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Ammucchiate o, forse, attaccate. Non esiste un corrispettivo italiano per questo termine veramente particolare e forse in uso soltanto nel dialetto fallese. Con tale parola, infatti, ci si riferiva al modo in cui le pecore si disponevano per ripararsi dalla calura estiva: in cerchio, attaccate l’una all’altra e con la testa rivolta verso l’interno.
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ACCIACCATE
Acciaccare, pestare, schiacciare - acciaccato,
pestato, schiacciato. È questo un termine che trova
il suo impiego in tutte le corrispondenti forme della lingua
italiana incluse le accezioni idiomatiche. Tuttavia alcune
forme figurate dialettali sono particolarmente gustose e ve
le riproponiamo qui di seguito nei Modi
di dire:
"Acciaccà l'ove" (schiacciare le uova): procedere con andatura flemmatica,
pigramente, svogliatamente;"vò fà
lu signore ma è nu' 'cciacca piduocchie.!" (si
dà arie da signore ma è uno "schiaccia-pidocchi" - un pezzente -);"è cuscì gliuttone ca z'abballe tutte cose senza acciaccà"
(è così ingordo che inghiotte ogni cosa senza
masticare);"acciaccà l'ove
dentre a lu liette" (schiacciare le uova nel letto):
è riferito a chi ama oziare nel letto al mattino o
a chi si finge malato per starsene sotto le lenzuola a poltrire
delegando ad altri le varie incombenze;"mi z'à da
'cciaccà la lenghe si sò ditte coccose de chille
chi sò sintute!" (che mi si schiacci la lingua
-sotto i denti- se ho riferito una sola parola di quello che
ho sentito!): espressione usata per rassicurare qualcuno sulla
propria discrezione nel non riferire segreti o notizie riservate; "fa nu fridde chi
z'acciacche la cicerchie!" (fa un freddo che -battendo
i denti- si acciacca la cicerchia).
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ACCUÒCCHIE
Mettere insieme, concludere. Generalmente
è usato come negazione (nin'accuòcchie)
ed in forma dispregiativa per indicare qualcuno che non
è in grado di concludere o combinare qualcosa di
concreto. In senso metaforico è usato anche riferito
a persona con scarso giudizio che compie gesti avventati.
Deriva dal termine italiano cucchiaio
(usato appunto per raccogliere) che a sua volta proviene
dal latino "cochlea" (conchiglia,
chiocciola), forse perché il guscio di questi animali
rappresentò il primo strumento naturale usato dall'uomo
per portare i liquidi alla bocca. Modi
di dire:
"Nin ci parlà
nchi culle, ca n'accuocchie" (non parlarci con quello,
ché non capisce, non è in grado di concludere
nulla;
"chi t'accuocchie?
" (Cosa dici? Cosa stai cercando di concludere?).
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ACCUNCIATE
Aggiustare/aggiustato (nel senso di riparato). Il termine
viene però usato anche con altri significati: preparato,
condito, azzimato, collocato alla meno peggio. Modi
di dire:
"Z'era rutte e lu
sò accunciate" (si era rotto e l'ho aggiustato);
"m'accuncive 'nu belle
piattucce di sagne" (mi preparai un bel piatto di lasagne);
"ti sò accunciate
lu liette" (ti ho preparato il letto);
"sò accunciate
la paste nchi nu suche di lebbre" (ho condito la pasta
con un sugo di lepre);
"iette a la Chiese
tutt'accunciate" (andò in chiesa vestito di
tutto punto, con insolita cura, azzimato);
"l'accuncive ammonte
pi nu capischiele" (lo collocai alla meno peggio su
per un ballatoio).
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ADDUNATE
Accorgersi. L'etimo della parola deriva probabilmente
dal latino ad donare (darsi,
dedicarsi). Dei tanti modi di dire
che richiamano questa parola ricordiamo per tutti quello utilizzato
dai bambini quando canzonavano un loro coetaneo a cui avevano,
a sua insaputa, posto sulla testa o nelle tasche una pagliuzza
o un piccolo pezzo di carta: "L'uàsine
caricatore, porte lu pise e nin zi n'addone" (l'asino
caricatore, porta il peso e non se n'accorge).
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AGGHIAIJETE
Letteralmente si traduce come agghiaiato che vuol dire
spargere ghiaia, coprire di ghiaia, ma nel nostro dialetto
l'utilizzo che viene fatto del termine propende a credere
che possa senz'altro essere tradotto come ghiacciato o agghiacciato.
Sono, infatti, abbastanza ricorrenti le frasi:
"Lu citre mi z'è
agghiaijete" (il bambino mi si è agghiacciato,
per lo spavento);
"dafore mi so' agghiaijete
pi lu fridde" (fuori mi
sono ghiacciato per il freddo).
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AGNILINE
Particolarissimo termine che non ha un corrispettivo nella
lingua italiana più corrente. La parola indica le gengive
(solitamente dei vecchi) dopo la perdita della dentatura.
Secondo alcuni, il vocabolo potrebbe derivare da "agnellini"
con chiaro riferimento alle rosee gengive di questi animali
durante il periodo dell'allattamento materno; secondo altri,
il termine deriverebbe da "anellini" con riferimento figurato
agli alveoli gengivali rimasti sprovvisti di denti (e che
si presentano, appunto, come tanti "anellini" vuoti).
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ALÀ
Sbadigliare. Il termine dialettale è la forma contratta
dell'italiano "al(it)are" del quale, tuttavia, non conserva
lo stretto significato originario (emettere alito, respirare
delicatamente). Anzi, per abuso linguistico, designa l'azione
esattamente opposta (lo sbadiglio è l'emissione anomala
e violenta del respiro). Modi di dire:
"Chi ale, poche vale" (chi
sbadiglia vale poco: è riferito a chi, sbadigliando,
manifesta svogliatezza ed inoperosità); colui che "ale"
viene saggiamente ammonito con il detto "o
è suonne, o è fame, o è la morte chi
lu chiame" (o è sonno, o è fame, o è
la morte che lo chiama: è uno scherzoso "sfottò"
col quale vengono riepilogati i casi più frequenti
di sbadiglio, incluso quello tragico della morte nel quale
il termine si riappropria del suo significato italiano - emettere
l'ultimo alito, esalare l'estremo respiro - ).
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ALANNE
Alare: ciascuno dei due arnesi da focolare o da caminetto,
di pietra ma per lo più di ferro o altro metallo, usati
per tenere sospesa la legna sì che arda meglio. Il
termine deriva dal latino Lares,
divinità del focolare domestico, incrementato con ala.
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AMMUPILITE
Avvilito, abbattuto. Il termine deriva, con ogni probabilità, dall’altra parola dialettale “mupe” (muto). Probabilmente, non esistendo in dialetto il corrispettivo lemma per indicare la condizione d’avvilimento, è stato utilizzato il termine che più si avvicina a tale situazione (ammutolito).
Per quanto riguarda poi la parola “mupe” di cui sopra, basta far riferimento al “modo di dire” già riportato nelle pagine di questo sito: “è n’aspite mupe” (è un aspide muto) riferito a persona poco raccomandabile che come una vipera ti colpisce silenziosamente.
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AMMUSCILITE
Avvizzito.
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Mano nella mano. Termine formato dall’unione delle due parole dialettali "appiccia" e "miene" preceduti dal prefisso "a".
In particolare la parola appicciare, nel dizionario etimologico, è definita come “far piccie o coppia di cose in modo che restino insieme attaccate”, mentre miene è semplicemente la forma dialettale del termine mani.
Ne deriva quindi che la locuzione, tradotta letteralmente, vuol dire “attaccare insieme le mani”.
Modi di dire:
"Piglie la citre appicciamiene e nin la lassà!"
(prendi la bambina per mano e non lasciarla!
).
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ANGHE
Mascelle. Derivante probabilmente da ancia ossia (dizionario etimologico) linguetta mobile che vibrando apre e serra alternativamente il passaggio dell’aria in una canna e, propriamente, l’imboccatura di vari strumenti musicali. Modi di dire:
"I zè vultate li anghe pi lu fridde." (gli si sono girate le mascelle per il freddo).
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Litigati. Deriva probabilmente dalla
contrazione del verbo annichilire derivante dal latino "nihil"
niente. È nota a tutti la corrente nichilista
i cui membri negavano in modo definitivo e radicale l'esistenza
di qualsiasi valore in sé e la sussistenza di una
qualsivoglia verità oggettiva. Il termine nichilismo
è poi diventato d'uso consueto grazie anche alla
notorietà che lo stesso nichilismo russo ha dato
a tale locuzione con il romanzo "Padri
e figli" di Turgenev
pubblicato nel 1862.
In definitiva la parola vuol dire ridurre
al niente, annullare. Del resto le persone che non sono
in buoni rapporti o che hanno litigato, spesso si ignorano
completamente ed è quindi come se si annullassero
a vicenda. Modi di dire:
"A la case di chilli
i nin ci veje picchè ci stienghe annillite"
(a casa di quelli io non ci vado perché ci ho litigato).
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Di questa parola non esiste un corrispettivo termine italiano poiché si tratta di un salume tipico dell’Abruzzo. Chiamato anche "nuje" o "annuje" e spesso tradotto in “annoia”, l’insaccato ha un aspetto simile alla salsiccia ed è ottenuto utilizzando lo stomaco e la parte finale delle budella del maiale. Tali ingredienti puliti e tenuti a bagno in acqua e farina di mais vengono successivamente bolliti, tagliati a piccole strisce, amalgamati con sale e aromi (peperoncino piccante, aglio, semi di finocchio, bucce d'arancia, eccetera) e insaccati in budella dello stesso animale. Non è stagionato e può quindi essere consumato già qualche giorno dopo la sua preparazione.
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ARCHE
Mobile di legno piuttosto profondo nella quale si conservava
il pane ed altri generi alimentari. Solitamente era assemblato
senza l'uso di chiodi o con chiodi di legno. Madia.
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ARE
Aia, spiazzo destinato allo svolgimento di lavori agricoli
o all'allevamento di animali da cortile. Nella tradizione
agricola, ogni podere è generalmente dotato di un'aia
privata sulla quale svolgere le suddette attività ma
in alcuni paesi esistono aie pubbliche delle quali l'intera
comunità può servirsi. A Fallo sono note l'Ara
di Carrusce (Aia di Collerosso) e l'Arantiche
(Aia antica). Di più recente memoria sono le folcloristiche
(e stremanti) trebbiature che si svolgevano su Collerosso
e che costituivano per i bambini occasione di gran festa (v.
anche foto in rubrica). Modi di dire:
"Sobbre a su colle si fatte l'are,
ma nin ci trische !" (hai costruito la tua aia su quel
colle, ma non ci trebbierai). Con questa espressione ci si
rivolge ironicamente a qualcuno per disilluderlo dalla convinzione
di portare a buon fine un progetto mal pensato o, più
spesso, per comunicargli di aver intuito una sua subdola intenzione
e di essere pronti ad ostacolarne la realizzazione impedendogli
così di trarre profitto ("trescare")
dal progetto ("l'are") preparato
sopra la base dell'inganno ("sobbre a
su colle").
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ARICALLÀ
Zappettare. Il verbo indica l'esecuzione di una zappatura
leggera del campo che permetta alla terra di "respirare" in
attesa della successiva lavorazione. L'étimo della
parola è da ricercare nel vocabolo arcaico "calla"
col significato di apertura, varco, solco, passaggio: "ri-callare"
significa quindi "ri-aprire" i solchi del terreno. Modi
di dire: "Aricallà la vigne"
(zappettare il vigneto).
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Scegliere, ma anche sbucciare. Deriva dal
termine, a sua volta dialettale, "capare".
Quest'ultima parola è il corrispettivo dell'italiano
cappare, alterazione della parola latina "càpere",
vale e dire prendere. Dalla stessa radice proviene anche il
vocabolo captare, derivante dalla parola "capo", quasi "prendere
per capi le cose che si vogliono separare dalle altre".
È noto nel nostro paese, a proposito
di questo termine, l'aneddoto riguardante un certo Zi'
Riche (Zio Rico), vecchio misantropo e male in arnese
che sovente era oggetto di scherno da parte dei discoli che
scorazzavano per Fallo. Un giorno il vecchio, stanco delle
tante angherie subite, quando vide avvicinarsi un gruppo di
ragazzetti certamente intenzionati allo sfottò, giocò
d'anticipo chiedendo loro a bruciapelo: "Uagliù,
tinete nu curtillucce?" (ragazzi, avete un coltellino?).
I ragazzini restarono un momento interdetti e lui, approfittando
della loro sorpresa, aggiunse: "e allore
aricapàteve stù pirucce!" (e allora sbucciatevi
questa piccola pera), facendo seguire le parole da un sonorissimo
peto.
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ARIGRUGLIETE
Stropicciare, aggrinzito. Deriva probabilmente dalla parola
griglia (in latino graticula). In architettura, la griglia
è "una piattaforma a graticola di grosso legname che
si fa in un fondo cedevole sul quale si vuol piantare una
fabbrica". Modi di dire:
"Mi zè arigrugliete
tutte lu vistite" (mi è aggrinzito tutto il
vestito);
"Assèttete
bbuone ca sinnò ti z'arigruglie la 'onne" (siediti
bene altrimenti ti si aggrinzisce la gonna).
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ARIMMANTÀ
Coprire in senso generico, ma metaforicamente vuol dire
anche nascondere le malefatte o l'operato di qualcuno. Deriva
dal termine ammantare (mettere addosso il manto o veste simile
a manto) Modi di dire:
"So date 'na rimmantate
a lu liette" (ho coperto il letto alla meno peggio);
"Nin ti pozze i sempre
arimantenne" (non posso
continuare a coprire le tue malefatte).
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ARIMUSCILIJÈ
Frugare, mettere in leggero disordine tentando di trovare
qualcosa. Deriva forse dal termine dialettale muscille
(gattino) con probabile riferimento
al modo che hanno i gatti di rovistare. Modi
di dire: "Và sempre arimuscilijenne
pi la case" (va sempre frugando per casa).
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Accapponare. Bellissimo e arzigogolato
termine ancor oggi molto usato e derivante dalla parola italiana
aggricciare che il dizionario etimologico definisce nel modo
seguente: composta dalle particelle "ad"
e "gricciare" ovvero
per "ad-ricciare" cui
è stata introdotta la "g" per facilitare
il suono. Il vocabolo è tuttora in uso nel nostro dialetto
nella forma "mi fa aringriccilijè
li chierne" (mi fa accapponare le carni).
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ARINTENNE
Sapere, avere conoscenza, essere pratico di qualcosa.
La parola trae origine dal termine italiano intendere (udire,
sentire, capire, avere in animo, avere volontà cioè
volgere i sensi o la mente ad un dato obiettivo) ed è
formata dalla particella "in" (verso) e "tendere" (mirare),
quindi mirare verso. Modi di dire:
"Nin zi n'arintenne
pi niente" (non se ne intende proprio);
"M'intenne, m'intenne!"
(mi capisco da solo cosa voglio dire!).
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ARIPPANNÀ
Socchiudere. Deriva chiaramente dalla parola italiana
appannare (coprire come di un panno e quindi offuscare). In
maniera figurata ci si riferisce anche alla vista che è
resa meno chiara ed acuta, ma anche al lume dell'intelletto.
Modi di dire:
"Arippanne la porte
ca sinnò entre li mòschele" (socchiudi
la porta altrimenti entrano le mosche);
"So viste la porte
arippannate e so 'ntrate"
(ho visto la porta socchiusa e sono entrato).
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ARIPICCILIJÈ
Litigare per futili motivi. È molto
probabile che derivi dalla parola "piccio",
termine partenopeo abbreviativo di capriccio. Quest'ultimo
vocabolo (proveniente dal francese "caprice") è
così definito nel dizionario etimologico: voglia o
idea, che ha del fantastico e dell'irragionevole, e per lo
più nasce in modo subitaneo, per leggerezza di natura
o per poca riflessione. Probabilmente da "capro" animale di
bizzarra natura, di corto cervello, ovvero come se dicesse
cosa inattesa che balza dal cervello, quasi salto di capra.
Con il termine "piccili",
inoltre, nel dialetto siculo, sono definiti i bambini i quali,
notoriamente, spesso litigano per motivi che, almeno agli
adulti, appaiono insignificanti. Modi
di dire:
"Onne stà sempre
a arippicilijèrize" (litigano continuamente
per un nonnulla).
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ARIVULTRIJÈ
Frugare in maniera disordinata, ma anche rotolarsi o avvoltolarsi in qualcosa. Deriva chiaramente dal termine rivoltare (francese revolter, portoghese revoltar). Revolutus è inoltre, il participio passato della parola latina revolvere (volgere indietro)
Spesso gli asini e i muli liberati dal peso della soma, per grattarsi la schiena usano, dopo essersi sdraiati sul dorso, rotolarsi più volte a terra. In questo caso si dice appunto che “l’uasine z’arivultreije” (l’asino si rotola). Modi di dire:
"Ha rivultrijete tutte lu trature di lu cumò pi i truvenne lu fazzulette" (ha messo a soqquadro tutto il comò per cercare il fazzoletto);
"zi va arivultrijenne ‘nterre e arivè a la case tutte vritte" (si rotola per terra, si siede dappertutto, e torna a casa tutto sporco).
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ARIVUNTÀ
Tracimare, traboccare. Termine derivante da “vontare” che troviamo con diverse varianti in molti altri dialetti italiani. Tante sono le ipotesi sull’etimologia della parola ed alcune piuttosto fantasiose. Le più attendibili sono quelle che fanno derivare il termine dal verbo latino vòmere (vomitare) e dalla contrazione di re-voltare. Nel nostro paese la parola è di uso molto comune quando si parla del liquido che trabocca da un recipiente a seguito della bollitura (lu latte arivonde: il latte trabocca; arivonde lu cutture nchi li maccarune: trabocca il paiolo con i maccheroni).
A proposito dell’uso di tale termine, nel nostro paese, si racconta il seguente aneddoto.
Molti anni fa, durante un’allegra serata trascorsa a gozzovigliare, un nostro conterraneo aveva talmente ecceduto nel bere da non essere più in grado di alzarsi da tavola. Quando il suo stomaco non riuscì più a contenere tutto il liquido ingurgitato decise che era il caso di liberarsene di almeno una parte inducendo il vomito. L’uomo che, come già detto, non era più in grado di alzarsi, risolse il problema semplicemente chinandosi da una parte e svuotando l’eccesso in terra.
A questo punto qualcuno degli altri commensali, forse il più lucido dell’allegra brigata, commentò l’accaduto con la frase: “Ha ‘rivuntate lu buttiglione”.
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ARIZILÀ
Riordinare. L’etimo di questo termine è piuttosto interessante. La traduzione letterale corrisponde più o meno a ri-celare (cioè nascondere di nuovo). “Zilà” è, infatti, è la forma dialettale e contratta di celare, mentre il prefisso “ari” indica, come in altri dialetti (ad esempio nel romanesco), un’iterazione (ari eccoce, ari provace, eccetera).
Nel nostro dialetto il termine è spesso usato anche per indicare un modo di essere. Ne è un esempio la frase “gnà stiè bielle arizilate!” (come sei vestito bene) o “chi bielle vistite arizilate!” (che bel vestito elegante!)
Molto più comune è però l’espressione “so date ‘na rizilate a la cambre di lu liette” (ho dato una riordinata alla camera da letto).
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Deriva da "a scemare", diminuire poco
a poco, come l'atto di chi riempie a più riprese un
piatto da un vassoio più grande diminuendone, pian
piano, la quantità.
Il termine deriva anche dall'intransitivo
deperire, consumarsi e dal transitivo ridurre, scontare
(riferito al valore di una pena pecuniaria).
Di tale vocabolo troviamo riferimento
in alcuni antichi scritti di cui di seguito riportiamo due
esempi.
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Titolo: Pianto delle Marie (secolo
XIII);
Autore: anonimo;
Edizione: Testi volgari abruzzesi
del Duecento;
Testo: La blanca faça
tuct'è mutata; / Queste toi carne sonne assemate
/ Per le frustate ke cce son date!
In questo caso, il termine assemate,
sta per consumate.
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Titolo: Cronaca aquilana rimata
(1362);
Autore: Buccio di Ranallo;
Testo: Mandambonci dui scindici
denanti ad re Roberto; / Uno fo missere Bonohomo
che era multo sperto, / L'altro fo lo preposto,
questo agiate per certo; / Dui milia once assemarono;
abembolo per merto.
In questo caso, il termine assemarono,
sta per ridussero, scontarono (riferito al valore
di una pena pecuniaria).
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Modi di dire:
"Mi so assimate
nu pijette di sagne" (mi sono "misurato" un piatto
di lasagne);
"Assime, assime,
ca sinnò c'iavanze! " (misura, misura, altrimenti
ci avanza!) Frase usata, di solito, quando si vuole invitare
qualcuno a servirsi ancora di qualche pietanza.
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ÀUTE
Contenitore di legno usato per il trasporto del pane. Il termine deriva probabilmente dal partenopeo ed in particolare dalla parola “àveto” (alto). Considerando, infatti, la grandezza di una pagnotta di pane, per poterne trasportare più di una sarà necessario un contenitore di opportune dimensioni, piuttosto alto, appunto.
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