Al protagonista della vicenda che segue era stato inculcato nella mente, non si sa da chi, il concetto secondo il quale chi presta il servizio militare sia poi legittimato ad uccidere chiunque.
L'uomo del nostro racconto aveva dato origine ad un acceso diverbio col proprio cognato per vedersi riconosciuto il diritto di proprietà su taluni beni pervenuti da un'eredità e dei quali il parente, a suo dire, si era indebitamente ed integralmente impossessato senza procedere ad una equa suddivisione del patrimonio.
Pare che la disputa si trascinasse già da molto tempo e che l'uomo fosse particolarmente esasperato. Nel raccontare ad un compare le intricate vicissitudini dell'esacerbante diatriba, aveva più volte manifestato l'insano proposito di porre fine alla questione ricorrendo all'uso del fucile. Il suo interlocutore cercava con ogni mezzo di ricondurlo alla ragione con frasi del tipo: - None cumpà, nin moglia Ddiè! Circate di metteve d'accorde! - (No compare, che Dio non voglia! Cercate di mettervi d'accordo), ma per tutta risposta l'arrabbiatissimo mancato erede rincarava la dose traducendo (male) dal dialetto all'italiano (indice peraltro di un ulteriore aumento della sua collera): - No, io sono fatto il militare, mi hanno imparato a sparare e quindi posso sparare a chi voglio. E io a mio cognato gli sparo! -
Non è dato sapere a quanto ammontasse l'eredità che l'uomo reclamava, ma quelli erano tempi in cui un pezzo di terra o una catapecchia facevano la differenza tra il sopravvivere e il vivere decentemente ed era quindi comprensibile il risentimento del nostro protagonista verso chi lo aveva derubato della sua parte d'eredità.
Questo aneddoto, tramandato oralmente da una generazione all'altra, non specifica come sia finita tutta la faccenda. Non ci risulta tuttavia che vi siano state tragedie familiari legate a questioni ereditarie: ci piace pensare che alla fine tra i due contendenti si sia giunto ad un accordo senza spargimenti di sangue.