Il telefono pubblico di Fallo negli anni sessanta era posto nel bar che si trovava, allora, nelle vicinanze di Piazza Quattro Novembre.
Il bar già di per sé rappresentava un elemento particolarissimo ricco di folklore, ma la cabina telefonica posta al suo interno n'aumentava considerevolmente l'originalità.
Si trattava di una specie di grosso e pesantissimo armadio dall'aspetto blindato, con una porta molto pesante con vetro spesso e con una lampadina al suo interno che si accendeva (quando non era fulminata) con la chiusura della porta.
Scopo della blindatura della porta era quello di isolare la cabina sia dai rumori che provenivano dall'esterno, sia di salvaguardare la privacy di chi era all'interno. Entrambe le aspettative però venivano regolarmente deluse: la rumorosa presenza dei giocatori di carte ai tavolini e di un biliardino perennemente occupato da giovanotti urlanti faceva sì che nessuna blindatura riuscisse a dare un po' di tranquillità a chi telefonava.
Inoltre, una volta chiusa la porta, iniziava una sorta di gara di resistenza per il malcapitato di turno che doveva riuscire a chiudere la telefonata prima che l'aria all'interno della cabina finisse provocandone la morte per asfissia. Se a ciò si aggiunge anche il fatto che quando la cabina non era occupata, la porta restava aperta e si riempiva del fumo delle sigarette fumate dagli avventori e dello stagnante tanfo di vino bevuto dagli stessi, potete immaginare quale tipo d'olezzo si respirava al suo interno.In pratica, chi voleva telefonare, solitamente lasciava la porta aperta rendendo così inutili tutti gli "accorgimenti tecnici" con cui la cabina era stata costruita.
Capitava quindi sovente che chi si trovava all'altro capo del filo stentava a sentire il discorso che gli veniva fatto perché disturbato da un continuo rumore di sottofondo intervallato di tanto in tanto da urli del tipo: "Facete chiene, ca nin zi sente niente!" (Fate piano ché non si sente nulla!) lanciati da chi cercava inutilmente di discorrere al telefono.
Il telefono stesso era utilizzato, oltre che per motivi privati, anche per scopi "sociali" e uno di questi era ad esempio l'ordinare al farmacista (a Quadri o a Villa Santa Maria) le medicine prescritte dal medico in servizio al paese. Era questa un'incombenza affidata da anni sempre alla stessa persona e che ormai conosceva il nome di tutte le medicine dei paesani, ma l'immissione sul commercio di nuovi farmaci provocava talvolta alcuni inconvenienti.
Uno di questi capitò una volta quando, di fronte ad un nome particolarmente complicato, probabilmente il farmacista chiese alla persona che si trovava al telefono di scandire lettera per lettera il nome del prodotto.
Quasi sicuramente il termine "scandire" era già piuttosto oscuro per chi ordinava le medicine o forse il frastuono (poiché la porta della cabina era aperta) non consentiva di sentire bene cosa il farmacista stesse dicendo, sta di fatto che gli avventori del bar assistettero, certamente con molto divertimento, alla seguente conversazione: - Cheià fa? - (Che cosa devo fare?) - E chì vol dire? - (E cosa vuol dire?)
- Ah! Na lettre a la volte. Facete chiene, ca nin zi sente niente!.Coma dice dottò? - (Ah! Una lettera per volta.Fate piano ché non si sente nulla!. Come dice dottore?) - Scine, scine, so capite! - (Sì, sì, ho capito).
Seguirono una serie di lettere scandite e seguite dal nome d'alcune città, poi una lunga pausa ed infine: - Acca come Ancona - Qualche secondo di silenzio e poi ancora per conferma: - Acca, acca come Ancona! -
Naturalmente non è dato sapere cosa stesse succedendo nel frattempo dall'altra parte del filo. Sembra però che improvvisamente nel bar sia calato un insolito silenzio certamente non per rispetto alla richiesta avanzata da chi telefonava, ma finalizzato all'arricchimento culturale dei presenti che si aspettavano di conoscere sia il nome di una città avente per iniziale la lettera acca sia il nome del nuovo farmaco.
Una cosa è certa, se non ci fosse stato quel silenzio, questo ipse dixit non sarebbe giunto fino a noi. |