Quella notte era nevicato. Quando fioccava a Fallo te ne accorgevi subito al mattino, senza bisogno di affacciarti alla finestra: bastava attendere che l'orologio battesse i primi rintocchi: se erano ovattati, voleva dire che era caduta la neve. Quella mattina l'orologio non riuscimmo neppure a sentirlo: la neve aveva ricoperto tutto.
In giornate come quelle difficilmente ci si muoveva da casa almeno finché non si cominciavano a sgomberare le strade e non era raro che si restasse bloccati in casa per giorni interi dando fondo a tutte le riserve di cibo e di legna che si avevano a disposizione.
Per questo motivo ci meravigliammo molto quando, verso mezzogiorno, sentimmo un leggero picchiare alla porta. Immaginando che fosse qualcuno che venisse a disseppellirci dalla coltre di neve, aprimmo l'uscio e, con molta sorpresa, ci trovammo di fronte ad un qualcosa che somigliava molto ad un pupazzo di neve. Capimmo che ci stava davanti era un bambino soltanto dal fatto che si muoveva e che, attraverso l'involto di sciarpe e cappelli, emetteva suoni inarticolati che dovevano essere dei "bongiorne" (buongiorno). Recava in mano un recipiente di alluminio chiuso da un coperchio che ci porse quasi subito appena entrato in casa.
"Jere seme accise lu puorche e vi so' purtate na 'nzegne di sfritte!" (ieri abbiamo ucciso il maiale e vi ho portato un po' di "sfritta!") farfugliò il bambino da sotto la montagna d'indumenti coperti di neve che lo avvolgevano. Veniva da Borgo Valle Vecchia e ciò, in una giornata come quella, rappresentava un'impresa ardua paragonabile solo all'attraversamento del Circolo Polare Artico a piedi.
Ma l'uccisione del maiale era, a Fallo, un evento talmente eccezionale che doveva coinvolgere il maggior numero di persone possibile. Diventava una specie di festa dove s'invitavano tutti i parenti e gli amici più stretti i quali contribuivano in un modo o nell'altro a dare una mano in un'incombenza che certamente non era delle più rilassanti.
Si cominciava la mattina presto con l'uccisione del maiale che avveniva solitamente in strada con l'aiuto di un esperto macellaio in modo da consentire di raccogliere il sangue per farne il sanguinaccio. Si proseguiva poi bruciando (di solito con delle ginestre essiccate) e raschiando la cotenna dell'animale ed infine, dopo averlo aperto e ripulito delle interiora lo si appendeva ad un robusto gancio posto in un anello del soffitto di casa.
Solitamente la lavorazione della carne avveniva nei giorni successivi alla macellazione. In detti giorni si procedeva alla preparazione delle salsicce ed alla salatura dei prosciutti che erano sistemati in luoghi freschi ed asciutti per consentirne una migliore essiccazione. Le salsicce in particolare venivano arrotolate su lunghi bastoni che erano poi appesi nelle cucine delle case. Tutti i partecipanti alla macellazione venivano ricompensati con un pranzo quasi luculliano a base di pasta, carne di maiale ed abbondante vino ed i più "meritevoli" ricevevano un premio in più portandosi via qualche pezzo di maiale da cucinare a casa.
Particolarmente gradita era, appunto, "la sfritta", una pietanza al forno a base di ritagli della carne di maiale insaporita con alloro, rosmarino, e mele.
Tale leccornia era talmente gradita che ne veniva fatto regalo non solo ai parenti ed agli amici, ma anche alle persone più influenti del paese. A tale proposito esisteva una specie di scala gerarchica che si perdeva probabilmente nella notte dei tempi e che era tramandata oralmente da padre in figlio. Il primo a ricevere il presente era il parroco (lu prete). Seguiva quindi il segretario comunale (lu sicritàrie), poi i parenti più stretti ed infine gli amici.
La presenza del bambino in casa nostra in quel giorno era dovuta proprio a questa antica usanza: quando si uccide il maiale gli amici ed i parenti vanno onorati sempre, anche se si sta scatenando una bufera di neve. |