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suo insediamento a prefetto del capoluogo siciliano. In quest’opera, realizzata grazie ai contributi di varie associazioni culturali, Ferrara si volge ancor più decisamente e totalmente a un cinema di fiction, costruendo però la storia attorno a una personalità divistica di tutto rispetto, quella del francese Lino Ventura. La scelta di confezionare un prodotto destinato a un pubblico più ampio, con caratteristiche che ne facilitino una riconoscibilità immediata, non è però di principio, ma «si presenta inevitabile». Novità avvengono anche da un punto di vista più strettamente tecnico. Qui non ci si limita all’utilizzo della sola macchina a mano, ma si sfruttano appieno tutte le possibilità offerte da più classici e tradizionali movimenti di macchina, il carrello in particolare. Tutto ciò senza strafare e abbandonarsi a «soluzioni plateali capaci di far scattare la molla del sentimento», per «continuare a proporre, pervicacemente, … i grandi legami tra mafia internazionale… la correità impunita…».

Ma è Il caso Moro a toccare i gangli vitali del lato oscuro del Paese, nella ricostruzione (otto anni dopo i fatti) di uno dei più gravi e sconcertanti delitti politici della storia repubblicana. Ormai il materiale di repertorio è divenuto per Ferrara semplice anche se arricchente supporto alla vicenda ricostruita e finzionale, mentre la rinuncia ai meccanismi hollywoodiani della suspense si presenta qui anch’essa inevitabile in quanto «gli esiti [della vicenda sono] … conosciuti da tutti e perciò scontati in partenza».

Dopo i falliti tentativi di dare il la a progetti su Roberto Calvi prima e l’attentato a Giovanni Paolo II poi, Ferrara decide di tornare al documentario affrontando il ritorno alla libertà del Nicaragua dopo la dittatura di Somoza. Approcciando, forse per la prima volta, un discorso di carattere prettamente storico, con la ricostruzione delle decennali lotte sandiniste per la libertà e l’indipendenza, il regista torna poi al passato prossimo per delineare la situazione di un paese abbandonato a se stesso e in balia dei mercenari Contras, appoggiati dagli Stati Uniti.

Dopo le esperienze televisive di P2 Story, inchiesta sulla famigerata loggia massonica "il Venerabile" (4 puntate da un’ora ciascuna) e Il cinema cos’è, innovativo esperimento di didattica della Settima Arte sul piccolo schermo, dove Ferrara in persona, con l’aiuto di alcuni collaboratori, introduce ai segreti del linguaggio filmico e della produzione cinematografica (9 puntate trasmesse sulla RAI), il regista toscano torna nel 1987 a occuparsi delle zone grigie del mondo, questa volta puntando l’occhio sulle vite tormentate di giovani killer del narcotraffico colombiano. Più di altre, questa esperienza dà la sensazione di un impegno totale, di una nuova e completa consapevolezza del rischio, che non implica però il sottrarsi ad esso. Riprodurre la vita di tre giovanissimi assassini della criminalità organizzata sudamericana permette al regista toscano di suggerire cose riguardanti il proprio Paese che sarebbe stato impossibilitato a dire se si fosse trovato a narrare una storia sul posto. L’omertà, il terrore, la paura, sono gli stessi della popolazione tenuta sotto scacco dal potere mafioso e, non solo, la condizione dei tre baby antieroi sembra riflettere in verità quella di tutti gli uomini catturati da Ferrara nelle sue opere, sia che si tratti di eroi protagonisti che di collettività o gruppi meno distinti.

Di seguito all’esperienza colombiana, Ferrara gira, a ridosso dei fatti (1993), l'omonomo film sugli ultimi anni della vita del giudice antimafia Giovanni Falcone, in cui, accanto e attorno alla consolidata struttura di fiction, con il massiccio utilizzo di nomi noti a fare da richiamo, trovano posto brevi inserti documentari che assolvono una funzione mnemonica e, in qualche caso, patetizzante in direzione dello spettatore (così, quando Falcone annuncia al pentito Marino Mannoia lo sterminio della sua famiglia da parte dei "compari traditi", scorrono sullo schermo immagini [fotografiche] di repertorio raffiguranti le reali scene di delitto e le vere vittime).

Nel 1995 tocca ai Servizi Segreti (deviati?) finire sotto la lente d’ingrandimento di Ferrara che, su soggetto del giornalista Andrea Purgatori, che per primo svelò i misteri nascosti dietro la caduta del DC-9 Itavia del 1980, imbastisce, a partire da una strage in una stazione, una storia, stavolta completamente "inventata", di sotterfugi, coperture, soldi sporchi e Poteri Forti.