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Molti dei trafficati sentieri non esistevano più ed erano stati reclamati dalle spine selvatiche. Dove un tempo crescevano il vigneto ed il frutteto di mio nonno, c'era ora un boschetto. La casetta di pietra col tetto di paglia dove egli conservava gli attrezzi e che serviva da riparo nei giorni di pioggia, era adesso un cumulo di pietre grigie a malapena visibile e difficilmente distinguibile dalle altre pietre del campo.

Fontemurata ("fumbrat"), la fontana del sobborgo, era ancora là ma senza acqua. Solo alcune macchie di muschio potevano essere scorte qui e là sul pavimento di pietra. Un paio di vecchie polle che un tempo sgorgavano limpide e fresche dal suolo, stillavano adesso stentatamente da un rubinetto d'acciaio in una vasca di cemento viscida di alghe verdi: e tutto ciò in nome del progresso.

La gente sembrava essere cambiata. Anche quelli della mia età o più vecchi, e coloro che avevano condiviso con me lo stesso destino negli anni '30 e '40, non riaccendevano in me nessun legame con quel mondo ormai lontano. Era forse perché io lo ricordavo come lo avevo lasciato quarantasei anni prima, mentre loro lo avevano dimenticato perché erano rimasti a vivere lì? Bruscamente sentii di essere più rappresentativo io di quel mondo che avevo lasciato di quanto non lo fossero quelli che vi erano rimasti.

Fallo aveva conservato molti dei suoi antichi tratti a dispetto delle

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belle innovazioni, ma provavo tristemente un senso di alienazione non solo per il posto ma anche per la gente. Se mi fossi trattenuto più a lungo o se fossi tornato più spesso a vistare Fallo o a viverci, forse avrei sentito e riguadagnato lentamente il senso delle cose o persino il senso di una continuità e di una accettazione del "nuovo Fallo". Ma questo non lo saprò mai. Di una cosa sono però certo: che ho sempre amato Fallo e la sua gente o, per meglio dire, la mia gente. La forza vitale che ha nutrito la mia vita viene da questo piccolo villaggio dell'Appennino. E' lì che per la prima volta ho visto i campi colorati di papaveri rossi, di ginestre gialle, di verdi spighe ondeggianti. E' lì che per la prima volta ho odorato la fragranza delle foglie bagnate, del fieno riarso, della frutta, dell'erba tagliata, della vendemmia, della neve, del legno bruciato al camino. E' lì che ho udito per la prima volta il canto degli uccelli, il gorgogliare dei ruscelli, il sibilo del vento, il fragore del tuono, il battere della pioggia. E' lì che per la prima volta ho provato i tanti sentimenti di amicizia, di piacere e dispiacere, di compassione, di latente passione, di amore spesso taciuto, di pene mai condivise.

Tutte queste cose affondano le loro radici a Fallo, anche se ora alcune di esse sono sepolte in pace nel cimitero, o sotto le rovine di costruzioni che non esistono più, o si avvinghiano a case non più familiari per il loro mutato aspetto, o sono sepolte in felici campi che la natura ha amorevolmente reclamato.