Quando si parla di Fallo è difficile non ricordarne i profumi ed i colori. Per chi, come me, ci è nato e vissuto fino all'adolescenza, è difficile sottrarsi al fascino di quei ricordi. Come in quasi tutti i piccoli paesi, anche a Fallo il trascorrere dei mesi e delle stagioni è scandito da un ritmo più sentito e vivo, così come più sentiti e vivi sono i cambiamenti climatici. Ogni stagione porta con sé profumi e colori propri che sono tanto più intensi quanto più piccolo è il paese. Nelle grandi città, più dispersive e con un ritmo di vita completamente diverso, il mutare delle stagioni si nota meno.
Ricordo come fosse ieri che, da bambino, l'inverno era solitamente legato al profumo della legna che ardeva nei camini e alle tavolate allestite per l'uccisione del maiale, evento che di solito avveniva quando la neve era già caduta. Del maiale si sfruttava tutto: c'era persino chi ne strappava le setole per farci il pennello da barba. Ne veniva raccolto il sangue per fare il sanguinaccio; poi si accendevano le stufe o i camini per cuocerne la carne da mangiare subito. Il profumo della carne arrosto, della "sfritte" ed il vociare degli invitati attorno al tavolo a fare onore a quella rara abbondanza, erano gli elementi salienti di un cerimoniale antico e vitale. Il Natale era atteso sempre con impazienza perché recava con sé una serie di riti non solo sacri, ma anche legati a tradizioni popolari. Il candore della neve ed il profumo delle bucce d'arance e mandarini messe a scaldare sulla stufa o sui carboni, credo siano qualcosa di unico ed inconfondibile. I decotti profumatissimi preparati con i frutti messi da parte in estate e fatti essiccare, erano, a detta di alcuni, i soli rimedi sicuri contro le malattie da raffreddamento. Verso la fine dell'inverno, nelle giornate più limpide, ci si poteva spingere fino a Civitaluparella per abbracciare con lo sguardo tutta la vallata e godere lo spettacolo della Majella innevata. E poi febbraio, con le sue rigide giornate ed il carnevale che portava i bambini con vestiti multicolori per le vie del paese quasi ad annunciare l'arrivo dell'imminente primavera tanto attesa.
E quest'ultima era sicuramente la più bella e la più profumata delle stagioni, con le sue violette, il risvegliarsi lento della campagna ed i suoi colori. A Fallo bastava guardare le montagne e la campagna circostanti per capire che la primavera stava per arrivare o era già arrivata. La vita contadina riprendeva a pieno ritmo in questa stagione ed era quasi piacevole alzarsi la mattina per andare nei campi tra i profumi ed i colori dei fiori. E poi giugno con la mietitura di quel grano che fino a qualche giorno prima, mosso dal vento, sembrava un mare verde. E che festa era, per i bambini, la trebbiatura sopra "Colle Rosso"! Allora, durava almeno tre o quattro giorni e ci si divertiva da matti a buttarsi nella paglia, tra la pula, ed a nascondersi tra le balle di fieno. La sera si tornava a casa, stanchi, sporchi, pieni di graffi e pruriti che inducevano a grattarsi continuamente per la pula entrata nei vestiti.
In estate si raccoglieva anche il granturco. Chi non ha partecipato almeno una volta alla preparazione delle "scerte" da appendere al balcone? Se si voleva andare nei campi senza patire il gran caldo, bisognava alzarsi presto. Era dura per un bambino aprire gli occhi a quell'ora, ma lo spettacolo del cielo che si colorava di rosa verso Montelapiano con il sole che pian piano saliva da dietro ai monti, valeva sicuramente la pena. Spesso la sera ci si fermava a guardare il cielo. Che cielo! Ti sembrava di poter contare tutte le stelle. I più anziani indicavano il Gran Carro ai più piccoli: ". la Stella Polare è chelle chi stà a direzzione di lu Colle Panette!" dicevano puntando il dito verso nord. Era verso la fine d'agosto che si "faceve li buttiglie" ossia la passata di pomodori in bottiglia. Certo il lavoro lo facevano i grandi, ma vuoi mettere il divertimento dei bambini quando si accendevano i fuochi per strada per far bollire i pomodori prima e le bottiglie dopo?
Poi le giornate si accorciavano, l'aria diventava più fresca ed arrivava l'autunno con tutte le sue gradazioni di giallo e di rosso. Tutti i monti e la campagna erano una tavolozza di colori e, per la strade del paese, cominciava a sentirsi l'odore della legna appena tagliata. Era il periodo in cui probabilmente le bestie da soma lavoravano di più: da prima portavano fascine e piccoli tronchi, poi, durante la vendemmia, l'uva. La vendemmia: per i bambini una delle feste più "belle" e vivaci. Una giornata passata nei campi tra i tralci delle viti colorati da foglie gialle e rosse, con le mani indolenzite dall'uso delle forbici e rese appiccicose dal succo dell'uva matura. E poi quell'odore di mosto per tutto il paese, pieno di gente affaccendata a pulire le botti, a svuotare cantine, ad accendere fuochi aiutandosi reciprocamente quando serviva, i rumori, le voci.
Certo da allora molte cose sono cambiate a Fallo, ma ancora adesso, quando ci torno, intuisco la presenza di un'antica ebbrezza che, pur ridotta al silenzio dall'arroganza della modernità, ancora parla al mio animo con le parole semplici della mia infanzia.