di Cannes, venne immediatamente venduto in molti paesi europei e, a Berlino, vinse il Felix (premio per il miglior film europeo). Si apriva così la stagione d'oro di Loach: per dieci anni, quasi un film all'anno, premi nei maggiori festival internazionali, distribuzione in tutti i paesi europei, e la fama crescente di 'ultimo arrabbiato', uno dei pochi autori contemporanei che sappia far parlare in maniera credibile i proletari, che sappia rappresentarli con vigore onesto e con l'inarrestabile miscuglio di dolore e ironia tipico della vita vera.
Riff-Raff è la sintesi delle migliori caratteristiche del cinema di Loach: l'indignazione robusta con cui nel passato costruiva i suoi lavori televisivi e il dolore sordo e impotente, 'sociologico', che anima le storie di Kes (1969) e del fragile e didascalico Ladybird Ladybird (1994), l'essenzialità spoglia del suo stile di ripresa e la straordinaria capacità di lavorare sulla fisionomia e sulla gestualità degli attori, che sono 'presi dalla strada' più raramente di quanto si creda, ma che spesso hanno attraversato nella vita esperienze non dissimili da quelle rappresentate sullo schermo (Robert Carlyle, giovane muratore cottimista in Riff-Raff, prima di diventare attore aveva fatto l'imbianchino e il decoratore). Nato da un'idea di Bill Jesse, uno scrittore scozzese che per mantenersi a Londra lavorava in un cantiere edile, e girato in 16 mm (una scelta dettata dall'esigenza di mantenere bassi i costi, ma che produsse un'insolita libertà narrativa, non distante da quella che aveva caratterizzato le esperienze televisive più inventive di Loach), Riff-Raff ebbe, nel 1991, un vigoroso impatto realistico: le scene nel cantiere sono girate senza compiacimenti, costruite sulla fisicità e l'espressività istintiva degli interpreti, attente a sorprendere gli improvvisi mutamenti di registro, dall'immediatezza documentaristica al dramma all'irruzione della commedia. L'agile passaggio al riso, la capacità di stemperare una situazione tragica in un'improvvisa, involontaria comicità, è la caratteristica più sorprendente del film (e tornerà soprattutto nel successivo Raining Stones ‒ Piovono pietre, 1993): la scena in cui il corpulento Larry viene sorpreso nudo nella doccia di uno degli appartamenti del palazzo da un gruppo di donne arabe velate in visita, e quella in cui le ceneri della mamma di Stevie, disperse al vento da mani inesperte, finiscono addosso ai parenti convenuti al funerale, hanno un tempismo e un effetto catartico dirompenti. Non cancellano però lo squallore palpabile del mondo nel quale i personaggi sono costretti a vivere, il senso di ingiustizia e di blocco sociale che trapela dalle loro esistenze. Ridotti in miseria dalla politica economica thatcheriana, questi 'straccioni' (riff-raff vuole dire, più o meno, 'gentaglia', 'robaccia') lottano comunque per conservare la loro dignità umana, i loro sogni, il loro diritto di arrabbiarsi. C'è chi per troppa insicurezza e per fragilità finisce per rinunciare, come Susan; c'è chi ci lascia le penne, in senso letterale, come Desmonde, o metaforico, come l'indomito Larry, che immaginiamo passare di cantiere in cantiere, sempre pronto a farsi buttar fuori con le sue richieste di un trattamento migliore; e c'è chi, invece, decide di non fargliela passar liscia, come Stevie, idealista ma non ideologo, che al cantiere dà fuoco, in uno dei gesti più anacronistici del cinema degli anni Novanta. Stevie si ribella e se ne va sorridendo, senza autocompatimento né compiacimenti, come nel cinema non accade quasi più.
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