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l'altro lato e ti chiedevi freneticamente se eri stato un bravo ragazzo. Di notte potevi occasionalmente sentire dei colpi di arma da fuoco e la mattina seguente, inevitabilmente, qualcuno veniva ritrovato morto.

Corleone, più grande di Fallo, offriva qualche attività per i giovani. C'erano molti Circoli Cattolici attivi dove potevamo incontrarci, giocare e parlare. C'era anche una specie di club che dava spettacoli drammatici durante l'anno in un salone della chiesa. A Corleone molte famiglie organizzavano riunioni alle quali partecipavano dei suonatori locali. Questi gruppi musicali includevano chitarre, mandolini, banjos, fisarmoniche, clarinetti e sassofoni. Le danze più popolari nel corso di queste riunioni erano la mazurca, il valzer, il fox trot, il tango e una quadriglia a fine serata. Questi eventi costituirono la prima occasione di ballare che avessi mai avuto. Il ballo, inoltre, dava anche ai ragazzi una "legittima" opportunità di ballare e parlare con le ragazze che, normalmente, non avevano nessuna possibilità di interagire con essi nella vita quotidiana, salvo che a scuola. I ragazzi sviluppavano facilmente l'amicizia ed il senso del cameratismo. A Corleone l'amicizia generava legami sinceri. Qui ebbi alcune buone amicizie con le quali studiavo e giocavo. Ero stato "adottato" ed imparai presto il loro dialetto, ma non ero un Siciliano. In Sicilia un Italiano "continentale" può essere facilmente riconosciuto per il suo modo di pronunciare la "c" e la "d" quando prova a parlare in siciliano. Fui capace di conquistare la loro stima senza la quale non avrei mai potuto essere

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coinvolto nelle loro private questioni di famiglia.

Intanto mio zio Giovanni Mariano era tornato a Corleone come prigioniero di guerra essendo stato liberato e rimpatriato dagli alleati. Era un uomo meraviglioso di grande comprensione e con una piacevolissima personalità. Durante gli anni in cui vissi lì, egli giocò egregiamente il suo ruolo di padre con me.

Completai il terzo ed il quarto anno del Ginnasio a Corleone, dal 1944 all'estate del 1946. Ero là quando mio nonno materno, Carmine Di Gironimo, morì a Fallo. Durante la mia precedente visita estiva a Fallo, mio nonno, col quale intrattenevo spesso ogni tipo di conversazione, mi aveva predetto la sua morte per l'anno successivo. Con l'insensibilità dei giovani, giudicai infondato il suo sentore, ma aveva ragione. Durante la guerra, quando mio nonno si ritirò a vivere con noi a Fallo, io ero molto affettuoso con lui. Condividevamo le privazioni del momento. Condividevo anche le sue scarse foglie di tabacco che mia madre gli comprava al mercato nero, rubandole dalla valigia nelle quali egli le conservava. Spartivo il tabacco con i miei amici. Sminuzzavamo le foglie con una lametta da barba, arrotolavamo le sigarette e le fumavamo nei campi. Mio nonno aveva un grande senso dell'umorismo. Una sera, dopo cena, si voltò verso mia madre e le disse : "Elena, dobbiamo comprare altro tabacco perché tuo figlio ed io lo abbiamo finito! ".