DA FALLO A FILADELFIA E RITORNO

SECONDA PARTE

Nato a Fallo, Guido era stato mandato alla vicina Lanciano per frequentare le scuole superiori (un privilegio raro, dovuto all'intelligenza particolarmente acuta del ragazzo) e quindi era emigrato a Boston all'età di sedici anni, dove aveva continuato gli studi, aveva ottenuto una laurea in legge e conduceva uno studio legale che ancora adesso, all'età di settantanove anni, conduce attivamente.
Nessun nome poteva essere più appropriato a Guido. Egli, infatti, ci ha condotto pazientemente e con intelligenza attraverso la magnifica Val di Sangro, facendoci visitare le cittadine vicine: Civitaluparella (un paese appollaiato quasi in maniera precaria su un vicino picco), Monteferrante (dove abbiamo potuto godere delle specialità culinarie locali), Fara San Martino (luogo di produzione della pasta De Cecco e Fiorverde), Lama dei Peligni, Palena, Montenerodomo.
In loco, Guido ci ha fatto da cicerone alla topografia sociale di Fallo, infatti, man mano che passeggiavamo per le strade del paese ci presentava a parenti ed amici. Ci era stato detto che Guido era il "sindaco" ufficioso di Fallo e la sua conoscenza di tutti i residenti e delle loro storie di famiglia lo ha confermato ampiamente.
Il cognome di Guido (Di Sciullo) è abbastanza ricorrente a Fallo e lo dimostra che era anche il nome della famiglia di Gina, sua moglie.
 
Sempre tramite Guido abbiamo scoperto che nella regione esiste quello che viene comunemente chiamato il "rimpatrio stagionale". Ogni estate la popolazione di Fallo passa da 217 abitanti a circa 600, 700, raggiungendo il picco massimo durante i giorni della festa del protettore del paese (San Vincenzo Ferreri) e della Madonna del Perpetuo Soccorso. Tali festività si celebrano rispettivamente nella prima domenica e nel primo lunedì di agosto.
Paesi come Fallo che si sono svuotati a causa dell'emigrazione e sono in gran parte caduti in rovina, vengono ora nuovamente rivalutati ed abitati dalla gran quantità di rimpatriati che comprano le case abbandonate per rimodernarle e per tornarci nei mesi estivi.
Solitamente sono gli uomini di Fallo che tornano e portano con loro le mogli "straniere" provenienti sia dal Nuovo Continente che da altre parti d'Italia e d'Europa.Per coloro che tornano saltuariamente il richiamo del luogo di nascita, deve essere eccezionalmente forte, capace di superare il dolore e l'amarezza del distacco che ogni anno si ripete e certamente la paura di non poter tornare ancora si fa sentire in maniera tangibile.
Se l'attaccamento alle proprie origini fosse più fragile, la perdita d'identità dell'immigrato ne impedirebbe il suo ritorno ogni anno.
Nel caso dei fallesi la volontà di ricongiungersi alla loro cultura d'origine è perfettamente bilanciata dalla capacità di mantenere una loro identità all'estero.
Abbiamo inoltre scoperto con molta sorpresa che i rimpatri, per così dire stagionali, non si limitano soltanto agli emigranti della vecchia generazione. Bambini e ragazzi di persone che sono emigrate in Australia, Francia, Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, ecc, accompagnano volentieri i loro genitori nella loro vecchia casa quasi a formare una specie di comunità internazionale che si ritrova ogni estate per le strade di questo minuscolo paese d'Abruzzo. La "migrazione" verso il paese avviene ogni estate e si ripete, ma in senso contrario, verso la fine di agosto quando il paese si svuota nuovamente. È come se ogni anno si ripetesse un rituale. E il cerimoniale attorno a cui ruota questo ritorno è la festa del santo protettore del paese.
 
La preparazione a quest'importante evento inizia con la raccolta di fondi tra gli immigrati fallesi di tutto il mondo. Nel giorno della festa (la prima domenica di agosto), viene celebrata una messa seguita da una processione in cui la statua di San Vincenzo Ferrer (o Ferreri), coperta da un drappo adornato con tutto l'oro donato dai fedeli, è portata a spalla da quattro robusti uomini per le strade del paese.
Condotta dalla banda degli ottoni di Pizzoferrato, la processione è seguita da tutti i residenti del paese, abbigliati con i loro vestiti più eleganti e dai Fallesi che da tutto il mondo si sono radunati qui per riconfermare la loro identità culturale.
Nonostante il fatto che San Vincenzo Ferreri (1350-1419), un Dominicano Spagnolo conosciuto per il suo fervore apostolico, non abbia mai personalmente visitato l'Italia meridionale, il suo culto è molto forte in Abruzzo e la processione, che percorre tutto il paese fermandosi a benedire i terreni coltivati, mostra come la devozione al Santo fondi le proprie basi negli antichi riti pagani.
Di genere molto diverso è invece la festa della domenica sera in cui, nella piazza principale, vengono proposti gli ultimi successi della musica pop, eseguiti da gruppi che suonano dal vivo, in uno scenario con luci, ballerine vestite in maniera succinta ed amplificazione ad alto volume. Sebbene diretto alla generazione dei teen-ager di Fallo, sono soprattutto gli anziani coloro che assistono allo spettacolo incuriositi, sedendo in piazza storditi da questo spettacolo così inusuale per loro.
 
La nostra permanenza in Abruzzo volgeva al termine e per noi si avvicinava una nuova sfida: il ritorno a casa. Non c'erano taxi a Villa Santa Maria e il trasferimento in autobus dal nostro albergo alla stazione si presentava piuttosto difficoltoso: nessuno conosceva gli orari di transito dei mezzi. Chiamando i numeri presenti nell'elenco telefonico o forniti dall'ufficio informazioni, ci veniva risposto sempre con lo stesso messaggio: numero non abilitato.
Riuscimmo infine a prendere un autobus che ci portò alla stazione dove trovammo tre locomotive ferme sullo stesso binario, una delle quali era riconoscibile per via dei graffiti: era lo stesso veicolo che ci aveva portato a Villa Santa Maria due giorni prima. Un ferroviere abbastanza confuso infine decideva che quest'ultima macchina doveva essere distaccata, in modo che gli altri due potessero compiere la prevista corsa per Lanciano.
Durante il viaggio verso questa città, rivedemmo gran parte dei paesaggi ammirati con Guido il giorno precedente, resi ancora più belli dal risplendere del sole nascente. La nostra ultima impressione di quel paesaggio furono i suoi colori: il marrone bronzeo dei campi di grano da poco falciati, il turchese del lago di Bomba, i verdi argentei dei boschetti di olivi, il grigio imponente della Majella contro l'orizzonte.
 
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Sebbene non fosse un rimpatriato stagionale come Guido Di Sciullo, Mariano Di Vito tornò molte volte a Fallo per rivisitare il suo paese di origine.
Su alcuni documenti originali da me consultati presso la parrocchia di San Giovanni Battista e riguardanti le registrazioni delle nascite, ho trovato la seguente annotazione: "Anni domini 1895 die 31 maji. Marianus DiVito figlius di Vincentii et Mariae Catinella natus heri hora prima an., baptizatus est."
Conosciamo poco dei primi anni del ragazzo Di Vito: sappiamo di certo che egli ha vissuto insieme ai suoi genitori ed ai tre fratelli più giovani, in Via Orientale 32, una casa di due stanza la cui porta principale aveva un'apertura nella parte inferiore per permettere il passaggio di polli, ma la cui finestra posteriore guardava sopra ai tetti ed abbracciava un paesaggio collinare di straordinaria bellezza.
 
La vita a Fallo era molto dura: gli abitanti, tutti dediti all'agricoltura, dovevano camminare molto ogni giorno per raggiungere i campi e l'acqua era reperibile in un'unica sorgente fuori del paese. In questo stesso luogo veniva fatto il bucato, si abbeveravano gli animali e veniva raccolta l'acqua da utilizzare in casa riempiendone i barili che venivano o caricati sugli animali da soma o trasportati in grandi recipienti di rame chiamati "conche" portati in testa dalle donne.
 
Inizialmente il padre di Mariano lasciò Fallo per recarsi a Chiasso (in Italia del nord) per diventare cuoco e forse si spinse fino a Parigi in cerca di lavoro. Non è improbabile che Vincenzo, durante i suoi viaggi, abbia portato con sé il figlio più grande lasciandolo così ogni volta più insoddisfatto della limitata vita di stenti che conduceva a Fallo.
Forse fu proprio l'ambizione a far prendere a Vincenzo la decisione definitiva rompendo del tutto i legami con il suo paese d'origine ed emigrando: troviamo, infatti, il suo nome sull'elenco dei passeggeri in arrivo a Ellis Island nel 1905.
Maria, Mariano ed i tre fratelli germani (Domenico, Gina e Paolo) raggiunsero Vincenzo a Filadelfia nel 1907 dove nacquero altri tre bambini (Elena, Sabatino e Giorgio) portando così i membri della famiglia a nove.
Perché Filadelfia? La risposta la troviamo nel fenomeno della cosiddetta "immigrazione a catena" per cui i membri di una famiglia seguivano le orme dei parenti che si erano precedentemente stabiliti in un determinato paese: in questo modo si era venuto a formare una specie di "asse" Fallo-Filadelfia.
 

Mariano che aveva acquisito un'istruzione elementare a Fallo, resistette soltanto due settimane nel sistema scolastico di Filadelfia, poi abbandonò le aule per andare a vendere quotidiani su Market Street e su Mole Street. L'intrepido Mariano imparò a difendere il proprio territorio e quando nasceva qualche diverbio, egli seppe sempre cavarsela ricorrendo, in caso di necessità, anche all'uso delle mani.

Questo ragazzo duro e scontroso presto lasciò anche le strade di Filadelfia con le sue sale da pranzo per diventare prima un "bus-boy" e poi un cameriere in una catena di club ed enti sociali, tra cui l'Union League, l'Old Manufacturers' Club e infine, dal 1920 fino all'età della pensione nel 1956, il Bellevue Stratford Hotel.
 
FINE SECONDA PARTE
 
 
LO SPAZIO DI TUTTI