I SOPRANNOMI

GRUPPO 3
SOPRANNOMI DERIVANTI DA CARATTERISTICHE FISICHE O DA ALTRE PARTICOLARITÀ COME, AD ESEMPIO, LA PROFESSIONE ESERCITATA DA UN MEMBRO DELLA FAMIGLIA

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CAFITTIERE
CAMINAPIANE
CAPILLARE
CARBUNIERE
CAVALIERE
CHIUCHITTE
CIAVÀGLIE
CICATIELLE
CIUOPPE
CONCIACÒSCENE
CONTE
CORE DI DDIECE
CUCCHIERE
CUCUCCILLE
CUSTODE
DDRAGHE
FIRRARE
FRADDIÀVELE
FRUSCIUTE
GUARDIJENE
L'AFRICANE
LU SURDE
MANOCCHIE
MARISCIALLE
MINSÙ
MUSTACCIONE
NIRE (DI FONZE)
PACCACALATE
PAZZARIELLE
PICCINE  
PRIJTUOZZE
PRIZIJOSE
PUPPARE
RICCHIONE
RICIVITORE
RUSCILLE
SALVAGGE
SBANDATE
SCARPISCIUOLTE 
SCIMARIELLE
SENZA CAPPIELLE
SINICARIELLE
SIRPARE  
SPUZIJELE
STAGNARE
STREPPA CAPILLE
STRICARELLE
TABBACCUSE
ZINGARELLE
ZÙCCHERE

 

CAFITTIERE

È questo un altro soprannome legato alla professione del suo possessore.

Non era raro che a Fallo chi partiva in cerca di lavoro facesse dopo un po' di tempo "arichiamà" (letteralmente: richiamare) qualche altra persona del paese che sapeva in condizioni economiche disagiate. I più fortunati erano quelli che partivano per luoghi di lavoro relativamente vicini (Napoli ad esempio) e la maggior parte trovava lavoro negli alberghi.

Le mansioni erano naturalmente le più disparate, dallo sguattero di cucina (il cosiddetto lavapiatti), al facchino (con la distinzione tra "facchino" vero e proprio e "facchino ai piani", di rango più elevato), dal cameriere, al cuoco, fino (per i più fortunati) ad arrivare allo chef.

Esisteva, tra le altre, una professione forse appositamente "coniata" per l'occasione dagli abitanti di Fallo ed era proprio quello di "Lu Cafittiere".
Probabilmente tale mestiere era semplicemente quello di un cameriere con la specifica mansione di servire la prima colazione (tra cui il caffè, appunto), ma, con l'abitudine che c'era a quei tempi di fare distinzioni nette di rango in base al mestiere, una cosa era fare il cameriere ed un'altra era fare "Lu cafittiere".

Verosimilmente la persona cui tale soprannome era stato imposto era stato "richiamato" da qualcuno a svolgere tale lavoro in un determinato albergo e da allora, anche se in seguito forse era diventato proprietario dell'albergo stesso, il suo soprannome rimase sempre legato alla sua prima professione: lu cafittiere.

 

CAMINAPIANE

Cammina piano: più chiaro di così! Infatti, il soprannome probabilmente si riferiva ad una persona la cui andatura non era proprio il massimo della speditezza.

Per dovere di cronaca riteniamo necessario informare che molto tempo fa a Fallo, con il termine "caminapiane", si indicava anche il pidocchio. È, infatti, noto che molte donne lavavano i panni con la "luscie" (lisciva: ricavata unendo all'acqua bollente il sapone e la cenere del camino) e "nchi lu sapone di case" (con il sapone di casa) perché così "z'accideve li caminapiane" (si ammazzavano i pidocchi). La scarsa igiene di quei tempi ed il costante contatto con gli animali, costringeva quasi tutte le famiglie a convivere con parassiti di vario genere ed a prendere, di conseguenza, le opportune precauzioni.

 

CAPILLARE

Veramente singolare l'origine di questo soprannome. Alcuni sostengono che esso sia la storpiatura dialettale del termine "cappellaio", colui che vende i cappelli. Più verosimilmente, il termine fa invece riferimento a "capellaio" (venditore di capelli). In tempi molto lontani, infatti, esisteva la figura del capellaio. Questo tipo di commerciante, ormai del tutto estinto, vendeva o acquistava i capelli. È quindi molto probabile che gli appartenenti alla famiglia cui tal epiteto è stato imposto, avessero come avo un venditore di capelli, un capellaio, appunto. A Fallo, le persone più anziane parlano spesso di tali personaggi. Alcuni capellai abitavano in paese, altri provenivano dai vicini centri abitati e giravano per le strade di Fallo attirando gli acquirenti o i venditori con il richiamo: - Cincinare! Capillare! (Cenciaiolo! Capellaio!) -

In tempi in cui le donne erano solite portare i capelli lunghi raccolti in crocchie, questi, in caso di necessità, potevano diventare merce di scambio. In particolare si racconta di una coppia di vecchi, originaria di un paese vicino, che si era stabilita a Fallo. Il loro "lavoro" era appunto quello di cenciaioli. Accanto ad un enorme letto dell'unica stanza in cui vivevano, tenevano tutta la loro mercanzia: montagne di stracci e sacchi di capelli. Questa singolare merce pare che fosse poi rivenduta dai capellai per essere riutilizzata nell'industria tessile.

 

CARBUNIERE

Sono certamente pochi i soprannomi le cui origini sono così chiare.
Carbuniere, infatti, è la forma dialettale della parola carabiniere e certamente la professione del capostipite cui tale epiteto era stato imposto doveva sicuramente essere quella di tutore della legge. Naturalmente non è dato sapere a quale periodo "storico" risale l'origine del soprannome ma certamente questo è uno dei rarissimi casi in cui l'epiteto era oggetto di vanto da parte di colui a cui era stato dato.
Come sempre accade, i soprannomi vengono "estesi" anche agli altri membri della famiglia ed anche in questo caso tale regola viene rispettata così, essendo una donna l'ultima "erede" del nomignolo, quest'ultimo si è trasformato da "carbuniere" (carabiniere: genere maschile) in "carbunere" ("carabiniera": genere femminile).Del resto il singolare personaggio di "La carbunere" (crediamo ultima discendente della famiglia) era noto a tutti e sono molteplici gli aneddoti narrati sul suo conto.
Ma, di là da quelle che potevano essere le stravaganze del personaggio, questo soprannome è senz'altro uno dei più conosciuti del nostro paese. Sarà forse solo perché un suo avo ebbe l'onore di appartenere all'Arma?

CHIUCHITTE

Per trovare l'origine di tale soprannome abbiamo dovuto ricorrere alla nostra conoscenza dei termini arcaici tipici della nostra zona e cercare di calarli nella formulazione dell'epiteto. Quest'ultimo deriva, infatti, dal termine chiochie che, lo ricordiamo, sono particolari calzari in uso soprattutto presso i pastori (vedi la sezione "Il dizionario" in questo sito). Non è dato sapere però se il soprannome sia stato imposto al suo possessore perché era solito indossare tali calzature o perché dimostrava una certa abilità nel realizzarle.
Una cosa è però certa, per conferirgli l'epiteto è stato necessario forgiare un nuovo termine che identificasse il confezionatore o il portatore delle chioche: chiuchitte, appunto.

CIAVÀGLIE

Insieme alla parola dialettale "CACÀGLIE", "CIAVÀGLIE", è un termine onomatopeico per indicare la balbuzie. Generalmente a Fallo il balbuziente è chiamato "culle chi cacàglie". Non dimentichiamo che molti dei soprannomi imposti non solo a Fallo, ma in tutte le piccole comunità in cui spesso i soprannomi ed i nomi sono quasi tutti uguali, non erano quasi mai imposti per cattiveria o per derisione, ma soltanto a fini pratici: servivano ad identificare una specifica persona o una famiglia. E quale migliore elemento distintivo può essere utilizzato per riferirsi ad un determinato individuo se non quello di un suo difetto fisico o un problema di comunicazione? Questo soprannome ne è un classico esempio.

CICATIELLE

Risalire all'origine di tale soprannome è fin troppo facile. La traduzione italiana del termine è, infatti, semplicissima: piccolo cieco. Probabilmente il suo capostipite doveva avere qualche serio problema di vista o essere addirittura orbo di un occhio oltre ad essere, chiaramente, piccolo di statura.
Questo però non è tutto. "Li Cicatielle" sono, nel dialetto molisano, quelli che da noi sono chiamati comunemente "Strangula prijèite" (letteralmente, strangola preti, gli gnocchi di patate). Potrebbe quindi essere che il soggetto con tale soprannome avesse una particolare predilezione per questo piatto oppure, con molta fantasia, che il suo aspetto fisico ricordasse un po' quello del caratteristico tipo di pasta di cui sopra.
Tutto ciò non è dato saperlo, poiché tale soprannome è del tutto scomparso dal nostro paese. È restato solo il termine che, pur non essendo molto originale, è comunque un pezzo della storia di Fallo.
 

CONCIACÒSCENE

Sul significato della parola "còscene" i cultori del dialetto fallese sono quasi tutti d'accordo: essa designa un contenitore simile ad un grosso cesto. La diatriba è invece molto più accesa sul tipo di materiale con cui tale contenitore era costruito; alcuni affermano che fosse interamente di legno, altri assicurano che di legno avesse solo il fondo mentre il resto fosse fatto di vimini intrecciati.

Una cosa è certa, l'oggetto in questione è caduto in disuso già da parecchio tempo ed il termine stesso è ormai obsoleto.

Stabilito il significato del termine, è ora opportuno chiarire che il prefisso "concia" (presente nel soprannome) altro non è che la forma elisa della parola "acconcia" (dal verbo "acconciare", cioè aggiustare, riparare): insomma "colui che acconcia le còscene". Per dovere di cronaca, è opportuno ricordare che gli artigiani dell'epoca non si limitavano solo a riparare tali recipienti ma ne costruivano di nuovi su richiesta dei clienti.

Tali artigiani, perché d'artigiani si trattava, pare che avessero il loro laboratorio nella zona dove ora si trova la chiesa della Madonna del Perpetuo Soccorso. Sembra inoltre che uno dei migliori passatempi dei bambini dell'epoca fosse proprio quello di stare a guardare come, dalle abili mani degli artigiani, nascessero i recipienti. Una volta quindi, invece di andare al cinema, per divertirsi si andava a "la puteche di conciacòscine" (alla bottega di conciacòscine).
 

CORE DI DDIECE

È uno dei tanti soprannomi ormai caduto in disuso. Non esiste infatti a Fallo alcun discendente di colui cui tale epiteto è stato imposto. È pervenuto a noi probabilmente soltanto per la sua particolarità o solo perché qualcuno ancora ricorda vagamente il personaggio a cui era stato attribuito.

Tradotta letteralmente la frase "Core di ddiece" vuol dire "Cuore di dieci", ma per la persona che la pronunciava ed a cui poi è stato affibbiato il soprannome, assumeva ben altro significato. L'espressione, infatti, nasconde una frase blasfema e ci sembra strano che, in tempi in cui la fede era una dei capisaldi della società contadina, fosse tollerata.

Probabilmente chi la pronunciava così di frequente (al punto di farne il suo identificativo personale) non accettava di essere ripreso da nessuno e, sebbene considerato probabilmente un parente del demonio, continuava imperterrito a lanciare il suo grido "Core di ddieci" contro coloro che lo osteggiavano e che certamente non mancavano di farsi il segno della croce quando lo incontravano per le strade del paese.

 

CUCCHIERE

Nella forma dialettale con la parola "cucchiere" s'intende la cazzuola del muratore.

Nel nostro paese anni fa era molto in uso la frase "quann'ajepre la vocche pi parlà ci vulesse na cucchiere di calce p'archiùdijele" (quando apre la bocca per parlare ci vorrebbe una cazzuola di calce per richiudergliela) riferita a chi non diceva sempre delle cose sensate.

Quindi, l'ipotesi più semplice è quella secondo la quale il possessore di tal epiteto sarebbe stato un operaio edile o, in ogni modo, qualcuno dedito a lavori di muratura.

Non tutti sono però d'accordo su tale teoria. In molti sostengono che il termine non sia altro che la deformazione dialettale della parola cocchiere.

È noto che in tempi non certo recenti gli spostamenti avvenivano di solito a piedi, a dorso d'animali da soma o, per i più fortunati, su carrozze trainate da cavalli. Non ci meraviglierebbe affatto quindi che qualche antenato della famiglia cui tale soprannome è stato dato facesse effettivamente il cocchiere, magari a servizio presso qualche signore, il che, per quei tempi non era certo cosa da poco.

 

DDRAGHE

Il drago è, nell’immaginario collettivo, una creatura mitica e leggendaria. Portatore di distruzione e morte nella cultura occidentale e di fortuna e bontà in quella orientale, il drago è solitamente rappresentato con sembianze di rettile poiché il termine stesso deriva dal latino draco e dal greco drakon (serpente).
La parola draga deriva, invece, dal francese drague e si riferisce ad un uncino o ad uno strumento atto ad afferrare e tirare.

Quanto sopra affermato non spiega sicuramente il motivo per cui tale epiteto sia stato imposto ad uno dei nostri compaesani. Si può solo supporre che costui avesse un aspetto poco rassicurante e che incutesse quindi tutta la soggezione che può incutere un drago.

È invece interessante notare come i nostri compaesani riferendosi ad un componente della famiglia con tale soprannome, ma di sesso femminile, lo chiamasse con l’appellativo di “la Ddraghe”.
Giustamente, la femmina del drago.

 

FIRRARE

È fin troppo semplice ipotizzare l'origine di tale soprannome.

"Lu firrare" nella forma gergale altri non è che il fabbro. Nel dialetto più arcaico veniva anche chiamato "fabbriche firrare" (distorsione di fabbro ferraio). È facile quindi intuire che la persona cui tale epiteto era stato imposto esercitasse come professione, appunto, il fabbro.

Più volte nel sito abbiamo fatto riferimento a questo artigiano che, assieme al falegname, era fra quelli tenuti in maggior conto nel paese. Era a lui che ci si rivolgeva per la ferratura dei somari, dei muli o dei cavalli ed era sempre lui che fabbricava le chiavi di quasi tutte le serrature delle case del paese. Ma non solo: fabbricava anche i cerchi per le botti e i famosissimi ferri per le "pizzelle" di cui più volte abbiamo parlato (vedi "Oggetti d'Abruzzo" e "La cucina").

Era insomma un artigiano di cui non si poteva fare a meno e forse è per tale motivo che questo soprannome è giunto fino ai nostri giorni.

 

FRADDIÀVELE

E' questo un originalissimo soprannome la cui origine si perde nella notte dei tempi e di cui nel nostro paese non è rimasto nessun discendente.
Ci è quindi difficile formulare delle ipotesi sulla sua origine, ma un aiuto può certamente venirci dai vari riferimenti che troviamo nella cultura sia italiana sia straniera.
Sono, infatti, molte le opere, soprattutto la filmografia, che trattano l'argomento Fra' Diavolo. Il più noto è certamente un film comico del 1933 di Hal Roach, interpretato da Stan Laurel ed Oliver Hardy.

Il perché di tanta abbondanza di opere che riguardano questo personaggio è presto detto: Fra' Diavolo è un personaggio realmente esistito nel 1700 il cui vero nome era Michele Arcangelo Pezza (Itri, 7 aprile 1771 - Napoli, 11 novembre 1806). Considerato da alcuni un bandito e da altri un eroe nazionale, pare che il Pezza debba il suo soprannome (originariamente Fra' Michele) ad un saio fattogli indossare dalla madre dall'età di cinque anni come ringraziamento a San Francesco per averlo guarito da una grave malattia. Il passaggio del nomignolo da Fra' Michele a Fra' Diavolo il Pezza se lo guadagnò "sul campo" compiendo azioni non proprio virtuose.

Per un maggior dettaglio sul personaggio fai click qui.

A questo punto forse si può ipotizzare che il soprannome, al nostro compaesano, sia stato imposto o per il suo modo di vestire (forse indossava un saio) o perché dietro un'apparente docilità nascondesse un carattere tutt'altro che mite, ma qualcuno azzarda anche l'ipotesi che magari il suo aspetto fisico non fosse dei più rassicuranti. Una cosa è certa: in questo come in altri casi, il nostro paese, grazie ad un epiteto, si è fregiato di un nome di "rilevanza storica".
 

FRUSCIUTE

È questo un classico esempio di soprannome legato ad una caratteristica fisica del suo possessore.

A Fallo chiunque parli con una voce nasale è chiamato appunto "frusciute", termine che deriva chiaramente da frogia.

Naturalmente esistono anche altre ipotesi formulate su tale soprannome, tutte però legate all'organo predisposto all'olfatto. Frusciute potrebbe essere ad esempio anche una persona con il naso molto grande e non è un caso che la "frusciarole" (vedi anche la rubrica "Oggetti d'Abruzzo" in questo sito) sia un recipiente di vimini in cui veniva messo il formaggio fresco per consentirne l'essiccazione. Colui (o colei) che aveva le dimensioni del naso tutt'altro che modeste si diceva che aveva "lu nuase gnè 'na frusciarole".

Tra le due ipotesi appena formulate la più attendibile, perché maggiormente avvalorata, è senz'altro la prima anche se, a quanto ci risulta, nessuno dei discendenti con tale soprannome abbia conservato la caratteristica fisica originale.

 

GUARDIJENE

La traduzione del termine dialettale è semplicissima: guardiano. Sì, ma di cosa? Per anni tale interrogativo è rimasto senza risposta ed il soprannome è restato insieme con i tanti altri cui non si è riusciti ancora a dare una spiegazione. Poi, improvvisamente, quest’estate (2012) il mistero è stato finalmente svelato da una componente della famiglia con questo soprannome: il suo antenato faceva come mestiere il guardaboschi.

Considerando i tempi in cui lo svolgeva, certamente non doveva essere un lavoro facile. La legna era, infatti, uno degli elementi essenziali per la sopravvivenza della vita contadina di allora e vigilare che ognuno n’avesse la giusta parte doveva essere compito non facile.

Per quanto riguarda invece il termine dialettale vero e proprio se consideriamo che nel nostro gergo spesso incontriamo termini che non trovano corrispondenza nella lingua italiana e viceversa, è abbastanza normale che una persona che faccia la guardia sia genericamente chiamato guardiano senza entrare nel merito di cosa stia sorvegliando.
Un ringraziamento va, ovviamente, a chi ci ha fornito questa preziosa informazione.
 

L'AFRICANE

È uno dei soprannomi sulla cui origine non si hanno dubbi: tradotto letteralmente vuol dire l'africano.

Che questo soprannome dipenda dal fatto che quasi tutti i membri della famiglia siano di carnagione scura o che il capostipite abbia, a differenza di altri nostri paesani, cercato fortuna in Africa piuttosto che in America, ha poca importanza: in un modo o nell'altro il Continente Nero ha certamente influenzato la scelta dell'epiteto in questione.

Del resto nel nostro paese non mancano nomignoli che si rifanno anche a personaggi storici piuttosto noti del continente africano. Basti pensare a "Lu Negùs" (il Negus), soprannome non presente nel nostro elenco ed imposto non si sa bene da chi e per quale motivo ad un nostro compaesano.
Certamente Hailè Selassiè (Negus etiope degli anni trenta) ignorava la presenza di un suo omonimo in un paesino d'Abruzzo. Forse, se l'avesse saputo, avrebbe favorito i rapporti diplomatici e gli "scambi culturali" tra l'Africa e questo piccolo paese della vallata del Sangro.
 

LU SURDE

Semplicemente: il sordo. Questo è certamente un soprannome di cui è facile trovare l'origine. Sono sicuramente in molti a ricordare il capostipite di tale epiteto. L'uomo, probabilmente afflitto da un difetto d'udito dalla nascita, con l'età, come sempre accade, era diventato quasi del tutto sordo e non era possibile parlargli se non urlando a squarciagola.

Una delle cose che da sempre ha caratterizzato il nostro paese, è certamente il silenzio. Questa particolarità consente di udire suoni e rumori anche a notevole distanza, ma a "Lu Surde" tale vantaggio era naturalmente negato.

"Chi jè c'allucche accuscì?" (chi è che urla in questo modo?) si chiedeva chi non conosceva il personaggio. E la risposta era sempre la stessa: "Cocchedune chi sta parlenne nchi lu surde!" (qualcuno che sta parlando con il sordo!).
 

MANOCCHIE

È stato piuttosto difficile stabilire l'origine di tale soprannome, ma ciò che abbiamo scoperto a proposito del termine in questione è stata una vera rivelazione. La parola "manocchie", infatti, oltre ad essere un termine arcaico per indicare il covone di grano, è anche un'antica unità di misura usata appunto per pesare questo cereale.
 
Il termine "manocchie" lo troviamo addirittura nel "Trattato di fortificazione" di Galileo Galilei di cui riportiamo un brano: ".e acciò che il terreno stia più unito insieme, si pigliano delle scope, o vero altri legnami forti e sottili, come castagno o quercia; e presone quante commodamente n'entrano in una mano, tenendo fermi i pedali, s'avvolge e s'attorce il resto: doppo destramente s'addoppiano, torcendo pur sempre; e così addoppiati, si legano con ginestre o giunchi in due o tre lati, facendo le manocchie, come si vede."
Occorre inoltre precisare che il termine è tipico del Molise ed è quindi probabile che il capostipite cui tale soprannome è stato imposto fosse originario proprio di questa regione i cui confini sono così vicini al nostro paese.
 
Insomma, è possibile che l'epiteto derivi dall'abitudine che aveva il suo capostipite di pronunciare la locuzione "manocchie" invece del più usuale "manuòppele" in uso presso di noi e che gli sia stato conferito proprio perché considerata una "novità" (nel senso canzonatorio del termine) nella forma dialettale fallese.
 

MARISCIALLE

È fin troppo semplice immaginare l'origine di questo soprannome. Il suo significato è chiarissimo: maresciallo. Difatti, la particolarità dell'antenato cui tale epiteto fu imposto era proprio quella di essere un militare decorato con simile grado.
Secondo le persone più anziane del paese però questa caratteristica sembra sparire del tutto dinanzi ad un più importante elemento distintivo della famiglia: il possesso di una carrozza con relativi cavalli. Era certamente un segno di distinzione e di agio avere la disponibilità di un mezzo di trasporto soprattutto se, come narrano i vecchi, "Tineve cierte rote grosse e chi la purtave tineve nù scrijuazze tante lunghe pì minà a li cavielle" (aveva delle grandi ruote e il conducente era provvisto di una frusta molto lunga per incitare i cavalli).
Il ricovero per tale mezzo pare che fosse sotto uno sporto di Colle Rosso chiamato appunto "Spuorte di Mariscialle" (attualmente chiuso e restaurato).
Su tale sporto si esibiva anche un noto personaggio di cui abbiamo avuto già modo di parlare in questo sito (vedi l'aneddoto "Emigrante" nella rubrica "Gnà dicette culle"): Pumpare.
Detto personaggio trascorreva gran parte del suo tempo proprio sopra Colle Rosso sullo "Spuorte di Mariscialle" onorando l'ospitalità che il proprietario gli accordava con una delle sue canzoni preferite e da lui stesso inventata: "Pumpare e une, Pumpare e ddù, è sciute la grancasce di Mariscialle!". (Pumpare e uno, Pumpare e due, è uscita la grancassa di Mariscialle!).
 

MINSÙ

Apparentemente impossibile da decifrare, l'origine di tale soprannome è più semplice di quello che può sembrare a prima vista. S'ignora quali variazioni abbia subìto negli anni l'epiteto in questione, ma la forma definitiva fino a noi giunta non dà adito a dubbi: esso altro non è che la trasformazione del francese Monsieur (signore) e, come tale, il suo possessore era conosciuto e quasi venerato in paese. Aveva addirittura (udite, udite!) una serva che lo accudiva e questo era per lui motivo di vanto (per anni in paese si parlò della "serve di minsù"). Tanto benessere gli era venuto, ovviamente, dal suo lavoro di chef all'estero (in Francia appunto). Come tutti gli emigranti, era forse tornato al paese con qualche soldo in più rispetto alla media di quei tempi ed i paesani di allora lo avevano innalzato al rango di "signore" chiamandolo con quell'appellativo che tanto era usato dalla sua serva (monsieur, appunto).
 

NIRE (DI FONZE)

Nero della famiglia di Alfonso.
Sorgono spontanee alcune domande.

Questo parente di Alfonso era proprio nero oppure era soltanto scuro di carnagione?

Se era nero, come faceva a far parte della famiglia di Alfonso che, da quello che si evince, probabilmente era bianco?

Se era solo scuro di carnagione, era l’unico della famiglia con questa particolarità oppure lo stesso Alfonso non era proprio di carnagione chiara?

Forse sarebbe il caso di fare qualche indagine in più.

 

PACCACALATE

Ormai scomparso dalla storia di Fallo, questo soprannome è senz’altro uno dei più originali del nostro paese. La traduzione del soprannome è abbastanza semplice e non è neanche difficile immaginare l’aspetto fisico del personaggio cui il nomignolo è stato imposto: una persona con il sedere basso. Rileggendo bene l’epiteto però si nota una cosa piuttosto strana. Con il termine “pacca” in dialetto s’intende la natica il cui plurale, sempre in dialetto è “pacche”. Considerando quindi il soprannome nel suo insieme la traduzione letterale dovrebbe essere “colui che ha una natica bassa”. Si tratta di una “licenza poetica” o effettivamente il nostro aveva una natica più bassa dell’altra?

 

PAZZARIELLE

È troppo semplice desumere che l'origine di questo soprannome derivi dal termine pazzerello (piccolo pazzo). Più originale è invece l'ipotesi che l'epiteto provenga dal vocabolo partenopeo "Pazzariello", folcloristico personaggio napoletano purtroppo ormai del tutto scomparso. È possibile quindi che il capostipite della famiglia cui tale nomignolo è stato imposto venisse proprio dalla "vicina" Napoli e che avesse il particolare "dono" del propagandista.

Chi o cosa era 'O Pazzariello?
Era il predecessore dei "Caroselli", il progenitore degli spot pubblicitari, il diretto erede dei banditori che nel medioevo andavano di borgo in borgo ad urlare le "grida" dei potenti.
"'O Pazzariello" aveva un abito sgargiante, da grande ammiraglio, con alamari e feluca, impugnava, di solito, una specie di scettro ed era contornato da una banda di suonatori destinati, essenzialmente, a fare chiasso e ad attirare l'attenzione del popolo dei vicoli.
Tale abbigliamento variava a seconda della notorietà e delle possibilità economiche dell'interprete e dei suoi accoliti. Pomposo in alcuni casi, misero e raffazzonato in altri. Il cerimoniale era però sempre uguale e le trovate, le battute, i motti di spirito, erano affidati alla fantasia ed alla creatività di questo virtuoso che, in molti casi, era un autentico artista.
L'inaugurazione di un nuovo negozio, l'inizio di una campagna promozionale, l'arrivo di nuovi prodotti erano reclamizzati da questi personaggi che inscenavano, in ogni vicolo, un estemporaneo spettacolo che, spesso, coinvolgeva e chiamava al proscenio scugnizzi e popolane che si trasformavano in spalle e comprimari dello scatenato Pazzariello. Ricordiamo, per tutte, la frase: "Battagliò, pupulaziò, i' aize 'o bastò, attenziò, è asciuto pazzo 'o patrò!..." seguita da battute esilaranti ed improvvisate con cui faceva reclame ad una nuova salumeria, ad una pizzeria, ad una cantina, eccetera. Insomma, stiamo parlando di un personaggio che oltre a portare allegria nel paese era anche di pubblica utilità.
 

PICCINE

Quando ci si riferisce a tale soprannome viene spontaneo ricordare un personaggio notissimo di Fallo che aveva tutte le caratteristiche fisiche indicate dall'epiteto: piccolo di statura e piuttosto magro. Quindi, una persona piccola o, meglio, piccina. Solitamente per indicare qualcosa di piccolo nella forma dialettale è utilizzata la parola "cirille", ma in questo caso si può pensare che il termine sia una diretta derivazione del vocabolo italiano.

E non possiamo parlare del soprannome senza soffermarci sul personaggio. Esso era noto in paese non soltanto per la sua giovialità, ma anche perché per lungo tempo era stato la Guardia comunale di Fallo. Su di lui si raccontano molti aneddoti uno dei quali lo mostra come persona "tutta di un pezzo e ligia al dovere" al punto di affibbiare una multa alla sua stessa moglie sorpresa a lavare i panni nell'abbeveratoio degli animali. Non meno stuzzicante è la storia del diverbio tra due contadine del paese in cui la più battagliera delle due minacciava l'altra di ricorrere alla denuncia presso le locali autorità con l'invettiva: - Ti manne 'ngalere, ti manne! A lu Piccine.a lu., a lu Piccine! -

 

PUPPARE

Veramente impensabile l'origine di questo soprannome e lo dimostra che, nella prima stesura della pagina Web relativa agli epiteti, esso fosse stato posto nel quarto gruppo (soprannomi la cui origine è sconosciuta e su cui si possono formulare solo delle ipotesi).
In effetti, la corretta collocazione è l'attuale proprio perché la sua origine si pone tra i soprannomi derivanti dalla professione di uno degli avi appartenenti alla famiglia. Qualcuno ha ipotizzato che tale mestiere fosse quello del pupaio o puparo (costruttore e venditore di pupi), ma fonti più attendibili affermano che, in tempi neppure molto lontani, la famiglia esercitasse la professione di fabbricante e di venditore di pipe. Nella forma dialettale, infatti, il pipaio è chiamato "pippare". Poi, come sempre accade in questi casi, la parola ha subito successivamente una serie di trasformazioni idiomatiche fino a giungere all'attuale forma distorta di "Puppare".
 

RICCHIONE

Sappiamo benissimo quale sia l'ipotesi che spesso è stata formulata su tale soprannome e non possiamo dare torto a chi tale tesi l'ha avvalorata: il soprannome è effettivamente un po' ambiguo.
Occorre però tenere conto del fatto che, al tempo in cui fu coniato l'appellativo, il termine "ricchione" non aveva certamente il significato che comunemente gli si attribuisce oggi, né nella forma dialettale ci risulta che il vocabolo indichi qualcosa di diverso da quello che effettivamente è.
Assai semplicemente, in effetti, la locuzione vuole riferirsi, come sempre, all'aspetto fisico della persona cui tale epiteto era stato imposto: un anziano con grandi orecchie e con lobi che, secondo alcuni, scendevano sino quasi a toccare il colletto della camicia.
Sia il personaggio sia la sua caratteristica fisica sono difficili da collocare nella storia del nostro paese. Pare che abitasse in una delle case vicino all'attuale chiesa di Santa Maria del Perpetuo Soccorso (La Chiese di la Madonne) e che, rispetto alla media dei tempi di allora, fosse particolarmente anziano. Negli ultimi anni della sua vita, come tutti i vecchi, si era rimpicciolito: solo le sue orecchie erano rimaste quelle di sempre a conferma del suo particolarissimo soprannome.
 

RICIVITORE

Gli esperti di telecomunicazioni conoscono benissimo il termine "ricevitore" (questa è la traduzione letterale dell'epiteto) come componente degli apparecchi telefonici.
Nel nostro caso però, trattandosi di una persona, certamente l'elettronica non c'entra nulla.
In questo sito, nella sezione riguardante le frasi celebri di personaggi famosi ("Gnà dicette culle"), abbiamo già parlato dell'impiegato delle poste che per errata traslazione della parola "ufficiale" era chiamato "ufficie"; bene, il termine "ricevitore" altro non è che un "sinonimo" dello stesso termine con la differenza che in questo caso pare che l'impiegato in questione era addetto anche alla riscossione dei tributi.
Parlando con alcuni dei nostri paesani nell'ambito delle "indagini" sull'origine di tale epiteto, alcuni associavano questo soprannome alla persona adibita a leggere i contatori della luce. Chi non ricorda, infatti, quei signori che giravano per le case con quei grossi e pesanti registri con gli angoli delle pagine rinforzate di metallo? Chi sa, forse nelle incombenze del "ricevitore" c'era anche quella di leggere i contatori della luce!
 

RUSCILLE

Sulla nascita di tale soprannome esistono, come sempre, versioni contrastanti. La maggioranza delle persone del paese fa risalire l'origine dell'appellativo ad una questione puramente estetica: quasi tutti i membri di tale famiglia hanno, infatti, i capelli rossi. È facile quindi fare un accostamento tra il colorito della capigliatura e l'epiteto "rossiccio" e, da qui, passare alla forma dialettale "ruscille".
Facendo però riferimento alla storia del nostro paese, si scopre che nel 1583 sia Fallo sia Civitaluparella erano dominati da tal Giulio Cesare Rossillo (vedi la sezione storica del sito). Niente di più facile, quindi, che gli appartenenti a tale famiglia non siano altri che i discendenti di questo signore.
L'ipotesi più interessante e forse la meno conosciuta fa risalire l'origine del soprannome alla professione esercitata dagli avi di tale famiglia: sembra, infatti, che essi lavorassero come servitori niente di meno che per i Rotschild. Con la facilità che si ha nei paesi di distorcere a proprio uso e consumo le parole poco comprensibili o particolarmente complicate, il cognome Rotschild è stato trasformato nel più semplice "Roscille".
I capelli rossi hanno poi fatto il resto.
 

SALVAGGE

Certamente sono in molti a ricordare il notissimo personaggio ultimo rappresentante della famiglia con tale soprannome. L'anziana donna che lo portava con molta disinvoltura e quasi con orgoglio, era nota soprattutto a coloro che si avvalevano del suo aiuto per i lavori dei campi, insomma, "pi i a jurnate" (letteralmente, per andare a giornata).
Non altrettanto conosciuta era invece l'origine di tale epiteto, ma, da fonti attendibili risulta che il soprannome era un'eredità lasciata alla donna dal padre. Chi ha, infatti, conosciuto quest'ultimo, lo descrive come una persona dedita soltanto al lavoro dei campi al punto tale da aver approntato, in uno degli appezzamenti di terreno di sua proprietà, una specie di tana dove spesso rimaneva a dormire anche la notte facendo ritorno alla sua casa in paese soltanto saltuariamente.
L'aspetto fisico dell'uomo ed il suo modo di vestire, certamente contribuirono non poco alla scelta del nomignolo impostogli. Basso di statura, bruno di pelle, coperto da una scura e lunga peluria e sempre con indosso gli abiti da lavoro, doveva certamente avere l'aspetto di un selvaggio appena uscito dalle caverne.
La figlia, oltre al soprannome, aveva ereditato la sua propensione al lavoro nei campi ed è per questo motivo che, come già detto, era molto richiesta come bracciante. Inoltre, la donna era sempre afflitta da una fame insaziabile, probabilmente anch'essa atavica. Si racconta, infatti, che, spesso, dopo una giornata di lavoro in campagna, tornando a casa della persona per cui aveva lavorato, dopo essersi lavata le mani, era solita dire: - Siente, i mò li miene mi li so allavate bbuone e è bìelle pulite, si tu tiè 'nà nzegne di farine, mò assittiglie dù tagliarielle sùbbete sùbbete! - (Ascolta, ora le mani le ho lavate e sono ben pulite, se tu hai un po' di farina, ora "assottiglio" due tagliolini subito, subito!).
 

SBANDATE

Coloro che non hanno mai conosciuto il personaggio con tale epiteto, credono tale soprannome derivante dalla condizione economica del suo possessore: senza fissa dimora, in pratica "allo sbando" (da cui il termine dialettale che vuol dire appunto sbandato).
Qualcun altro ha anche ipotizzato che le sbandate in questione fossero di tipo sentimentale e che il noto personaggio fosse quindi continuamente alle prese con delle pene d'amore, ma così non è.
Chi invece ha avuto modo di conoscere personalmente la capostipite di tale soprannome (perché è di una donna che si tratta) spiega, alcune volte con dovizia di particolari, la vera origine di tale appellativo. Sembra, infatti, che le sbandate cui era soggetta la nostra compaesana fossero sì dovute a troppo amore, ma non per gli uomini, bensì per la bottiglia.
Tale predilezione si sa provoca però gravi effetti collaterali e certamente uno dei più evidenti è quello legato alla deambulazione: così sbandando per le strade del paese dopo qualche buona bevuta la nostra si è giustamente guadagnata questo leggendario titolo.
 

SCARPISCIUOLTE

Quando ho chiesto l'origine di questo soprannome ad una delle persone più anziane di Fallo, mi ha risposto esattamente nel modo come mi aspettavo ed ha confermato l'ipotesi da me fatta sulla sua origine: "era une chi tineve sempre li scarpe sciolte" (era una persona che aveva sempre le scarpe sciolte).
Il motivo di tale particolarità va ricercata non certamente in una stravaganza del soggetto, ma alla sua condizione economica che pare non gli permettesse di acquistare i lacci (anzi, come si diceva in dialetto, "li crijuole").
Erano, "li crijuole", lunghe strisce di cuoio sottile utilizzate in luogo dei comuni lacci da scarpe, sicuramente robusti, ma certamente non facili da trovare a buon mercato.Sembra che n'esistessero di diverse qualità ed i più scadenti dovevano, per così dire, essere "trattati" per renderli utilizzabili. Erano di spessore irregolare e, per essere inseriti negli occhielli delle scarpe, venivano pestati (acciaccate) in modo da assottigliarli.
Oltre quindi alla spesa iniziale della materia prima, avere un paio di lacci decenti costava anche una certa perdita di tempo e fatica. Non valeva allora la pena di girare, come faceva il capostipite di questo soprannome, 'nchi li scarpe sciolte?
 

SENZA CAPPIELLE

La spesso atavica indigenza di molti nostri compaesani in tempi neanche molto lontani ha consentito la nascita di molti particolarissimi soprannomi. Questo epiteto ne è un esempio.
Sembra, infatti, che sia stato imposto al suo capostipite proprio perché si era solito incontrarlo anche in pieno inverno senza nessun copricapo che lo riparasse dai rigori della stagione che, al nostro paese, si sa, non è mai stata clemente. Lungi da voler sembrare con quest'atteggiamento un personaggio originale, il nostro compaesano era costretto proprio perché indigente a girare "scapillate" (senza cappello) e da qui all'epiteto "senza cappielle" il passo è stato breve.
Esiste anche un'altra ipotesi, anche se poco accreditata, sull'origine di tale soprannome. Qualcuno dice che il personaggio cui tale epiteto fu imposto, avesse un unico copricapo, anche piuttosto malconcio da cui non si separava mai. Un giorno, non si sa bene per quale motivo (i più maligni ipotizzano che gli fosse stato volutamente sottratto), il cappello scomparve e l'uomo per molto tempo si disperò andando alla sua ricerca senza però mai ritrovarlo. Da quel giorno divenne ovviamente "senza cappielle" (senza cappello). Non vi sembra che questa storia somigli molto al famoso romanzo di Gogol "Il cappotto"?
 

SIRPARE

È questo un originalissimo soprannome ormai completamente scomparso dal nostro paese. La sua traduzione è, naturalmente, semplicissima: serpaio, inteso ovviamente come colui che cattura o addomestica i serpenti.
È notissimo il rapporto esistente tra il popolo contadino e tale rettile considerato da sempre un animale rappresentante il male ed è certamente per questo motivo che sono sorte intorno ad esso tante leggende tramandate da generazioni fino ai nostri giorni.
Del resto fino agli inizi del novecento esisteva ancora la figura del "serpaio" (lu sirpare, appunto) che aveva il compito di uccidere i serpenti in modo da rendere meno pericoloso il lavoro dei contadini nei campi soprattutto durante la mietitura. Secondo la leggenda, tali "professionisti" erano protetti da San Domenico ed erano quindi immuni dal veleno dei rettili.
Certamente la festa di San Domenico e dei serpari a Cocullo è una delle più note anche al di fuori della nostra regione e questo, oltre a confermare quanto le tradizioni popolari resistano nel tempo, ci consente di formulare anche l'ipotesi sulla nascita di tale soprannome: il suo capostipite poteva essere proprio un "serparo" originario di Cocullo che grazie alla sua "fama" era interpellato proprio per affrontare e risolvere i problemi legati a questo "orribile animale".
 

SPUZIJELE

Ecco finalmente un soprannome di cui è nota l'origine.

Fonti attendibili c'informano che, intorno all'anno 1823, presso "La Règia Università degli Studi di Napoli", uno degli avi della famiglia con tale appellativo si laureò come farmacista diventando quello che, a quei tempi, veniva chiamato speziale.
Naturalmente, era un vanto per il paese annoverare tra i suoi abitanti anche un laureato che, oltre a possedere tutte le conoscenze specifiche della materia, commerciava, ovviamente, anche in erbe medicinali. Non si poteva quindi fare a meno di nominare i membri di quella famiglia riferendosi a ciò che, indubbiamente, rappresentava un titolo di pregio: "Lo Speziale", appunto.

Nel corso degli anni, come sempre accade nelle forme dialettali, la parola si è trasformata, divenendo prima "Spiziale", poi "Spiziele" ed assumendo, infine, la definitiva forma di "Spuzijele".

Certo, il termine "farmacista" è senz'altro più chiaro, ma notevolmente meno pittoresco.

 

STAGNARE

I soprannomi dei nostri compaesani non finiranno mai di stupirci, ma soprattutto non ci stupiscono i molteplici mestieri da loro intrapresi per sopravvivere.

Non è dato sapere in questo caso dove il capostipite della famiglia cui tale epiteto era stato imposto avesse esercitato la sua professione, ma certo è che aveva a che fare con lo stagno.
Il soprannome potrebbe essere la contrazione dialettale del termine stagnino inteso più come calderaio che come lavoratore dello stagno, anche se in dialetto il calderaio è definito con l'appellativo di "callarare".
Se a ciò si aggiunge che per secoli lo stagno è stato utilizzato per fabbricare recipienti adatti a conservare alimenti (contenitori di rame rivestiti di stagno erano già presenti nel XIX secolo), potrebbe essere possibile che il compito di "Lu stagnare" non fosse solo quello di riparare le caldaie, ma proprio quello di lavorare e forgiare oggetti in stagno. Un bel mestiere considerando che un tempo i boccali realizzati in peltro erano molto apprezzati!
 

STREPPA CAPILLE

Anche in questo caso su tale soprannome sono state fatte molte ipotesi fantasiose.

Una delle tante, parte dal presupposto che il nomignolo fosse stato imposto ad una donna con la tendenza alla rissa o, meglio, con la propensione a "fa' a tira capille" (fare a tira capelli). Pare che questo particolare modo di risolvere le controversie fosse molto in voga all'epoca e spesso le donne vi ricorrevano anche per contendersi semplicemente un posto al lavatoio.

Un'altra ipotesi, meno accreditata, è quella secondo la quale la persona cui il soprannome era stato dato, per sbarcare il lunario vendeva i capelli che strappava o tagliava a qualche malcapitata di turno. In questa stessa sezione abbiamo già parlato di "Lu capillare"(vedi voce in rubrica). Nulla di strano quindi che qualcuno cercasse di vendere i capelli, suoi o altrui, per arrotondare le proprie magre entrate.

L'ultima ipotesi, che è poi la più accreditata, è quella secondo la quale la donna cui il nomignolo era stato imposto, fosse affetta da un tic che la portava ad attorcigliare i capelli più lunghi intorno alle dita per poi strapparli.

Certo è che se avesse rivenduto i capelli che si strappava a "Lu Capillare" avrebbe almeno potuto unire l'utile al dilettevole.

 

STRICARELLE

La traduzione del soprannome è semplice: piccola strega. In un periodo in cui le streghe erano molto temute, essere soprannominata "streghetta" sicuramente non era una delle maggiori aspirazioni. È vero, infatti, che a quei tempi qualsiasi tipo di malanno apparentemente incurabile era attribuito alle streghe. In particolare, ad esse era imputata tutta una serie di malattie intestinali e di deperimenti organici di varia natura (all'epoca molto frequenti a causa della malnutrizione e della scarsa igiene). Erano, naturalmente, sempre pronti una serie d'antidoti contro queste calamità ed esistevano in paese delle persone preposte ad eseguire riti propiziatori ed a dare suggerimenti su come tenerle lontane. È nota a Fallo una serie d'aneddoti riguardanti tale argomento, ma essi saranno narrati in altra sede. In tempi in cui probabilmente il rogo per le streghe era stato abolito da tempo, l'appellativo di "stricarelle" era, ovviamente, riferito soltanto all'aspetto fisico della persona cui era stato dato. Probabilmente il modo di vestire (a quei tempi per la verità non molto raffinato per nessuno) o la foggia della capigliatura le davano forse le sembianze di una fattucchiera, ma le doti morali della persona, da ciò che si racconta, non erano sicuramente quelle di una strega.
 

TABBACCUSE

Tabaccoso. La traduzione letterale della parola dialettale non ci aiuta molto a ricostruire l'origine di tale epiteto: si è solo certi che deriva dal termine tabacco. Né, considerando l'abitudine che c'era nelle forme dialettali a distorcere le parole a proprio uso e consumo, si può prendere il termine per quello che è. Possiamo soltanto ipotizzare che il possessore di tale soprannome fosse o un grosso consumatore di tabacco oppure un tabacchino (venditore di prodotto da fumo).

Nel primo caso possiamo immaginarlo perennemente con la tabacchiera in mano ad aspirare la cosiddetta "pizzichiete di tabbacche" spargendone una buona quantità sui vestiti e lasciandone il lezzo tutto intorno. In tempi non recenti il tabacco da naso era molto in uso e chi lo utilizzava spesso invitava anche gli altri (bambini compresi) e farsi, come si direbbe oggi, una "sniffata". Qualcuno che lo ha provato, o non n'è rimasto entusiasta (provocava, ovviamente, forte irritazione alle narici ed alla gola) o n'è diventato un assiduo utilizzatore.

Nel caso in cui invece l'epiteto si riferisse ad un venditore di prodotto da fumo, vedremo il possessore di tale soprannome intento a vendere, dietro un bancone, tabacco da naso sciolto o in pacchetti, tabacco da pipa o da sigarette, sigari, sigarette ed accessori vari di questo prodotto che, ai giorni nostri è oggetto di tante diatribe tra fumatori e non fumatori.

Certamente, sia in un caso che nell'altro il capostipite di tale soprannome si portava dietro l'odore di ciò che manipolava continuamente e forse da qui è nato il suo epiteto di "tabbaccuse".

 

ZINGARELLE

Quando a Fallo, riferendosi ad una persona, si dice che "è gnè nu zènghere" (è come uno zingaro), solitamente s'intende dire che è poco raccomandabile e non ci si può fidare.
Con i preconcetti radicati nella società contadina verso chi non rispettava determinate regole, era facile discriminare tali minoranze e spesso per rabbonire i bambini troppo vivaci si spaventavano minacciandoli di "darle a li zìnghere" (affidarli agli zingari).
Non che nel nostro paese non fossero mancati casi di persone indicate come discendenti di zingari, intesi sia come nomadi, sia, purtroppo come persone di scarsa levatura morale, ma l'origine di quest'epiteto non rientra in nessuna delle caratteristiche sopra citate.
Come sempre sono stati gli anziani del paese che ci hanno aiutato nella nostra ricerca e la spiegazione ci ha lasciato, come sempre, sbalorditi.
Pare, infatti, che il soprannome derivi dal fatto che la famiglia cui apparteneva la donna con tale epiteto (zingarelle in dialetto vuol dire piccola zingara), fosse molto numerosa e che il capo famiglia molto prolifico.
Tale peculiarità già da sola bastava ad attribuire alla famiglia il soprannome, ma il fatto poi che tutti i suoi membri vivessero in un'unica casa (sembra anche abbastanza piccola) accentuava sicuramente la sensazione di avere a che fare con una comunità di zingari.
Probabilmente la minuta costituzione della donna ed il suo modo di vestire un po' dimesso hanno poi fatto il resto.
 

ZUCCHERE

La traduzione del soprannome è intuitiva: zucchero.
Più complesso è invece il tentativo di risalire all'origine dell'epiteto.
Poco credibile è l'ipotesi, avanzata da alcuni, secondo cui qualche avo della famiglia coltivasse barbabietole da zucchero o commerciasse nell'essenza ricavata da tale tubero.
È da scartare anche la tesi sostenuta da coloro i quali affermano che i componenti della famiglia fossero particolarmente propensi al consumo sconsiderato di dolciumi ed all'uso scriteriato dello zucchero che, a quei tempi, era particolarmente prezioso.L'ipotesi più probabile e più avvalorata, è quella secondo cui uno degli antenati della famiglia fosse d'animo particolarmente buono e dimostrasse una particolare disponibilità verso chiunque andasse a chiedergli consiglio o aiuto.

Sta di fatto che, quando si nominano "Chille di Zùcchere" (Quelli di Zucchero), si pensa subito a quei pupazzi pasquali di fogge e dimensioni diverse fatti, appunto, con lo zucchero che si era soliti o confezionare in casa o acquistare per farne dono ai bambini e chiamati in dialetto "Pupe di Zùcchere".