Questa triste canzone che narrava di un amore perduto, era cantata da un personaggio che spesso si recava a Fallo per motivi "commerciali". Come amica fidata pare che avesse la bottiglia e sembra che quest'ultima risvegliasse in lui antichi fervori romantici.
Il testo del ritornello, tradotto in italiano, recita: le undici di notte e l'aria è scura e nel silenzio dorme l'uccello. Giuliana, perché moristi tu? Senza il proprio amore non si può vivere più.
Tale testo, quasi certamente inventato dal "cantore" stesso, pare che fosse, a detta di alcuni, autobiografico. Per questo forse il noto personaggio non disdegnava di cantarlo ogni volta che glie se n'offriva l'occasione soprattutto se l'invito era accompagnato da un buon bicchiere di vino.
Naturalmente, maggiore era il vino trangugiato, maggiore era l'ispirazione messa nel cantare e più copiose erano le lacrime (non si sa se vere o finte) che sgorgavano dai suoi occhi.
Si narra anche che una sera in casa d'alcuni nostri paesani, fu invitato ad entrare ed a sedersi e gli fu offerto, come sempre, del vino. Dopo un paio di bicchieri, gli fu chiesto di cantare cosa che lui accettò quasi subito con molto entusiasmo. Per non deludere un pubblico così generoso si concentrò per un attimo, si schiarì la voce, allungò il collo, distese le gambe in avanti e gettò la testa indietro. Ma la sedia, forse non del tutto integra (come quasi tutte a quei tempi) o forse inadatta a sopportare cotanto ingegno, crollò, tradendolo proprio sul "nin zi pò vive chiù", facendogli terminare quella sua ispirata rappresentazione a gambe per aria.
Qualcuno dei presenti alla scena scoppiò a ridere, ma altri si precipitarono a verificare che "l'artista" non si fosse fatto del male. Costatarono così che l'uomo aveva, anche questa volta, le lacrime agli occhi.
Non si seppe mai se quelle lacrime erano di commozione per la canzone, di dolore per la caduta dalla sedia o d'amarezza per aver visto sfumare così la sua fama di chansonnier.
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