Non ricordo precisamente in che anno "la televisione" arrivò a Fallo, ma credo che fosse intorno alla fine degli anni cinquanta, inizio anni sessanta. Con il termine "televisione" nel nostro paese non s'intendeva, naturalmente, il servizio televisivo bensì l'apparecchio televisivo.
Il primo televisore fece la sua apparizione nella stanza attigua alla chiesa di San Giovanni Battista e fu acquistato, ovviamente, dal parroco di allora. Il termine apparizione non è stato usato a caso: per molti quell'enorme scatola dal contenuto sconosciuto da cui provenivano immagini e suoni era un vero e proprio miracolo. Posta poi in una stanza accanto ad una chiesa certamente assumeva un significato quasi mistico e come tale era accessibile a pochi eletti. Io non facevo parte di questi ultimi. L'età non mi consentiva di avvicinarmi alle "cose dei grandi" e l'unico approccio avuto con il misterioso oggetto fu, oserei dire, quasi traumatico.
Non ricordo precisamente come accadde, ma venni in possesso di un "biglietto" distribuito dal parroco stesso che consentiva di accedere a "guarduà la televisione" (letteralmente: a guardare la televisione). Credo che si trattasse di una specie di premio per chi frequentava con assiduità la parrocchia. Sta di fatto che mi ritrovai, con un bigliettino stropicciato tra le mani, all'ingresso della "sala cinematografica".
Il televisore era stato posto come una reliquia in fondo alla stanza su una specie di baldacchino e tutto l'ambiente era illuminato dalla sola luce proveniente dall'apparecchio acceso. Gli sguardi di tutti i presenti (solo uomini) erano rivolti verso lo schermo e la stanza era piena all'inverosimile di gente: i più fortunati erano seduti, gli altri in piedi appoggiati ai muri. Non ricordo di preciso cosa stessero trasmettendo, se ero lì probabilmente doveva essere qualcosa di adatto alla mia età, ma di sicuro non ne restai entusiasta: le immagini già scadenti per via della pessima ricezione, si riuscivano appena a scorgere a causa della troppa distanza dall'apparecchio. C'era un movimento continuo di teste e di gente che passava, chi si alzava, chi si sedeva e su tutto regnava un brusio di sottofondo ed una cappa di fumo di sigarette da togliere il respiro. Cercai inutilmente di resistere per buoni dieci minuti, poi me ne tornai a casa piuttosto deluso.
Andò un po' meglio alcuni anni dopo (forse due o tre) quando un apparecchio televisivo fu consegnato addirittura in casa di un nostro congiunto. Era un regalo fatto alla famiglia da un parente tornato dall'America che a detta di tutti i paesani, vista l'entità del dono, doveva essere molto ricco. Il giorno della consegna del televisore l'attesa cominciò già dalle prime ore del mattino: in casa mia c'era sempre una persona pronta a correre fuori o ad affacciarsi alla finestra non appena si udiva il rombo di una macchina in arrivo (allora non erano tantissime) per vedere se finalmente veniva consegnato l'oggetto tanto atteso. Vi fu una specie di pellegrinaggio a consegna avvenuta e credo che non ci sia stata persona di Fallo che, all'epoca, non sia passata a dare uno sguardo al prezioso oggetto, ai suoi interruttori ed alla sua enorme manopola della sintonia intoccabile come una reliquia perché "sinnò nin zi vete chiù" (altrimenti non si vede più).
Da allora cominciò per me un periodo, oserei dire, felice. Quasi ogni sera ci si recava, tutta la famiglia, in casa del nostro parente a "guardare la televisione", appunto. Erano i tempi de "Il Musichiere" e di "Lascia o raddoppia", trasmissioni che hanno fatto la storia della televisione italiana e che hanno lasciato anche un segno positivo in chi vedeva quest'elettrodomestico come un nuovo motivo di aggregazione. Era appunto, come diceva la sigla d'apertura di una canzone di una nota trasmissione televisiva degli anni ottanta, un "nuovo focolare". |