|
GRUPPO 4
SOPRANNOMI LA CUI ORIGINE È SCONOSCIUTA E SU CUI SI POSSONO FORMULARE SOLO DELLE IPOTESI
|
CLICK SUL SOPRANNOME CHE INTERESSA PER IL DETTAGLIO |
|
BARRATTIERE
Nella prima stesura per la spiegazione della nascita di tale nomignolo si leggeva quanto segue:
"Sembra che l'origine di tale soprannome derivi dal tipo di "professione" esercitata dal personaggio cui tal epiteto era stato imposto: una persona dedita al baratto, allo scambio ed al commercio di qualche genere di mercanzia.
Non dimentichiamo che il nostro paese non è stato mai ricchissimo e le pratiche di scambio tra varie famiglie di prodotti agricoli e d'allevamento era abbastanza frequente. Dalle carte catastali risulta che ancora oggi alcuni abitanti di Fallo sono possessori di piccolissimi appezzamenti di terreno posti in luoghi attualmente inaccessibili, soltanto perché un suo avo era diventato creditore di un sacco di grano che il debitore non era mai riuscito a restituire. L'ipotesi quindi che qualche persona traesse di che vivere intrattenendo rapporti di baratto tra due o più persone e ricavandone poi la sua parte, non è affatto inverosimile.
Forse il termine più appropriato sarebbe stato commerciante o, nel nostro caso "Cummirciante" anche perché con il termine barattiere si definisce solitamente anche chi è dedito all'imbroglio ed alla truffa.
Ma forse chi ha forgiato tale soprannome questo non lo sapeva."
Fonti attendibili d’oltreoceano affermano, invece, che il soprannome di cui si tratta derivi sì dalla professione esercitata dal personaggio cui era stato imposto, ma che tale professione non riguardava il commercio o lo scambio, bensì quello della mescita di bevande. Il “bar attender”, infatti, tradotto letteralmente dall’inglese, vuol dire, assistente barista.
Esiste anche la figura professionale chiamata, sempre in inglese, bartender che è la persona specializzata nella preparazione dei cocktail, ma non è dato sapere se ai tempi in cui il soprannome è stato coniato tale professione esisteva già. Più semplicemente si potrebbe ipotizzare che i due mestieri (bar attender e bartender) coincidessero.
Un fatto è certo: ci vuole un bel po’ di fantasia per trasformare il termine bar attender (o bartender) in barrattiere.
|
|
BICCHIRINE
La traduzione è facilissima: bicchierino.
Più difficile invece è fare delle ipotesi sull'origine del soprannome. Nessuno ha probabilmente mai pensato di chiedere l'origine dell'epiteto al diretto interessato. Certo, conoscendone l'originalità, costui sarebbe stato ben felice di accontentare il suo interlocutore.
Non sappiamo se esistono in paese discendenti con tale soprannome, di certo l'ultimo membro della famiglia "degno di nota" lo portava con orgoglio e spessissimo lo citava quasi come un titolo onorifico.
Molti sono gli aneddoti che si narrano su questo singolarissimo personaggio che, per sbarcare il lunario, era costretto a vivere d'espedienti. In paese si vedeva raramente ma era sempre riconoscibilissimo dal suo modo di vestire impeccabile anche se qualche volta fuori moda. A suo modo era un vero gentleman.
Portava il suo soprannome con molta dignità e a tale proposito si narra un simpatico aneddoto.
Un giorno fu invitato ad entrare in casa da un nostro compaesano. Quest'ultimo, dopo averlo invitato a sedersi, gli chiese di accettare qualcosa. Alla domanda se preferiva un caffè o un liquore lui rispose in italiano e con la classe che lo distingueva:
- Prendo un liquore, grazie, devo pur tenere alto il mio soprannome di "Bicchirine"! - |
|
BLAFFITTE
È questo un altro cognome su cui si è aperta una disputa. Sono in molti a sostenere che l'epiteto si riferisce all'aspetto fisico della persona a cui esso era stato imposto: fornito di piccoli baffi (baffetti) e, per distorsione dialettale, "blaffitte", appunto.
Altri sostengono invece che il termine in questione derivi dal francese bluff (che vuol dire raggiro, imbroglio, ma anche simulazione, apparenza). In questo caso probabilmente la persona a cui era stato dato aveva la tendenza a simili comportamenti. Forse la statura bassa o la scarsa capacità di bluffare lo avevano relegato ad un livello inferiore facendolo diventare, per distorsione dialettale, un "blaffitte". |
|
BRUSCHITTE
È difficile stabilire l'origine di un soprannome quando esso può derivare da una grande quantità di termini. In italiano, infatti, con "brusca" ci si riferisce ad una serie di sostantivi e verbi ognuno con un diverso significato.
La "brusca" è, infatti, sia una spazzola di solito usata per strigliare i cavalli, sia una malattia dell'ulivo.
Con il termine "brusca" si fa riferimento anche alle stoppie, ai ramoscelli secchi, ma una persona "brusca" è pure colui poco gentile con il prossimo.
Addirittura pare che la "brusca" sia un tipo di regolo flessibile.
Per quanto riguarda invece il suffisso "itte", si tratta probabilmente come al solito di un modo per indicare una caratteristica fisica del possessore dell'epiteto (probabilmente magro o piccolo di statura).
In ogni modo, senza voler scendere troppo nel complicato, con il termine "bruschitte" forse si voleva semplicemente indicare una persona con scarsa tendenza alla giovialità. |
|
Il soprannome è certamente uno dei più comuni e dei più citati nel nostro paese, ma stranamente non se ne conoscono le origini. Il termine "Bull" è anomalo perfino per il dialetto fallese e dà adito a molte ipotesi tutte poco attendibili. Per le nostre "indagini" sulle origini dei soprannomi solitamente ci avvaliamo della collaborazione delle persone più anziane del paese che solitamente collaborano sempre in maniera molto entusiastica e non deludono quasi mai le nostre aspettative. Questo è stato uno dei pochi casi in cui in molti, alla domanda: "Perché lo chiamavano Bull?", hanno risposto piuttosto delusi: "Sacce i, j'onne diceve accuscì!" (Non saprei, lo chiamavano così!).
C'è stato un solo caso in cui la risposta è stata concisa e, almeno all'apparenza, chiara. Solo su quest'ultima replica noi abbiamo potuto formulare l'ipotesi che segue. Il termine "bull" sembra che sia uno storpiamento dialettale della parola "balle" (ballo, danza). Pare, infatti, che l'epiteto, sia nato proprio dalla passione per la danza di una delle figlie appartenente alla famiglia con tale soprannome. Non ci risulta che la ragazza abbia avuto fortuna come danzatrice e non è dato sapere se l'appellativo fu imposto al genitore o alla figlia stessa che diverrebbe così la "fondatrice" del soprannome, sta di fatto che ancora oggi, almeno nel nostro paese, quando si parla di "Chille di Bulle" si sa sempre a chi ci si riferisce. |
|
CAMPANINE
È questo un altro soprannome purtroppo ormai quasi del tutto scomparso dal nostro paese. I vari componenti della famiglia con tale nomignolo sono tutti emigrati ed i loro discendenti certamente non possono esserci d'aiuto nella ricostruzione dell'origine dell'epiteto.
Il termine "campanine" nella forma dialettale vuol dire campanile. Infatti, una delle ipotesi più avvalorate, è quella che fa risalire l'origine del soprannome all'aspetto fisico del suo primo possessore: alto e dinoccolato, proprio come un campanile, appunto.
Non mancano però anche altre tesi altrettanto fantasiose. Alcuni affermano che il termine altro non è che la fusione delle due parole "campa" e "Nino" (Nine in dialetto) riferito al fatto che il soggetto in questione riuscisse con molta facilità a sopravvivere anche in condizioni particolarmente precarie e di disagio. Tale ipotesi ci sembra tuttavia piuttosto forzata soprattutto perché mancante di riscontri anagrafici che confermano la presenza nel nucleo di questa famiglia di qualcuno con tale nome.
Notissima è invece la località (che ovviamente non ha niente a che vedere con il soprannome) Ripa Campanine (Ripa Campanile in italiano): l'altissima parete di roccia a picco sul fiume Sangro, visibile da qualunque parte di Fallo e sulla cui sommità è ubicato il paese di Borrello.
Particolarmente interessante è infine l'appellativo con cui un fallese di adozione per vincolo matrimoniale perché sposato con una donna della famiglia in questione, chiamava il proprio erede. L'uomo, trasferitosi a Fallo dal nord Italia per lavori lungo la linea ferroviaria, pur vivendo al paese da molti anni non ne aveva mai acquisito completamente il dialetto. Era solito quindi rivolgersi al suo rampollo in un italiano quasi perfetto con la seguente frase: "Cosa ne capisci tu, figlio di un campanile?" |
|
Particolarissimo soprannome che fa chiaramente riferimento alla famosa festa religiosa. È altresì noto il proverbio del mese di Febbraio che recita: "lu ddù è la Canilore, lu tre è biasciole, lu quattre nin è cubbelle, lu cinche è Agatelle" (il due è la Candelora, il tre è San Biagio, il quattro non è nulla ed il cinque è Sant'Agata) e questo ad ulteriore conferma che il nomignolo è riferito a quella particolare ricorrenza.
Per la Chiesa Cattolica, il due febbraio, è il giorno indicato come Presentazione del Signore e come tale risulta sui calendari, ma la ricorrenza è popolarmente chiamata festa della Candelora perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo "luce per illuminare le genti".
Come sia possibile che ad una persona potesse essere stata associata una tale ricorrenza è difficile dirlo, ma forse qualche ipotesi può essere formulata. La prima è che la persona (forse una donna) fosse nata nel giorno della ricorrenza stessa ed il suo nome fosse effettivamente Candelora (come Natalino per chi nasce a Natale, Stefano per chi nasce a Santo Stefano, eccetera).
Altra ipotesi è che l'epiteto sia stato coniato perché la persona cui era stato imposto commerciava in candele oppure che s'interessasse, nel giorno della celebrazione, alla distribuzione degli oggetti in questione.
Una cosa è certa: in entrambi i casi era sicuramente considerata, dagli abitanti del paese un personaggio di "pubblica utilità". |
|
CARICHITTE
Il personaggio con tale soprannome era talmente noto a tutti che, ancora oggi, quando è nominato, non si può fare a meno di ricordare la sua figura incombente a cavallo di una Vespa (molti si chiedevano come facesse il povero scooter a sorreggere cotanta mole).
Da giovane era stato Guardia Comunale (una delle tante che si sono succedute nel paese) e molti dei ragazzi di quei tempi, ormai adulti, lo rammentano certamente non senza una punta di timore.
Come molti altri uomini di allora, era cacciatore accanito, ma pare che si distinguesse in maniera particolare per la sua abilità nell'uso delle tagliole o delle trappole per la cattura e l'uccisione degli animali selvatici.
Alcuni in paese lo consideravano, oltre che il più esperto in tale "arte", anche uno dei migliori nella ricerca delle tracce della selvaggina. Per tali motivi era spesso consultato per caricare e piazzare trappole e tagliole nei punti giusti.
In poco tempo divenne "lu caricatore" ufficiale del paese e, da caricatore a "carichitte", il passo è breve. |
|
CARNIVALE
Unico indizio: "Lu spuorte di Carnivale". È da lì che si è dovuti partire per avere qualche notizia in più su questo particolare soprannome. Il luogo è notissimo ed è stato da sempre uno dei punti di riferimento del nostro paese, ma forse sono stati in pochi a chiedersi come mai avesse una così particolare denominazione. Il fatto che si trovi in un punto di passaggio, ha certamente contribuito ad "elevarlo" agli onori della notorietà, ma come sempre in questi casi sorge spontanea la domanda: è stata costruita prima la casa oppure è stato coniato prima il soprannome? Ovviamente non è dato saperlo. Una cosa è sicura, il soprannome deriva dall'usanza che si aveva nella famiglia di allestire una festa ogni volta che se n'offriva l'occasione, insomma in casa era sempre carnevale, anzi "Carnivale". |
|
CASCITTONE
È certamente difficile ipotizzare qual è l'origine di tale soprannome. In dialetto, il termine "cascette" sta ad indicare genericamente la cassa (ad esempio: 'na cascette di pimmadore). La parola "cascittone" è probabilmente un accrescitivo dispregiativo dello stesso termine: quindi, una cassa piuttosto grande in condizioni non proprio perfette.
Non è in ogni modo esclusa l'ipotesi che il termine indichi semplicemente il normale comò presente in tutte le camere da letto. Certamente prendendo per buona quest'ultima teoria e pensando ad una persona con tale soprannome, viene da pensare che l'aspetto fisico del suo possessore dovesse essere tutt'altro che filiforme. È probabile, infatti, che si trattasse di un soggetto dall'aspetto piuttosto ingombrante (stile cassettone, appunto) e con l'andatura sicuramente non agile.
Personalmente, la prima volta che sentii parlare di cascittone, fu molti anni fa con riferimento ad una "famosa" stalla (la stalle di Cascittone) che si trovava proprio all'inizio della strada che porta a "La Fonte" e sotto la strada principale del paese.
Si trattava di una vecchia costruzione in pietra, già a suo tempo fatiscente, utilizzata in tempi passati da molti paesani come "magazzino" e in tempi relativamente più recenti da punto d'incontro per i molti ragazzi che si dedicavano alle scorribande nelle campagne circostanti.
Dell'antica costruzione ormai non è rimasto più nulla ma il luogo in cui si trovava è ancora chiamato "a ddò stave la stalle di Cascittone" (dove si trovava la stalla di Cascittone) per indicare un preciso punto del paese.
Sarà per questi motivi che sia il luogo sia il soprannome sono rimasti vivi nella memoria degli abitanti del nostro paese? |
|
L'origine di questo soprannome è veramente singolare e dobbiamo ammettere che non è stato per niente facile trovarla soprattutto perché il termine originario fa parte delle forme dialettali non più in uso nel nostro paese.
Prende, infatti, l'appellativo di "ciaralle" il settimo figlio maschio di una famiglia. Secondo antiche credenze pare che tale discendente avesse il potere di richiamare ed incantare i serpenti dai cui attacchi era, ovviamente, immune. Il richiamo, secondo gli "esperti", sembra che consistesse in un fischio da cui il rettile si faceva incantare. Non bastava naturalmente essere il settimo fratello, ma per avere tale facoltà era necessario un apposito rito d'iniziazione chiamato appunto "inciaramazione" che avveniva spalmando uno speciale unguento (la cui ricetta era ovviamente segreta) sul braccio di chi ne facesse richiesta.
Secondo fonti non confermate, pare che a Montenerodomo ci sia stato un "ciaralle" fino alla fine degli anni ottanta ed è probabile che tale epiteto sia originario proprio di tale paese.
Certamente, a Fallo, come incantatore di serpenti non deve aver avuto molta fortuna: da noi esisteva già un signore il cui soprannome era "sirpare" (serpaio).
|
|
CICCUTTIELLE
È un termine intraducibile in italiano (e, supponiamo, in nessun'altra lingua). Il suo prefisso sembrerebbe la storpiatura del termine cicuta, l'erba passata alla storia perché il suo infuso venne bevuto dal famoso filosofo Socrate, ma non esistono riscontri oggettivi che confermino che il personaggio con tale soprannome avesse mai fatto uso di tale veleno.
Una fonte sicura ci ha invece rivelato una particolarità sulla vita del soggetto in questione. Sembra che non fosse particolarmente amante della fatica e che facesse di tutto per evitare questa punizione inflitta all'uomo fin dalla sua cacciata dal Paradiso Terrestre.
Pare che abitasse verso Borgo Valle Vecchia, lungo Via Orientale in una casa che, rispetto a quelle di allora sicuramente già poco accoglienti, tutto sembrava tranne che un'abitazione.
Come spesso si usava, era stato più volte "richiamato" da qualcuno che lavorava nelle grandi città, ma lui aveva sempre trovato il modo per tornarsene a casa.La moglie, ormai disperata e quasi alla fame, si era rivolta ad un loro parente particolarmente influente residente a Napoli che le aveva assicurato un lavoro definitivo per il marito.
Il nostro partì, anche se non molto convinto e stette via forse un paio di settimane senza dare più notizie di sé. La moglie cominciò a preoccuparsi, ma non dovette farlo per molto. Una sera molto tardi sentì armeggiare alla porta di casa ed, aprendola spaventata, si trovò davanti il marito che con aria beata pronunciò la fatidica frase rimasta negli annali della storia del nostro paese: "Stonghe 'ccà Maruzza mia" (Sono qui Mariuccia mia).
Il marito era tornato nuovamente a casa, ma era diventato poliglotta: ora parlava anche in napoletano. |
|
CICIRINNELLE
Questo soprannome è ormai completamente scomparso dal nostro paese e sono, tra l'altro, in pochissimi a ricordarlo. È certamente per questa ragione che non si conosce né la sua origine né il personaggio cui era stato imposto. Certamente, quando si parla di Cicirinnelle, si pensa subito alla famosa canzone popolare partenopea e forse la persona cui l'epiteto era stato dato veniva proprio dalla vicina Campania, ma anche questa rimane, naturalmente, soltanto un'ipotesi.
Il brano Cicerenella (questa la forma dialettale originaria) non è databile con precisione. Sul suo motivo si ballava l'antica tarantella napoletana. Ne esistono versioni diverse ed alcune di esse contengono frasi piene di doppi sensi ed alcune volte anche oscene (notissima quella interpretata dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare): di seguito ve ne proponiamo una delle varianti più "soft".
Cicerenella mia, si' bona e bella! |
|
Cicerenella tenéa nu ciardino |
e ll'adacquava cu ll'acqua e lu vino... |
Ma ll'adacquava po' senza langella... |
Chist'è 'o ciardino de Cicerenella... |
|
Cicerenella teneva na gatta |
ch'era cecata e purzí scontraffatta... |
La strascenava cu meza codella... |
Chest'è la gatta de Cicerenella... |
|
Cicerenella teneva nu gallo |
e tutta la notte nce jéva a cavallo... |
Essa nce jéva po' senza la sella... |
E chisto è lo gallo de Cicerenella... |
|
Cicerenella teneva nu ciuccio |
e ll'avéa fatto nu bellu cappuccio... |
Ma nu teneva né ossa e né pelle... |
Chisto è lu ciuccio de Cicerenella... |
|
Cicerenella tenéa na gallina |
che facéa ll'uovo de sera e matina... |
Ll'avéa 'mparata a magná farenella... |
Chest'è 'a gallina de Cicerenella... |
|
Cicerenella tenéa na pennata, |
e, tutta la notte, steva allummata... |
E ll'allummava co la lucernella... |
Chesta è 'a pennata de Cicerenella... |
|
Cicerenella teneva na vótte: |
mettea da coppa e asceva da sotto... |
E nun ce steva tompagno e cannella... |
Chesta è la vótte de Cicerenella... |
|
Cicerenella tenéa na remessa |
e nce metteva cavallo e calesse... |
E nce metteva la soja tommonella... |
Chesta è 'a remessa de Cicerenella... |
|
Cicerenella tenéa na tièlla, |
frijeva ll'ove cu la mozzarella... |
e le ffrijeva cu la sarcenella... |
Chesta è 'a tièlla de Cicerenella... |
|
Cicerenella mia, si' bona e bella! |
|
|
La traduzione letterale del termine è facile: grosso uccello. Certo, la frase può dare adito ad ipotesi ed a battute d'ogni genere, ma c'è da considerare che nella forma dialettale, con tale parola, ci si riferisce ad una persona dall'aspetto inquietante: incombente, cupo e minaccioso. Del resto tra gli anziani del paese sono ancora abbastanza in uso le frasi "Pare nu cillone" (sembra un grosso uccello) e "va girenne gnè nu cillone" (va in giro come un grosso uccello) riferendosi a chi ha un aspetto poco raccomandabile o gira guardandosi intorno con fare furtivo.
In effetti, potrebbe essere plausibile l'ipotesi che il capostipite cui è stato posto questo nomignolo avesse l'aspetto di un grosso uccello e che girasse per il paese guardandosi intorno con fare circospetto dando l'impressione di persona poco raccomandabile, ma non è tutto.
Il dialetto partenopeo ancora una volta ci dà un ulteriore spunto. Infatti, con il termine "aucellone", nel napoletano ci si riferisce a persona che strepita come un grosso uccello in gabbia. E non potrebbe essere questa la particolarità del personaggio in questione?
Ovviamente non è dato saperlo: possiamo solo restare in attesa di conferme o definitive smentite alle ipotesi finora formulate. |
|
È, anche questo, un soprannome ormai scomparso dal nostro paese. Per questo motivo non è stato facile ricostruirne l'origine: persino le persone più anziane di Fallo ne hanno un vago ricordo ed hanno difficoltà a ricollegare l'epiteto con il personaggio cui esso era stato imposto. Il termine stesso "Ciquacchie" è particolarmente ostico persino per il nostro dialetto che certamente non è nuovo a circonvoluzioni linguistiche piuttosto complesse.
Tra le tante ipotesi suggerite, la più accreditata è certamente quella che fa risalire il soprannome al termine "Quacchie" ("lu quacchie" singolare, "li chiecchie" plurale), cioè al cosiddetto "cacchio", ossia il tralcio della vite, poi germoglio, da trapiantare o innestare.
Avendo il nostro paese, come del resto anche quelli del circondario, quasi una tradizione di viticultori, è abbastanza normale che ci fossero degli "esperti" in innesti ed è quindi probabile che il capostipite di tale soprannome fosse proprio uno di questi ultimi.
Resta un solo dubbio: il nostro, oltre alle viti, innestava anche altre piante? |
|
Certamente saranno in molti a ricordare questo particolarissimo personaggio del nostro paese.
Erano molti i ragazzi che lo beffeggiavano, ma erano soprattutto molti coloro che invece lo temevano per i suoi bruschi modi di fare ed il suo aspetto un po' selvatico. Credo che tutti, chi più e chi meno, ne abbiano avuto a che fare qualche volta se non altro per questioni legate all'invasione (vero o presunta) della sua proprietà. Era quasi uno standard che durante il periodo della trebbiatura lo si vedesse aggredire a male parole qualche ragazzino che aveva osato avvicinarsi ai suoi covoni di grano disposti su Colle Rosso e "l'era sgrulluate".
Certamente, quanto sopra detto, era forse l'unica particolarità che gli abitanti del paese ricordavano del personaggio in questione ed in pochi si erano chiesti, come stiamo facendo noi, quale fosse l'origine del suo soprannome.
Tutto sembra essere nato dall'acquisto da parte del nostro, di un ciuco di piccola taglia che l'uomo per anni si è trascinato dietro ogni qual volta si recava in campagna. È noto che nel dialetto partenopeo il somaro è comunemente chiamato "Ciuccio" e che, nel nostro paese, molte inflessioni dialettali traggono origini dal napoletano, niente di strano quindi che la parola dialettale abbia subito una trasformazione nel tentativo di crearne un diminutivo: un piccolo "ciuccio" diventa "nu ciuccitte" e poi definitivamente "nu ciuccittielle" con tutte le implicazioni del caso. |
|
È questo un altro di quei sopranomi di cui si è perso completamente sia il significato sia l'origine. Qualche ipotesi si può formulare associandolo per assonanza al termine dialettale "cocce" (testa) che forse, come sempre accade nelle forme gergali, si è trasformato nel definitivo "Cuocce".
Secondo tale ipotesi si potrebbe pensare che il capostipite dell'epiteto fosse un personaggio con il capo particolarmente grosso ed in tal caso il soprannome andrebbe posto nel gruppo 3 (soprannomi derivanti da caratteristiche fisiche). Non dimentichiamo che al nostro paese sono tutt'ora in uso i termini "cocce di mintone" e "cocce di mmuaglie" (rispettivamente "testa di montone" e "testa di maglio" per indicare persone particolarmente dure di comprendonio.
C'è però dell'altro. Nella canzone napoletana esiste una famosissima tarantella il cui titolo è "Lu Guarracine" ("Coracino" in italiano, pesce di un bel colore nero come le penne del corvo), in cui sono elencate oltre 80 specie di animali marini, tutti presenti nei nostri fondali, tra cui anche un "cuocce" inteso, appunto, come pesce: |
|
.orche e vallene
capitune auglie arenghe
ciefale cuocce tràcene e tenghe
treglie tremmole trotte e tunne.. |
|
Il testo della canzone è lunghissimo e non ve lo riportiamo qui per problemi di spazio, ma è veramente interessante anche la storia in esso narrata.
Un Guarracino, ben vestito e preparato, si mette alla ricerca di una sposa. Resterà folgorato dalla bellezza di una Sardella (sardina) che canta affacciata al suo balcone. Il Guarracino incaricherà la Bavosa (Vavosa) di fargli da tramite. La sarda arrossisce ed accetta. A rovinare tutto ci pensa una Patella (vongola) che spierà all'Allitterato (il Letterato, un tonno, ex fidanzato della sarda) cosa sta succedendo. Inizierà così una furibonda rissa nei fondali marini in cui interverranno amici e parenti dei contendenti composti da ogni sorta di essere marino con nomi non tutti riconducibili ad un corrispettivo termine italiano forse perché citati in antico dialetto partenopeo.
Bellissima ed esilarante storia che in ogni caso non chiarisce il mistero: da cosa deriva il termine Cuocce. |
|
|
CUPPULONE
Il termine "cuppulone" è usato in molti dialetti italiani per indicare oggetti diversi, ma nel nostro caso, considerando la vicinanza a Napoli e l'influenza borbonica, l'espressione è certamente d'importazione partenopea. Del resto anche il grande Principe Antonio De Curtis (Totò) in una sua poesia (Ricunuscenza) recita:
... |
Piglio e mme mengo pe' 'nu canalone |
e veco sott'a n'albero piangente |
'nu fuosso chino 'e prete a cuppulone... |
e sotto a tutto steva 'nu serpente. |
... |
In questo caso il "cuppulone" è la forma che assumono le pietre (prete) di cui il fosso è pieno (chino).
In effetti, il termine altro non è che l'accrescitivo della parola dialettale coppola (cappello) e l'origine del soprannome pare sia legata proprio a questo vocabolo.
Sembra, infatti, che uno degli antenati della famiglia cui tale soprannome è stato imposto, di ritorno da Napoli dove si era recato per lavoro, si fosse presentato in paese con un grosso cappello (un cappellone, appunto) che indossava in tutte le occasioni.
- Guarde culle chi cuppulone chi zè accattate! - (guarda quello che grosso cappello si è comprato!) oppure - Mò arrive cuppulone! - (adesso arriva cappellone) cominciò a dire la gente. Il resto è venuto da sé.
|
|
FRACITONE
Deriva dal termine dialettale fràcite (fradicio, vedi il dettaglio nel dizionario) seguito dal suffisso one come accrescitivo. Sembrerebbe quindi che il soprannome stia ad indicare una persona dall’aspetto malaticcio e dalla salute cagionevole. Del resto anche nel dialetto romanesco, con il termine fracico, ci si riferisce a chi si ammala spesso.
C’è però da aggiungere che in Campania, in particolare in provincia di Avellino, è definito fracitone anche una persona noiosa e rompiscatole.
Quale delle due ipotesi sarà quella giusta? Impossibile verificarlo: pare che nel nostro paese ormai non ci sia più nessuno che possa “fregiarsi” con tale appellativo. |
|
FURCIVELLE
Ci sono soprannomi di cui è davvero arduo immaginare l'origine: questo ne è un classico esempio.
Dopo aver fatte molte ipotesi tutte accantonate per vari motivi, improvvisamente la soluzione è giunta quasi inaspettatamente e ci ha sbalordito per la sua semplicità.
Il soprannome deriva da forbice ("fuòrcive", in dialetto) e "fuòrcivelle", che sta per piccola forbice, ne è il suo diminutivo. Naturalmente al termine definitivo "furcivelle" si è giunti passando attraverso le varie distorsioni tipiche del nostro dialetto.
Ma perché "furcivelle"? Chi ha conosciuto il personaggio cui tal epiteto è stato imposto, lo descrive come una vecchietta dall'aspetto mansueto, ma dalla lingua tagliente con cui spesso zittiva chi tentava di metterla in difficoltà.
Di questa sua caratteristica pare che andasse particolarmente orgogliosa al punto da minacciare l'organo che la difendeva così bene con le parole: "Lenga mè, aiùteme, sinnò ti taglie!" (Lingua mia, aiutami, altrimenti ti taglio!). |
|
LA FLECCE
Alcuni buontemponi del nostro tempo hanno formulato l'ipotesi che gli appartenenti alla famiglia con quest'epiteto, siano imparentati con Jessica Fletcher, nota protagonista di tanti telefilm polizieschi; ma, considerando che il soprannome è stato attribuito in periodi in cui detta eroina non era ancora conosciuta, tale supposizione viene chiaramente a cadere.
Scherzi a parte, nella forma dialettale la parola "flecce" indica il residuo del vino nel fondo delle botti ed è la chiara deformazione del termine italiano "feccia" col quale viene definito lo stesso soggetto. L'ipotesi più attendibile ( avvalorata da testimonianze certe) è quella secondo la quale uno degli avi della famiglia cui il soprannome si riferisce, fosse particolarmente affascinato dalle lusinghe di gagliarde bevute che lo portavano a vuotare in breve tempo le botti della cantina fino a berne perfino il residuo del vino in esse contenuto ("la flecce", appunto). |
|
Soprannome dall'etimo difficilissimo. La prima ipotesi e la più immediata che ci è venuta in mente è che l'epiteto è derivato dalla parola "luccio" (pesce d'acqua dolce, Esox lucius) e che la persona a cui era stato imposto avesse le fattezze del viso molto simili a quella di detto pesce (bocca a "becco d'anatra", dominata da denti robusti e acuminati), ma obiettivamente ci sembrava un po' troppo forzata.
Dopo aver formulato parecchie altre ipotesi sulle sue origini, ci è venuto in mente che forse il soprannome era stato inserito nella collocazione sbagliata nell'ambito della nostra rubrica. Una ricerca più approfondita ci ha portato, infatti, a scoprire che Luccio è il diminutivo del nome Gabriele (Gabrieluccio) e quindi che l'epiteto andava posto proprio nel "GRUPPO 1" (soprannomi derivanti dal nome proprio di un membro della famiglia) tra LISANDRE (Alessandro) e MARGIACONDE (Maria Gioconda). |
|
LU LUPE
Il lupo: questa è la traduzione letterale del soprannome. Gli appartenenti alla famiglia con tale appellativo vengono chiamati "Chille di Lu Lupe" vale a dire "Quelli del Lupo" che, sulle prime, potrebbe sembrare o un'associazione animalista o una di quelle squadre speciali che tanto spesso si vedono nei film d'azione.
In effetti, l'origine del soprannome, come spesso accade, non è chiaro neppure ai membri della famiglia stessa.
L'ipotesi dei più fantasiosi fa risalire l'origine dell'appellativo al fatto che, in tempi molto remoti, uno degli avi della famiglia fosse (udite, udite!) un lupo mannaro.
Un'altra ipotesi, anche questa avvalorata da pochi, è che, sempre lo stesso avo, fosse una persona particolarmente ombrosa e facile all'irritabilità: questo lo portava quindi ad essere piuttosto aggressivo nei confronti degli altri.
La teoria più probabile, che è poi quella sostenuta dai più e che noi condividiamo, è che uno degli antenati della famiglia fosse un gran lavoratore, uno che cioè a Fallo veniva definito "nu lupe di lavore" (un lupo di lavoro).
Dalla definizione di "Lupo di Lavoro" a "Lupo" il passo è breve. |
|
Certamente questo soprannome non è dei più comuni e neanche dei più allegri, ma, nonostante sia ormai scomparso dal nostro paese, le persone più anziane ne conservano ancora buona memoria.
Chi per la prima volta sente tal epiteto, certamente lo associa all'aspetto fisico del suo possessore: una persona, magra, dall'aspetto malaticcio e ormai prossima al trapasso. Tale ipotesi si dimostra invece del tutto infondata quando, indagando più approfonditamente, si conosce la sua vera origine.
In tempi piuttosto lontani, in una casa non ben definita del nostro paese, viveva una famiglia nella quale uno dei membri era un vecchio ormai molto avanti con gli anni. Nonostante la tarda età, l'anziano era ancora autosufficiente ed arzillo, al punto che il resto della famiglia lo lasciava in casa a sbrigare le faccende domestiche che, allora, erano sempre tante.
Il vecchio, come tutte le persone della sua età, era abitudinario ed i parenti, sapendolo, gli affidavano sempre le stesse incombenze. Una di queste era quella di raggiungerli ad una certa ora in campagna.
Un giorno, però, all'ora dovuta, l'anziano non si presentò e, dopo averlo atteso per parecchio tempo inutilmente, qualcuno si preoccupò di tornare a casa a vedere cosa fosse successo. Trovò il vecchio seduto al suo solito posto, appoggiato al bastone e con la testa reclinata sul petto. Pensando che dormisse, come spesso faceva, non osò toccarlo e la sera tardi, di ritorno dalle campagne, già si pensava a come blandirlo di questa sua debolezza d'anziano, quando rientrando a casa, lo trovarono nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato l'ultima volta.
Ci volle poco a capire cosa era successo: il vecchio durante la sua piccola pennichella mattutina era stato probabilmente colto da malore ed era passato beatamente dal sonno alla morte.
Tale evento dalla modalità del tutto eccezionale, diede l'occasione per appioppare il soprannome di "Morte" a tutti i membri della famiglia che da quel momento in poi divennero "Chille di Morte". |
|
È questo un altro soprannome scomparso dal nostro paese. Anche per questo motivo è difficile risalire alle sue origini anche se il termine è facilmente traducibile in italiano: ostia.
Qualche volenteroso ha azzardato delle ipotesi, a nostro dire, piuttosto fantasiose, ma purtroppo, come sempre accade in questi casi, non verificabili.
Forse il capostipite della famiglia cui tale epiteto era stato imposto si occupava della fabbricazione delle ostie?
Potrebbe il soggetto di cui sopra essere un nativo o un abitante di Ostia (località balneare sita nelle vicinanze di Roma)?
O il soprannome è riferito all'aspetto fisico della persona in questione (talmente sottile da essere quasi trasparente, appunto come un'ostia)?
Sono tutte supposizioni accettabili, ma che non troveranno forse mai conferme.
Ciò che invece è reale e che ancora oggi testimonia l'esistenza nel nostro paese della famiglia con tale soprannome è la famosa "Stalle dill'Ostie" (Stalla de l'Ostia) ubicata lungo la strada principale di Fallo tra "La Madonnine" e l'ingresso del centro abitato. Si tratta di un vecchio rudere ormai quasi completamente soffocato dalla vegetazione che lascia ancora intravedere due archi in pietra unici testimoni di "antichi splendori".La "Stalle dill'Ostie" è stata per molto tempo non solo uno dei punti di riferimento del nostro paese, ma anche un luogo che dava ai buontemponi la possibilità di perpetrare scherzi di pessimo gusto ai danni dei meno avveduti o dei più impressionabili.
Sono diversi gli aneddoti che narrano di giovanotti o ragazzetti che, nascosti sotto i famosi archi, si divertivano, in tempi in cui l'illuminazione era scarsa o inesistente, a spaventare con versi lugubri e agghiaccianti rumori i malcapitati passanti, ma erano altri tempi ed erano altre generazioni che forse soltanto i vecchi ruderi de "La stalle dill'Ostie" ormai ricordano ancora. |
|
Era un personaggio notissimo a Fallo sia per le sue stramberie sia per il suo modo di fare burbero e senza troppi preamboli.
Era inoltre proprietario di una baracca di legno lungo Corso Umberto Primo di cui era gelosissimo e nella quale si recava quasi tutti i giorni anche quando ormai era diventata pericolante.
La baracca si trovava dove è ora ubicato il negozio di generi alimentari e quando fu abbattuta più di qualcuno commentò l'accaduto con la frase: - Zì n'è jute pure la barracche di Pacchiane! - quasi si trattasse di un cimelio storico. La demolizione della catapecchia avvenne dopo la sua morte e non poteva essere altrimenti vista la tenacia con cui il vecchio la difendeva.
Molti bambini più di una volta avevano dovuto subire i suoi improperi ed avevano tremato alle sue minacce, ma i più grandi traevano divertimento dalle sue coloratissime imprecazioni.
Si sa che in italiano con il termine pacchiano s'intende una persona che veste in maniera appariscente e forse questo gli era valso tale epiteto ma, certamente anche senza questa particolarità, sarebbe in ogni caso rimasto uno dei personaggi più celebri di Fallo. |
|
La scomparsa del personaggio che portava tale soprannome è stata, per il nostro paese, una perdita quasi istituzionale. Lo è stata soprattutto perché con lui è scomparso, oltre al personaggio particolarissimo, anche l'unico detentore di tale soprannome.
Era lui difatti il "capostipite" dell'epiteto ed ogni volta che veniva nominato non si poteva fare a meno di ricordare sia la sua figura quasi incombente, sia il suo particolarissimo modo di parlare che tutti cercavano di imitare ma che solo a pochi riusciva in maniera perfetta.
Negli ultimi anni della sua vita s'incontrava ancora per il paese appoggiato ad un bastone ed a chi gli chiedeva delle sue condizioni di salute rispondeva con la sua particolare cadenza: "E com'eija stà? Tienghe la crone di lu diabete! Nin pozze magniè chiù e nin pozze chiù veve. Chi ti ni vuò fa cchiù!". (E come vuoi che stia? Ho il maledetto diabete! Non posso mangiare più e non posso più bere. Cosa vuoi fartene più di me ormai!).
Come per molti altri casi, l'origine di questo soprannome può essere solo ipotizzata poiché non esistono testimonianze certe sulle cause della sua formulazione . E' probabile che l'epiteto sia stato coniato in riferimento alla fisionomia del personaggio la cui corpulenza certamente non peccava di una "rotondità" pressoché perfetta (come quella di una palla). La pungente ironia popolare potrebbe aver fatto il resto, adottando paradossalmente la forma diminutiva del termine (pallino) proprio per deridere ancora più causticamente la mole ingombrante del personaggio.
Un'altra possibile interpretazione rimanderebbe l'origine di questo soprannome al "pallino" del gioco delle bocce, chiamato anche boccino. Probabilmente il nostro personaggio era stato in gioventù un abile ed accanito giocatore di bocce particolarmente bravo a "tuzza' lu palline" (colpire il boccino), da cui il soprannome. Ma questo potrebbero confermarlo solo i più anziani giocatori del paese.
|
|
È questo un altro soprannome la cui origine è completamente sconosciuta. Nella ricerca della sua provenienza non ci aiuta neppure l'etimologia del termine "Panacce" che è del tutto ignoto. Una traccia di questo epiteto la troviamo spulciando i soprannomi di un paese vicino al nostro: Montenerodomo. È quindi probabile che il capostipite della famiglia con tale nomignolo sia un "oriundo" proveniente appunto dal suddetto paese.
Altra ipotesi avvalorata da alcuni è quella secondo la quale il soprannome non sia altro che la storpiatura del cognome Panaccio di cui si trovano tracce anche a Guardiagrele.
Sono pochissime anche le notizie riguardanti il personaggio in questione anche se nel nostro paese non godeva fama di gran lavoratore. A tale proposito, alcuni anziani di Fallo, raccontano che fosse stato scacciato di casa dalla moglie e che dopo un lungo periodo d'indigenza, fosse stato accolto in casa da una sorella la quale, sia per salvare le apparenze, sia per trarne qualche profitto, lo mandava ad accudire le pecore.
Chissà se restando a Guardiagrele o Montenerodomo avrebbe avuto migliore fortuna. |
|
Soprannome stranissimo e dalla difficile interpretazione. Si possono fare, anche qui, soltanto delle ipotesi, una delle quali è che l'epiteto derivi semplicemente dalla parola "panzanella": tipico piatto toscano e del resto dell'Italia centrale (Umbria, Marche e Lazio).
Rammentiamo che la ricetta originale di tale pietanza prevede pane raffermo, pomodoro crudo a pezzi, cipolla rossa e basilico, il tutto condito con olio, aceto e sale. In Umbria e nelle Marche le fette di pane raffermo sono bagnate, non sbriciolate e gli altri ingredienti posti sopra come si trattasse di una bruschetta.
Se si vuole condividere la teoria sopra esposta, si può supporre che il capostipite della famiglia con tale cognome fosse un gran consumatore di questa pietanza che, dati i suoi componenti, è annoverata fra i cosiddetti "piatti poveri". E, considerando che il nostro paese ha avuto ben pochi "principi", forse l' ipotesi azzardata non è poi così lontana dalla realtà. |
|
È difficile stabilire il motivo per cui al nostro compaesano sia stato attribuito tale epiteto. Nella forma dialettale la “pastocchie” è un intruglio di svariati ingredienti. In italiano troviamo il termine pastrocchio di simile significato, ma anche “pastocchio” che è un dolce fatto con pane cotto, mele, uvetta, cacao e Mistrà: anche in questo caso, quindi, un miscuglio di cose diverse. L’unica ipotesi che si può quindi fare è che il personaggio cui è stato imposto tale soprannome soleva combinare pasticci.
|
|
Questo è un altro soprannome ormai completamente scomparso dal nostro paese e certamente possiamo annoverarlo tra i nomignoli "arcaici" perché la sua origine si perde nella notte dei tempi.
È difficile ovviamente azzardare delle ipotesi sulla sua genesi e le indagini condotte hanno dato modo agli interpellati di formulare le ipotesi più fantasiose.
Una delle tante è quella che ritiene il soprannome derivante dal termine dialettale "Pititte" (vedi la rubrica "Il dizionario") il quale era un contenitore di coccio decorato, della capacità di due litri, utilizzato solitamente per servire il vino.
Secondo tale ipotesi quindi il capostipite della famiglia con tale soprannome era solito recarsi in cantina a spillare il vino direttamente con il contenitore di cui sopra guadagnandosi così prima il nomignolo di Pititte per poi approdare, dopo varie storpiature dialettali, al soprannome definitivo di "Pitecchie".
Più semplicemente forse l'epiteto deriva dal termine "Petecchia", parola proveniente dal vocabolo latino del XV secolo "Pestichia", in seguito corrotto in "Peticula" ed infine in "Petecchia". Alcuni fanno derivare la parola sempre dalla lingua latina, ma dal termine "Petigo" (scabbia, macchia gialla sulla pelle).
In generale la petecchia può definirsi una macchia purpurea causata da emorragia di piccole dimensioni rassomigliante ad una morsicatura di pulce ed è dovuta a fragilità capillare.
Più semplicemente, quindi, il soprannome potrebbe derivare da una caratteristica fisica del suo possessore: coperto di piccoli foruncoli dovuti forse a morsicature d'insetti (considerando le precarie condizioni igieniche di allora, probabilmente pulci) o affetto da qualche malattia cutanea. |
|
Ammettiamo di essere piuttosto imbarazzati nel dover dare spiegazioni circa le origini di questo soprannome.
Proprio per evitare tale disagio, si era inizialmente formulata l'ipotesi che l'epiteto derivasse dal cognome partenopeo, peraltro piuttosto diffuso, di Percuoco (a San Giovanni a Teduccio esiste anche una villa con tale nome). Da indagini svolte e da interviste fatte alle persone più anziane del paese si è avuto però solo la conferma a quanto già si supponeva: il soprannome deriva proprio da "pricuoche" (peto, in italiano).
Alcuni anni fa (nel 1983) veniva proiettato nelle sale cinematografiche un film il cui titolo era "Il petomane": storia di un certo Joseph Pujol che si esibiva, con molto successo, in un locale notturno parigino in un numero veramente originale.
Anche il possessore di questo soprannome pare che avesse una certa predisposizione naturale a questo tipo di emissioni gassose, ma che, al contrario, sembra che non fosse molto apprezzato.
In compenso era, come quasi tutti a quei tempi, piuttosto povero in canna, e girava per il paese con il fondo dei calzoni sempre rattoppato con pezze di vario colore che continuavano a strapparsi ed a scucirsi. In molti affermano che le flatulenze emesse dal soggetto in questione facessero agitare come bandierine tali toppe rendendo così ancora più interessante il personaggio ed il suo soprannome.
Naturalmente non mancano gli aneddoti legati sia al nostro eroe sia all'epiteto stesso e quanto di seguito narrato è solo un esempio dei tanti episodi che circolavano a Fallo. Pare dunque che il capostipite della famiglia con tale soprannome fosse stato un giorno richiesto come aiuto per l'uccisione di un maiale. Durante una pausa del lavoro si sedette sull'orlo di un tino (tiniecce, in dialetto) riempito in parte della carne dell'animale da poco macellato provocando agitazione nel padrone di casa il quale corse immediatamente a procurargli una sedia. Secondo quanto riferito dal possessore del maiale stesso, il gesto non era stato un atto di gentilezza verso l'uomo, ma era stato dettato dalla preoccupazione del padrone dell'animale di vedere compromessa in maniera irreparabile la carne del suo maiale. |
|
E' un soprannome che dà adito a diverse ipotesi sulla sua origine.
È, infatti, noto che la parola ruzzo vuol dire scherzo (da cui il verbo ruzzare, voglia di scherzare), ma il ruzzo è anche uno strumento di legno di forma cilindrica usato in tempi antichi per spianare i viali o rompere le zolle.
È inoltre vero che il nomignolo sembrerebbe essere il diminutivo del termine dialettale "ruzze" o "ruzzene" vale a dire ruggine.
Senza dimenticare che potrebbe essere la trasformazione della parola italiana rozzo cioè rustico, agreste.
Sta di fatto che l'epiteto, ormai scomparso dal nostro paese, è spesso usato riferendosi a qualcuno che si esprime in maniera piuttosto "esplicita" utilizzando parole e metodi non molto garbati. Si può difatti ancor oggi udire a Fallo, la frase: "so' fatte gnè la Ruzzette" (ho fato come la Ruzzette). Come dire "non sono stato troppo gentile nei modi".
|
|
Anche di questa parola, come già per altre, è difficile indicare con certezza l'origine.
Tuttavia, il fenomeno dell'emigrazione che, all'inizio del '900, spinse molti dei nostri antenati nella vicina Francia in cerca di miglior fortuna, indurrebbe a credere possibile la derivazione di questo soprannome dal termine francese "chabraque" (pronuncia: "sciabracc") col quale si indica un paramento per gli animali da soma.
Nella pronuncia "alla fallese" è assolutamente probabile che la "r moscia " sia stata eliminata del tutto, dando origine al suono "sciabbacche".
Il personaggio al quale il nomignolo fu inizialmente "affibbiato" (quindi il capostipite) potrebbe essere stato uno dei tanti emigrati rientrati a Fallo che, per vezzo o spacconeria, amava ostentare una sorta di acquisita emancipazione utilizzando occasionalmente, con apparente e voluta disinvoltura, qualche parola appresa all'estero.
Un atteggiamento, questo, molto in voga all'epoca e che potrebbe facilmente giustificare l'ipotesi che il personaggio in questione fosse solito indicare "alla francese" uno dei finimenti con i quali sellava le sue bestie per i lavori in campagna.
A Fallo tale epiteto non è più usato da tempo, ma ne resta traccia nella memoria collettiva soprattutto per il suo accostamento ad una casa adiacente alla chiesa di San Giovanni Battista e definita, appunto, la "Case di Sciabbacche".
La costruzione era assai nota per una presunta infestazione di fantasmi e, per tale ragione, molti ne stavano lontani.
L'unico che ebbe il coraggio di andarvi ad abitare fu un altrettanto noto personaggio, fallese d'acquisizione: "Lu Milanese". Era costui un uomo dalla corporatura robusta che, come dice lo stesso soprannome, veniva da Milano.
Lavorava alla costruzione della ferrovia ed aveva il fisico tipico dello spaccapietre. Non era raro, infatti, vederlo in maniche di camicia anche in pieno inverno spaccare la legna davanti casa. Doveva, inoltre, essere particolarmente impavido se aveva accettato di andare ad abitare in una casa dove, a dire dei più, "ci arriscive l'ombre".
Pare che in moltissimi facessero la fila per farsi narrare dall'inquilino ciò che accadeva di notte nella casa. L'uomo, con il massimo distacco, raccontava che durante la notte sentiva rumori di tavoli spostati, di sedie trascinate e di stoviglie. Al mattino però le sue speranze di trovare...la tavola imbandita, andavano sempre deluse.
"Lu Milanese", pur di saziare il suo perenne appetito, dovuto sia alle ristrettezze dell'epoca che alla pesante professione, era disposto anche a convivere con i fantasmi della "Case di Sciabbacche".
|
|
Questo simpaticissimo soprannome non ha certo bisogno di complicate ricerche etimologiche.
E' la chiara trasposizione dialettale del francese Charlot, ossia del nome di uno dei più conosciuti personaggi del cinema muto inventato dal geniale Charly Chaplin. Chi non lo conosce? Il divertente ed esile omino dagli spiritosi baffetti "a mosca" che camminava a scatti procedendo con i piedi divaricati e poggiandosi ad un esile bastone, ha dato vita ad esilaranti avventure comiche spesso pervase di toccante sentimentalismo.
Forse proprio per queste smaccate caratteristiche fisiche del personaggio cinematografico, il soprannome "Sciarlotte" è stato "affibbiato" per la prima volta ad un nostro conosciuto compaesano che, in effetti, possedeva molte delle caratteristiche di Charlot: corporatura esile, propensione alla giovialità, andatura dinoccolata.
Chi ha avuto il piacere di conoscerlo quando era ancora in vita, non può certo averne dimenticato l'amabile singolarità.
|
|
La particolarità di questo soprannome consiste nel fatto che esso non deriva da una forma dialettale del nostro paese o dei paesi confinanti con il nostro ma, dal Molise o dalla Campania (dal cui idioma derivano molti nostri termini).
La parola "sciurille", infatti, nelle due regioni sopra citate, vuol dire piccolo fiore.In Campania, in particolare, esiste addirittura una ricetta culinaria ("Risotto cu 'e sciurille") di cui uno degli ingredienti sono i fiori di zucca, ma non quelli già schiusi, bensì quelli ancora in boccio, da cui il nome "sciurilli", appunto.
Nel molisano invece ai "Sciurille Gialle" (fiorellini gialli) è stata dedicata anche una poesia.
Ad ulteriore conferma dell'origine di tale epiteto e volendo spostarci ancora più a sud, va inoltre ricordata anche la famosa canzone folcloristica "Sciuri sciuri" (Fiori fiori) di origine siciliana.
È quindi probabile che il capostipite della famiglia con tale soprannome provenisse da una delle succitate regioni, che il suo nome fosse Fiore ed infine che fosse di corporatura minuta, da cui il diminutivo in "ille". |
|
Il termine è intraducibile in italiano. Un vocabolo simile si trova nel gergo dei podisti. Viene infatti definito TAPASCIONE il corridore o il marciatore che, allenandosi in maniera saltuaria, percorre moltissimi chilometri a ritmo lento.
Non ci è dato sapere se, al tempo in cui tal epiteto è stato attribuito, il termine "tapascione" fosse già conosciuto. Se così è, la spiegazione del soprannome è chiara: una persona che cammina molto, ma in modo lento e scomposto. Se così non è, rimane difficile formulare un'altra ipotesi sull'origine di tale appellativo.
Qualcuno ha supposto che derivi dal partenopeo "abbasce" (sotto) anche se questo non spiega in maniera chiara il significato del soprannome: forse ci si riferisce ad una persona che con la sua autorità o il suo temperamento costringe gli altri a sottomettersi (abbassarsi) alla sua volontà? |
|
Probabilmente questo soprannome andava posto fra quelli del terzo gruppo (derivanti, cioè, dalle caratteristiche fisiche del possessore o dal suo mestiere) poiché, salvo attendibili smentite, sembrerebbe proprio riconducibile all'aspetto esteriore della persona.
Nella forma gergale, come del resto nella lingua italiana, con il termine "tappo" (tappe, in dialetto) ci si riferisce ad una persona di bassa statura. L'uso del termine in forma di diminutivo (tapparielle) vuole certamente incoraggiare l'ironia e la bonaria denigrazione. In italiano diremmo "tappetto".
Questo soprannome è certo un'ulteriore conferma a quanto già accennato in questa rubrica: l'aspetto fisico giocava un ruolo essenziale nell'imposizione del nomignolo e quindi nell'identificazione dell'individuo e della famiglia a cui esso apparteneva. |
|
Almeno due sono le ipotesi sull'origine di tale soprannome, ma nessuna fino ad ora è confermata ufficialmente.
Tutti sanno che cosa sia un tratturo: un viottolo di campagna o una mulattiera utilizzata dai pastori e dai contadini per spostarsi con le greggi, a piedi o con le bestie da soma. Per agevolare il passaggio degli armenti molti di questi sentieri, anche se in maniera rudimentale, erano lastricati.
La prima ipotesi è che uno degli antenati della famiglia con tale epiteto esercitasse la professione di costruttore di tratturi o ne studiasse il percorso più breve per unire due località da un punto ad un altro.
Con il termine "trattore" invece (distorto poi nella forma dialettale di "tratture") s'intende anche il taverniere, l'oste. Qualcuno afferma, infatti, che il capostipite di "chille di lu tratture", non era altro che un locandiere o, come si usa dire a Fallo, "nu cantiniere".
Di là da quelle che sono le ipotesi sul soprannome, la persona che ricordiamo come ultima dei residenti in paese con questo epiteto era un tal Pasquale che, sempre indaffaratissimo, era considerato il factotum di Fallo fino a "fregiarsi" del titolo di "Pasquale tutto fare". Da giovane aveva naturalmente fatto anche il fabbro che, lo ricordiamo, era uno dei mestieri più diffusi e redditizi del paese, ma poi per "modernizzarsi" era passato ad altri tipi d'attività dove la manualità e l'ingegno erano molto richiesti.
Ed oggi, secondo voi, che tipo di lavoro svolgerebbe? |
|
È del tutto improbabile che si riesca trovare l’origine di tale soprannome, anche perché è ormai del tutto scomparso dal nostro paese.
Il termine “tùppete” è onomatopeico, imitativo di piccoli colpi così come lo sono i verbi “tuppilijè” o “tuzzuluà”, ma tale vocabolo è anche usato in forma scherzosa verso i bambini: “Tùppete, il bimbo è caduto in terra.
È possibile quindi che il nostro compaesano:
a) avesse il vezzo di bussare sommessamente alle porte;
b) usasse spesso la parola “tùppete” nei suoi discorsi;
c) avesse una particolare propensione a subire piccoli traumi.
|
|
Un soprannome certamente bizzarro la cui origine, come per molti altri, è solo ipotizzabile.
Il termine dialettale "vicce" era essenzialmente il richiamo col quale gli allevatori chiamavano a raccolta le galline del pollaio: l'invito "viccia viccia me !", ripetuto più volte e con voce un po' acuta, determinava un rapido avvicinamento delle bestiole che potevano così essere nutrite o prese.
Nella rubrica dedicata al vocabolario dei termini dialettali, sono presenti molti altri "richiami" destinati agli animali (vedi "curce","ziri-tè", "prinelle" ecc.). Nello specifico, è probabile che nel dialetto arcaico la gallina fosse definita "vicce" e che tale termine, pur scomparendo nel linguaggio parlato, sia rimasto in vita come semplice richiamo da pollaio. E' altresì possibile che questa parola, dal suono chiaramente onomatopeico, non sia mai stato usato nel linguaggio corrente degli adulti ma solo in quello destinato ai bambini. Ancora fino a pochi anni fa, infatti, non era raro sentire gli anziani che indicavano le galline ai bambini con tale termine (" nnecche a lu citre mié, ca ti facce vide' la vicce!" - "vieni piccino mio, ché ti faccio vedere la gallina!"): erano tempi in cui i più vecchi erano ancora convinti di poter intrigare e sorprendere i bimbi con l'aiuto di una gallina.
La seconda parte della parola è costituita dal termine "cocche" con il quale si soleva definire l'uovo. Il significato, del resto, è lo stesso dell'italiano "cocco" (fam.): ".e le galline cantavano: un cocco! Ecco un cocco, un cocco per te! - Pascoli -". Anche in questo caso, è opportuno ricordare che il vocabolo era presente soprattutto nel linguaggio destinato ai bambini. Lo confermerebbe il fatto che, con lo stesso termine, venivano vezzeggiati i più giovani ("nnecche a lu cocche di la nonne sè" - "vieni, "cocco" della nonna sua"). E' probabile che il termine italiano "cocco" (questa volta nell'accezione di "prediletto") abbia ulteriormente favorito il conio di questa espressione.
Per pura soddisfazione dei più curiosi, aggiungiamo che, da una accurata ricerca, risulta che nell'intera Val di Sangro tale espressione sia usata solo a Fallo. Alcuni sostengono, invece, che il termine "cocche" derivi dal francese "coq"(gallo) o "coque"(guscio) ambedue pronunciati "coc". E' probabile che tali termini siano stati "importati" da qualche emigrato ritornato in patria che li abbia poi malamente utilizzati per definire l'"uovo" o che con tale senso siano stati erroneamente interpretati dalla collettività. Tutto ciò premesso, è facilmente intuibile come, per la fervida fantasia di qualche antenato della famiglia, le due parole "vicce" e "cocche" non potevano aver altro destino che quello di essere coniugate assieme per richiamare tutti gli "abitanti" del pollaio (galli, galline e..uova). |
|
Su tale soprannome si è aperta una disputa.
La discussione non riguarda l'origine del soprannome stesso, bensì il significato della parola dialettale "Virdisecche".
Secondo alcuni la "Virdisecche" sarebbe una malattia della vite che ne provocherebbe l'avvizzimento.
Altri affermano invece che tale termine indichi una condizione particolare del terreno agricolo. Questa condizione si verifica nel momento in cui una leggera pioggia viene ad interrompere un lungo periodo di siccità. Tale pioggia, oltre a non essere di nessun'utilità per la campagna, rende il terreno completamente impraticabile ed inadatto a qualsiasi tipo di coltura. Probabilmente sono queste condizioni climatiche che provocano poi la malattia ed il conseguente avvizzimento delle viti.
E' certo, comunque, che l'origine del soprannome è legata all'aspetto fisico della persona cui per prima è stato imposto: talmente magro da sembrare una vite appassita.
|
|
Nella ricerca delle origini dei soprannomi accade spesso di trovarsi in difficoltà soprattutto nei casi in cui l'epiteto in esame dà adito ad ipotesi piuttosto scontate o troppo semplici. L'esperienza però c'insegna che non bisogna mai fermarsi alla prima supposizione, ma approfondire maggiormente la ricerca: di solito si scopre che la prima ipotesi era errata e che le nuove scoperte sono certamente più attendibili rispetto alle precedenti.
Questo soprannome è un classico caso di quanto in precedenza affermato.
"La visciche" (letteralmente vescica) è molto conosciuta nel nostro paese perché legata all'uso che ne veniva fatta con l'uccisione del maiale. Infatti, dopo averla accuratamente pulita, era uso comune utilizzarla come contenitore riempiendola con salsicce e colmandone gli interstizi con strutto fuso al fine di consentire la buona conservazione del prodotto.
Conoscendo tale pratica viene spontaneo associare il soprannome "Visciche" all'aspetto fisico della persona, immaginando magari un soggetto dal fisico pingue e tondeggiante, ma, ampliando la ricerca, si scopre che la spiegazione dell'origine dell'epiteto è ben diversa.
Alla specifica domanda: - Picchè l'onne chiamave Visciche? - (Perché lo chiamavano Visciche?) posta alle persone più anziane del paese, la risposta è stata precisa: - Picchè tineve la vintature! - (perché aveva la "ventatura").
Con il termine "vintature", nella forma dialettale s'intende l'ernia inguinale e tale fastidioso problema era stato, in tempi probabilmente non recentissimi, utilizzato come segno distintivo del capostipite della famiglia con tale soprannome.
Oggi, con la moderna chirurgia, il problema si sarebbe facilmente risolto, ma allora, per mancanza di conoscenze e di mezzi spesso si preferiva non intervenire peggiorando ulteriormente la situazione soprattutto perché i lavori che si svolgevano nei campi non erano certamente dei più leggeri. Era facile quindi che il problema peggiorasse talmente con il passare del tempo che "la vintature" assumeva dimensioni tali da potersi paragonare ad una seconda vescica ("Visciche", appunto). |
|
In paese sono in pochissimi a ricordare questo soprannome e nessuno ricorda l'aspetto fisico del suo possessore, ma a sentirlo nominare tutti lo hanno definito "arcaico". In effetti, nel nostro paese non esistono più abitanti che possono "fregiarsi" di tale epiteto ed è ovviamente difficile riuscire a capirne l'origine.Com'è accaduto anche altre volte per il nostro dialetto, ci è venuto in aiuto il gergo campano a cui tante volte abbiamo fatto ricorso per risolvere gli enigmi "linguistici". Il termine "vuzzàcchio" è, infatti, d'origine campana ed in particolare è molto usato nella provincia di Salerno per indicare una persona grassa, obesa.
Dato che nessuno ricorda l'aspetto fisico del capostipite di tale nomignolo, non ci è possibile verificare la veridicità di tale affermazione, certo è che questo soprannome è un'ulteriore conferma al fatto che nel nostro paese sono esistiti personaggi in netto contrasto tra loro. In questo caso sicuramente Vuzzàcchie sarebbe stato il perfetto opposto di Piccine. |
|
Stranissimo soprannome che, giustamente, è stato posto tra quelli su cui si possono formulare soltanto ipotesi. Non è stato facile trovare una spiegazione logica ed adatta al nostro contesto, ma, come quasi sempre accade per il nostro idioma, la soluzione ci è venuta dal dialetto partenopeo.
In napoletano, infatti, “’o zezo” è colui che cerca di piacere a tutti per averne il consenso.
Il termine, molto probabilmente, deriva dal femminile Zeza, diminutivo di Lucrezia: maschera teatrale raffigurante la moglie di Pulcinella che, per imbrogliare il marito, lo riempiva di moine e smancerie.
Chi sa come si comportava il nostrano zezo per conquistarsi il consenso dei Fallesi? |
|
Impossibile formulare un'ipotesi su tale soprannome. Tutte le persone anziane interpellate a Fallo, ricordano abbastanza chiaramente il suo capostipite, ma nessuno ha saputo dare spiegazioni sull'origine dell'epiteto. "Zunielle, ere nu viecchie puvirielle chi ive girenne nchi ddu bbastune" (Zunielle era un povero vecchio che girava con due bastoni): questo è quanto ricordano di lui.
Molti sono anche gli aneddoti sugli scherzi perpetrati ai danni del povero vecchio dai soliti bambini irriverenti tra i quali, il più cattivo, era certamente quello di nascondergli i bastoni, ma occorre ricordare anche che, fino a qualche anno fa, era ancora in vita uno degli ultimi "eredi" del soprannome in questione. Certamente tutti lo ricorderanno per le sue battute pronte e spesso irriverenti, ma che, dette al momento giusto, inevitabilmente provocavano l'ilarità dei presenti.
Nessuno ha mai pensato di chiedergli l'origine del suo soprannome: sicuramente lo avrebbe spiegato arricchendolo con una delle sue proverbiali battute. |
|
A Fallo, per molti anni, questo soprannome era utilizzato per indicare chiunque avesse un carattere piuttosto irritabile. Infatti, con la frase "Nin fa' gnè Zzà!" (non fare come Zzà), s'invitava la persona con cui si stava discutendo a mantenere la calma.
Da indagini più o meno accurate svolte presso anziani "esperti" della materia, si è appurato che l'origine dell'epiteto è da far risalire al fatto che il capostipite cui tale soprannome era stato imposto, era così chiamato perché "cacaglieve" (cioè balbettava).
In base a tali affermazioni si può supporre che il personaggio in questione (particolarmente irascibile e tendente all'ira) fosse leggermente balbuziente e che questo suo difetto si acuisse in special modo nei momenti di discussioni molto accese.
Possiamo soltanto immaginare quanto fosse complesso intavolare un discorso con una persona simile, ma pensate anche a quanto dovesse essere incomprensibile una conversazione tra lui e, ad esempio, "Ciavaglie" che, per definizione (vedi dettaglio in questa rubrica: gruppo 3), vuol dire balbuziente! |
|
|
|