella nnicchiere a spasse." (un bel campo incolto e . disponibile - a spasso -).
|
NNOCCHE
Fiocco, nodo (decorativo). Dall'italiano "nòcchio", termine della botanica col quale vengono genericamente indicati i "nodi" che alterano la linearità di un ramo o di un tronco: Cresce l'abete schietto e senza nocchi (Poliziano). In dialetto il termine viene usato al femminile e, per allegoria, riferito al "nodo" decorativo col quale viene serrato un nastro per farne un fiocco. Modi di dire:
"Mittive na bella nnocche a la vistarelle di la citre" (misi un bel fiocco al vestitino della bimba);
"z'attacchette li capille nchi na nnocche" (si legò i capelli con un fiocco: li raccolse a "coda di cavallo");
"facive na nnocche a la mandricchie" (feci un nodo alla "mandricchie" - vedi vocabolario - ).
|
NTRATTALATE
Incastrato. Termine probabilmente derivante dalla parola tartaro, da cui intartarato, vale a dire, coperto di tartaro. Il dizionario etimologico fa derivare quest’ultimo vocabolo dal francese tartre, dall’inglese tartar e dal latino degli alchimisti tartarum, definendolo come sedimento, deposito, feccia del vino e dell’olio.
Com’è noto, la formazione del tartaro sulla superficie di due oggetti posti a contatto, ne compromette la scorrevolezza ed è quindi come se fossero incastrati, da qui il termine dialettale.
Il 15 febbraio 1961 ci fu un’eclisse totale di sole, l’ultima osservabile dall’Italia nel secolo scorso e, anche nel nostro paese, i molti abitanti di allora si organizzarono per osservarla nel migliore dei modi.
Alle 8,19 di quel giorno (momento in cui il Sole fu completamente oscurato) in molti si trovavano su Colle Rosso o in diversi punti panoramici del paese ad osservare il fenomeno.
Fu in quell’occasione che qualcuno pronunciò la frase: “Da sobbre a La Plazze zi vete proprie bbuone la Lune ntrattalate dentre a lu Sole” (Da “Sopra alla Piazza” si vede proprio bene la Luna incastrata dentro al Sole).
|
NTRATTIÉ
Letteralmente vuol dire intrattenimento, ma la parola, di solito, era usata dagli adulti quando, per qualsiasi motivo, si volevano allontanare i bambini. È tipica la frase: va da la zie ca ti dà na nzè di ntrattiè (vai da zia che ti da un po' d'intrattenimento).
|
NZEGNE
Poco, in minima quantità. Decisamente bizzarro questo termine che, specialmente nella forma più contratta, nasconde abilmente il suo ètimo. Il significato indicato non allude esclusivamente ad una quantità tangibile o fisica ma, al pari delle corrispondenti forme idiomatiche italiane, anche ad un valore figurato, morale, qualitativo (vedere in calce nei "modi di dire"). Il vocabolo deriva dall'italiano "insegna" (e ne conserva anche il genere femminile) nel suo significato più arcaico di ".(omissis) contrassegno atto a fornire un riferimento quantitativo nell'ambito di convenzioni specifiche". Per abuso linguistico, il termine è poi passato ad indicare la porzione "più piccola" del citato riferimento quantitativo. Del resto, già nella società medievale il popolo soleva ironicamente definire col termine "insegna" una esigua quantità di qualcosa con chiaro riferimento alle indicazioni riportate su alcune "insegne" pubbliche, volute per ordinanza dei Feudatari, che recavano il costo di taluni prodotti riferito alle quantità minime (per contenerne, almeno visivamente, il costo.!).
Modi di dire:
"Damme na nzè (nzegne) di pane" (dammi un po' di pane);
"vite na nzè a cusse !" ( ma guarda un po' costui - che pretese - !);
"stave na nzè ngustidijete" (era un po' angustiato );
"che c'eia fa chi sta nzè ?" (che ci devo fare con questo poco? - che me ne faccio di così poco?).
|
NZERRAPORTE
Onisco o Porcellino di Terra. Insetto appartenente agli Artropodi (in greco arthron = articolazione e pus = piede) che risiede in luoghi molto umidi. Letteralmente: serra porta. Il termine in dialetto forse dipende dal fatto che l'insetto, quando disturbato, tende a richiudersi fino ad assumere la forma di una pallina. Viene anche chiamato Purchitte di Sant'Antonie (Maialino di Sant'Antonio).
|
|
|
|