IL BECCHINO
 
La storia che segue, a suo modo originale, è stata tramandata oralmente da padre in figlio e se non se n'è persa la memoria lo dobbiamo sicuramente al fatto che tratta un argomento piuttosto delicato.
Com'è noto, nei piccoli paesi come il nostro, è abitudine avere come dipendente comunale un factotum, ossia una persona a cui sono affidate più incombenze e che, costretta com'è a coprire tanti impegni, è sempre indaffaratissima.
Di questi personaggi nel nostro paese ce ne sono stati diversi e certamente tutti ricordano il periodo in cui era uso "ittà lu bbuanne" (letteralmente: gettare il bando). La persona incaricata di tale incombenza in sintesi non doveva fare altro che girare per i quartieri del paese e, dopo aver soffiato in una trombetta, comunicare ai paesani le notizie o gli avvisi di cui il comune lo aveva incaricato. Si trattava ovviamente dei comunicati più disparati, dall'annuncio per lo smarrimento di un oggetto, all'avviso di recarsi al Comune per il ritiro di qualche documento e non mancano, ovviamente, simpaticissimi aneddoti in merito, soprattutto perché "lu banditore" non sempre era all'altezza dell'annuncio e spesso questo ultimo non gli veniva neanche scritto ed era lasciato alla sua fantasia.
La frase "ittà lu bbuanne" è ancora oggi usata a Fallo in riferimento all'atto di rendere pubblica una notizia su cui si sarebbe dovuto tenere un certo riserbo: "nn'avive bisuogne di ittà lu bbuanne" (non era necessario che tu lo rendessi pubblico, che lo facessi sapere a tutti).
Il protagonista della nostra storia era appunto uno di questi factotum: tra le sue varie occupazioni, aveva, oltre a quella di banditore, anche quella di becchino (in dialetto, sfossamuorte). L'uomo, molto amante della bottiglia, preferiva svolgere la spiacevole incombenza di preparare l'ultima dimora dei suoi compaesani in maniera più sbrigativa possibile per potersi dedicare a mansioni più rilassanti quale appunto quella del bere. Per tale motivo, spesso il lavoro non era eseguito nella maniera adeguata e la regola che prevede che la fossa debba essere profonda almeno due metri, non era rispettata.
Qualcuno a cui non era piaciuto il modo in cui il suo caro estinto era stato sepolto si recò in Comune a fare le proprie rimostranze e le autorità si videro costrette a richiamare all'ordine l'addetto al seppellimento. Costui, non si sa bene se sobrio oppure se in balia dei fumi dell'alcool, di fronte alle accuse che gli venivano mosse rispose molto candidamente: "Picchè, sete viste mai cocchìdune di chille chi so aribbìlate i ariì a la case?" (Perché avete mai visto qualcuno di quelli che ho seppellito io tornare a casa?)
 
LO SPAZIO DI TUTTI