Sono certamente in molti a ricordare i tempi in cui a Villa Santa Maria c'era un "famoso" orefice da cui tutti si recavano sia per una semplice riparazione all'orologio sia per l'acquisto di oggetti d'oro da tenere per sé o da regalare.
I rapporti con gli orefici e con gli orologiai da parte dei nostri compaesani sono sempre stati improntati ad una forma di sospetto. Tale sospetto nasceva dal timore che chi trattava in preziosi e che certamente aveva una cultura superiore, potesse approfittare della loro scarsa conoscenza in materia. Non è certo un caso che fin dalla notte dei tempi per indicare una persona furba o profittatrice della sua posizione sociale si usasse la frase "è nu 'refice!" (è un orefice).
Questa forma di diffidenza si era ulteriormente acuita da quando si era venuti a sapere che negli orologi esistevano i rubini. Nelle famiglie, se un orologio cessava di funzionare, succedeva una specie di tragedia soprattutto se ci si accorgeva che da qualche parte era riportato il numero dei rubini che lo componevano. Certamente se si portava l'orologio a riparare, l'orefice avrebbe sostituito i rubini con delle comuni viti e questo, oltre a costituire un danno per l'oggetto in sé, rappresentava anche uno smacco tremendo alla buona fede del possessore dell'oggetto.
Nonostante questo clima di sospetto verso anche i più onesti dei professionisti del settore, spesso gli abitanti di Fallo, come appunto si diceva più sopra, si recavano a Villa Santa Maria per l'acquisto dei loro preziosi.
Occorre inoltre tener presente che non tutti avevano la possibilità di recarsi personalmente a Villa e sovente quindi l'ordinativo del lavoro da eseguire era fatto da una terza persona incaricata.
La storia che segue si basa proprio su una di queste ordinazioni fatta tramite un intermediario.
Tutto cominciò quando una donna di Fallo di nome Elena commissionò all'orefice tramite un'altra donna di nome Lucia una catenina d'oro con relativo ciondolo sul quale doveva essere inciso l'iniziale del suo nome. Lucia, la quale doveva a sua volta ordinare un ciondolo simile per sé, si recò dall'orafo e ordinò le due catenine dando indicazione all'artigiano di incidere sul retro di ogni medaglietta le iniziali dei due diversi nomi: E e L..
Trascorso il tempo necessario alla realizzazione del manufatto Elena si recò personalmente a Villa Santa Maria per ritirare il suo ciondolo, ma l'orefice con molto rammarico le annunciò che l'oggetto da lei richiesto ancora non era pronto: aveva disponibile soltanto quello della signora Lucia e per dimostrare la sua buona fede glielo mostrò. Elena guardò la catenina restando estasiata dalla bellezza dell'oggetto, poi guardò il ciondolo e dopo averlo rigirato per un po' tra le dita disse all'orefice: "Ma cheste è la catiniglia me!" (Ma questa è la mia catenina!).
L'uomo la guardò perplesso temendo un errore di persona e le fece notare che sul retro del ciondolo era incisa una lettera L. "E li so viste!" (E l'ho vista!) rispose Elena quasi seccata.
"Ma la signora che è venuta ad ordinare le catenine non è la signora Lucia?" chiese con garbo l'orefice che probabilmente cominciava ad intuire l'equivoco.
"Scine, Lucie è minute, ma cheste è la catiniglia me picchè ci stà la lettera elle!" (Sì, Lucia è venuta, ma questa è la mia catenina perché c'è la lettera elle!) replicò piccata Elena.
A questo punto l'orefice per avere conferma del suo sospetto chiese in dialetto: "Ma tu, coma ti chiemme?" (Ma tu come ti chiami?)."I mi chiemme Lenucce!"
Postilla: per chi non lo sapesse, nel linguaggio fallese il nome Elena è generalmente utilizzato nella forma diminutiva di Elenuccia che in dialetto diventa appunto Lenucce. |