- La rèchena bbone stà a la Civvite, sobbre a lu Reccaldore. - (l'origano buono si trova a Civitaluparella, sopra alla località detta "Re Caldora").
Era questa una convinzione consolidata in paese e tutti n'erano convinti. Lo erano anche mio padre e suo cugino che in un giorno in cui probabilmente erano liberi da impegni "campagnoli" decisero di partire per andare a raccoglierne.
Per un bambino di circa otto anni era certamente un'occasione da non perdere se non altro perché ci si recava sopra a "Reccaldore" di cui avevo tanto sentito parlare.
Era stato deciso di partire subito dopo pranzo prendendo "La corriere di li ddu chi va a monte" (prendendo la corriera delle due che va sopra), ma accadde che per una serie di motivi, non ultimo quello di aver troppo indugiato in chiacchiere in casa del cugino di mio padre, il mezzo di trasporto passò lasciandoci a piedi. Non ci si perse d'animo e si decise così con mia somma gioia di andare a piedi. Tale gioia fu ulteriormente accresciuta quando seppi che per giungere a Civitaluparella saremmo passati per le famose "Scalelle" di cui avevo tanto sentito parlare, ma che non avevo mai avuto modo di provare. "Le scalelle" sono una scorciatoia (ormai in disuso) che, in tempi più brevi rispetto alla strada rotabile, conduce al vicino paese: una specie di direttissima per giungere più presto in cima.
Devo dire che se dovessi ripercorrere ora il tragitto di quel giorno non lo ricorderei affatto; rammento soltanto che quando giungemmo ai piedi di quello che doveva essere il sentiero che doveva portarci alla sommità, quasi mi spaventai per quanto lo trovai ripido e capii finalmente il motivo del suo nome: la strada si arrampicava quasi verticalmente (o almeno così mi sembrò) sul fianco di una roccia dalla quale sporgevano dei piccoli scalini (da ciò il nome) su cui bisognava poggiare le mani ed i piedi per avanzare. Con non poco timore affrontai la salita, ma dopo pochi metri, incitato anche dai due adulti, avevo già preso confidenza con il terreno accidentato e ben presto giunsi in cima con una soddisfazione pari a quella che probabilmente provano degli scalatori dell'Everest.
Dal punto d'arrivo delle "Scalelle" a "Sobbre a lu Reccaldore" non ci volle moltissimo e nel frattempo io potetti godere del bellissimo panorama che si stendeva verso i Monti Pizi e verso la "Majella" che stranamente, in quel giorno, si stagliava in maniera particolarmente limpida sullo sfondo.
Né mancarono naturalmente le spiegazioni "storiche" da parte dei miei due "ciceroni" che pare facessero a gara nel raccontarmi antiche leggende del posto. Scoprii così che quel sasso con quella forma così particolare era quello su cui la regina "aveva pusate lu pete" (aveva posato il piede) e che, tendendo l'orecchio ad una certa fessura di quella grossa roccia, potevo sentire uno stranissimo rumore che non era provocato dal vento bensì dalle anime dei prigionieri che il re aveva rinchiuso nelle sue segrete e che lì erano morti dopo che lui era fuggito.
Queste ed altre affascinanti storie mi furono raccontate e la mia fantasia volò per tutta la durata della raccolta dell'origano (peraltro molto fruttuosa) e della passeggiata di ritorno a Fallo (questa volta per la strada rotabile).
Tali fantasticherie furono ulteriormente alimentate dai discorsi che i due adulti fecero tra loro parlando di ciò che i loro nonni avevano loro narrato intorno alla vita del paese di molti anni prima. Venni così a sapere che tutta la zona chiamata "La fonte" era, molti anni fa, un altopiano che si stendeva da "Sobbra a lu ualze" (l'attuale Via delle Balze) fino ad oltre "Li murrècene di la Fonte" e che nel bosco che si estende verso Montelapiano, dove si trovava e forse si trova ancora "La fonte di Santa Maria", esisteva probabilmente un convento. Tale ipotesi pare che fosse avvalorata dal ritrovamento d'alcuni ruderi nei cui cunicoli era stato rinvenuto del vasellame con la scritta "Santa Maria".
Scoprii inoltre che la zona del paese chiamata "Mmiezze a la terre" (letteralmente: in mezzo alla terra) deve il suo nome al fatto che in tempi molto lontani era una zona periferica del paese (ora è quasi il centro dell'abitato) non ancora popolata. Tale luogo pullulava di baracche adibite soprattutto a ricovero per animali e nella parte più ampia del sobborgo pare che ci fosse addirittura una specie di piccola pozza.
Come tutto questo si fosse poi trasformato non era dato ovviamente saperlo: per sopperire a tali mancanze bastava ed avanzava la mia fantasia di bambino che di quel giorno della raccolta dell'origano ancora oggi conserva un ricordo così vivo. |