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PALIATONE

Bastonatura. È un accrescitivo di paliata, termine di origini partenopee con identico significato del nostro dialetto. La parola napoletana deriva a sua volta dal termine spagnolo “apalear” che vuol dire, appunto, battere.
In una scena del film “Totò e i re di Roma” (Steno, Monicelli), il termine paliatone è usato dallo stesso Totò per porre ad Alberto Sordi (nella veste di un antipaticissimo insegnante esaminatore) la specifica domanda: “E allora mi saprebbe dire che significhi la parola paliatone?”.
Nel film, il saccente maestro non sa rispondere e Totò gli spiega il significato del termine dandogli una dimostrazione pratica.

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PALLANTINE

Coccinella dai sette punti. È il noto e grazioso coleottero presente su tutta la nostra penisola dove, di regione in regione, viene definito con appellativi diversi: madonnella, mariola, gallinella del Signore, ecc. Probabilmente il termine del nostro dialetto vuole alludere alla caratteristica forma di questo piccolo insetto che sembra, appunto, una pallina rossa picchiettata di nero. Coloro che sono stati bambini in tempi assai lontani, ricorderanno certo le numerose "pallantine", che volavano nell'aria durante il periodo estivo e che spesso si posavano sui vestiti suscitando stupore e fascino. Spesso venivano poggiate sul dorso delle piccole mani e si esprimeva un desiderio: al volo dell'insetto, il desiderio si sarebbe realizzato.

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PAPARASCIANNE O PAPARACIANNE

Stura lavandino a ventosa. Termine arcaico e ormai di scarsissimo uso nel nostro dialetto, è certamente interessante dal punto di vista fonetico. È impresa ardua cimentarsi nella ricerca dell’etimologia di tale parola dato che se ne trovano pochissimi riferimenti e tutti con significati diversi rispetto a quello che ne viene dato a Fallo.
Per non allontanarci troppo dalla terra d’Abruzzo prenderemo come riferimento il dialetto partenopeo che tanto simile è al nostro. Nel napoletano, infatti, il paparacianne è sia il barbagianni (uccello rapace notturno) sia (udite, udite) l’organo sessuale maschile.
Non c’è proprio limite alla fantasia!

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PAPARUOCCHIE

Ragnatela. È difficile trovare l’etimologia di questo termine. Si può ipotizzare che derivi dall’italiano papocchio che il dizionario definisce come intrigo, imbroglio, pasticcio. Occorre però anche ricordare che nella forma dialettale con la parola "rocchia" s’intende un groviglio di sterpaglia e di spine. Il dizionario etimologico definisce il rocchio come rotolo e la “rocchia” potrebbe essere quindi la storpiatura di tale lemma.
Quindi, sempre restando nell’ambito dell’ipotesi, il termine dialettale potrebbe essere scaturito dalla fusione e dalla successiva trasformazione delle parole papocchio e rocchio che rende molto l’idea di qualcosa da cui è difficile districarsi com’è, appunto, la tela del ragno.
Modi di dire:

"So’ calate a la cantine, ci stave cierte paparuocchie chi pareve tendìne" (sono sceso in cantina, c’erano certe ragnatele che sembravano tende).

     
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PAPOSCE

Nel dialetto partenopeo con tale termine ci si riferisce all’ernia inguinale che è, appunto, un rigonfiamento.
Nel gergo fallese, come già sopra specificato, la parola ha un significato generico, per cui tutto ciò che è gonfio è considerato “paposcia”, a partire quindi dall’ernia vera e propria, fino a giungere agli attributi sessuali sia maschili che femminili passando per il gonfiore dovuto alle punture di insetti.
Ma non è tutto. Nel nostro dialetto con “paposcia” si intende anche la pantofola e ciò si spiega nel fatto che, sempre nell’idioma napoletano, con “papuscio” ci si riferisce proprio a tali oggetti.
Infine, in Puglia, per provare la temperatura del forno prima di cuocervi il pane, si era soliti introdurvi un pezzo di pasta chiamata appunto “paposcia”: se quest’ultima lievitava bene, anche il pane sarebbe stato buono. Per non sprecare nulla, la “paposcia” così ottenuta, tagliata a metà, farcita con olio e formaggio e rinfornata veniva poi mangiata.
Oggi in Puglia, tale “paposcia” è considerata una prelibatezza.

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PICCICUÒGLIE

Peduncolo. È un termine arcaico ormai quasi non più in uso, sostituito dal più “moderno” picciuole derivante chiaramente dall’italiano picciolo.
La parola sembrerebbe proprio l’insieme della prima parte del vocabolo picciolo (picci) e di “cuoglie” che nel nostro dialetto sta per cogli (indicativo presente del verbo cogliere).
Come dire: cogli il picciolo dalla pianta.

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PASSONE

Bastone. Anche se ormai poco usato, questo è comunque un termine italiano con la stessa accezione della parola dialettale. A conferma di ciò basti dire che la staccionata dei recinti è, in alcuni casi, chiamata anche passonata. Il dizionario etimologico definisce così il vocabolo: grosso e lungo palo. In questo sito si è già parlato di questa parola a proposito di un nostro compaesano buontempone che si divertiva a mescolare termini della lingua inglese con parole dialettali. Se volete saperne di più in merito fate click qui.

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PINCE

Tegola. Il termine è ancor oggi utilizzato in maniera corrente proprio per indicare i coppi del tetto. Non c'è nessun riferimento al noto quartiere romano del Pincio ed alla relativa e notissima terrazza, poiché tale luogo deriva dal nome proprio latino Pincius.
Il dizionario etimologico descrive il termine pincio nel seguente modo: nel senso di Pina dell'abete che non può disgiungersi dal latino PINEA pina, mediante una forma pinius, pinjus, ovvero pinculus.
L'associazione a questo punto è abbastanza chiara: le scaglie che formano la pigna, quando è matura, sono sovrapposte le une alle altre proprio come le tegole del tetto. Modi di dire:

"Mi zè rutte tre pince a lu titte e mò mi chiove sobbr'alliette" (mi si sono rotte tre tegole sul tetto ed ora mi piove sul letto);
"zà frusciuate tutte li solde e mò zè misse a fa lu pinciare" (riferito a persona che avendo sperperato tutto è costretto a rivendere le tegole di qualche stalla o addirittura della propria casa: ha sperperato tutti i soldi ed ora si è messo a fare il venditore di tegole).

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PIPILIJÈ

Pigolare. Deriva dall’italiano pipiare o pipilare, riferito al verso dei passeri o dei pulcini. Il termine è usato molto spesso anche in contesti diversi come, ad esempio, il rumore che fa un liquido prima dell’ebollizione quando emette delle piccole bolle. Modi di dire:

"L'acche ancora nin volle, ma sta già pipilijenne" (l’acqua ancora non bolle, ma sta già pipiando).

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PIRTOSE

Asola. È un lemma derivante dal partenopeo pertuso (da cui, in fallese, il maschile pirtuse) che, genericamente, significa buco, pertugio. Il dizionario etimologico fa derivare il termine pertugiare dal participio passato di pertundere: traforare, bucare battendo, composta da “per” (a traverso) e “tundere” (battere, percuotere). Trattandosi di un buco non mancano ovviamente riferimenti a parti anatomiche, ma questo è un altro discorso…

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PITITTE

Contenitore di coccio decorato. Capacità: due litri. Parola di probabile origine francese (petit: piccolo).

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PITRISINNE

Prezzemolo. Spesso in cucina si usava il termine "pitrisinne finiserbe" che vuol dire prezzemolo tagliato sottile (probabilmente dal latino finis erbae).

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PIZZUCHE

Corto bastone di legno. Solitamente tale oggetto era usato nella semina per fare i buchi nel terreno dove venivano posti i semi. Con tale termine ci si riferisce anche alle traverse che tengono insieme le gambe delle sedie. Deriva da pizzo che nel dizionario etimologico è definito come “cosa che termina a punta”. Modi di dire:

"So’ fatte nu buche ’nterre chi nu pizzuche e ci so ficchiete dentre lu cuacchie" (ho fatto un buco in terra con il bastone e ci ho infilato dentro il germoglio);
"leve li piete da sobbre a lu pizzuche di la segge ca piere ‘na ‘alline arisidute" (togli i piedi da sopra le traverse della sedia che sembri una gallina sul posatoio).

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PRICCANZELLE

Nell'attuale accezione, il termine indica in senso generico una ghiottoneria. In origine la parola indicava esclusivamente la strenna natalizia che i bambini ricevevano dai parenti più stretti (solitamente i nonni o gli zii) e che consisteva in un fagottino (ricavato da un fazzoletto o da una "mandricchiola" -vedi vocabolario-) contenente qualche prelibatezza da mangiare: una mela, un mandarino, qualche noce, sorbe e "caracine" (fichi secchi).

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PRICOCHE

Pesca. Il termine deve la sua origine ad una specialità del frutto in questione avente la polpa gialla. Particolarmente ricercata è la Percoca Giallona di Siano (Campania) che, associata al vino rosso, è ritenuta molto prelibata.
Fin qui l’utilizzo culinario della parola. Nel nostro paese però il termine è usato in ben altri contesti, infatti, con tale lemma solitamente ci si riferisce, e spesso in maniera dispregiativa, all’organo sessuale femminile. Senza entrare nei dettagli, che senz’altro i nostri compaesani conoscono, basti dire che la “pricoche” è usata collegandola a qualche parente stretto (solitamente madre o sorella) di una persona che ci ha dato una risposta poco convincente. In questo caso il “frutto” in questione sarà quindi “di màmmete” o “di sorde”.

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PRINELLE!

Ancora un verso di richiamo per animali da stalla. Questa volta si tratta di pecore: ad esse veniva infatti rivolta questa strana esclamazione per richiamarle all'ordine e per accudirle. La parola veniva pronunciata con una classica voce "belante" ed un po' vibrata, quasi a voler imitare il verso dell'animale. Al grido di "prinelle !" ogni bravo pastore riusciva a "farsi obbedire" dall'intero gregge.

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PRISILILLE

Diminutivo di prièsele. Sedile ricavato di solito da un ciocco di legno.

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PULZINETTE

Recipiente stretto e profondo per scaldare le vivande. Solitamente è in rame ed è fornito di un manico e di tre piedini per consentire di poggiarlo sul fuoco.
Deriva dall’italiano polsonetto o ponzonetto che è un contenitore, sempre in rame, ugualmente stretto e profondo, ma a forma di cono, con il fondo arrotondato e un lungo manico che permette di immergerlo in un altro recipiente.
Il polsonetto è usato essenzialmente in pasticceria e serve per la cottura a bagnomaria di preparazioni quali lo zabaione, la crema, il caramello e il cioccolato.

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PURTI’ALLE

Arancia. La traduzione letterale del termine è fin troppo facile: Portogallo. Certamente non c’è da disquisire molto sull’origine della parola considerando che il frutto di cui si parla, l’arancia, pare che fosse stato importato dalla Cina dai marinai portoghesi.
È forse questo uno dei pochi casi in cui un oggetto assume il nome del suo (presunto) paese d’origine. Il nostro conterraneo che per primo lo ha “battezzato” certamente ignorava quale era la vera origine del frutto. Se lo avesse saputo, adesso l’arancia, in dialetto, si sarebbe chiamata Cina.

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