IL SORBO
Se non fosse per la tenacia con la quale, seppure in forma selvatica, ancora appare sporadicamente in alcuni terreni abbandonati, diremmo che questa pianta è del tutto scomparsa dalle nostre campagne.
Pur avendo un legno decisamente pregiato (impiegato persino nella costruzione di flauti), dalle nostre parti era sostanzialmente apprezzata per i frutti che, maturando in autunno, costituivano una sorta di "genere di conforto" di cui cibarsi durante il lungo periodo invernale così avaro di prodotti della terra.
Venivano colti assai prima della maturazione (probabilmente anche per evitare che altri se ne appropriassero indebitamente) e conservati in luoghi asciutti affinché diventassero zuccherini appassendo gradatamente: condizione essenziale, questa, perché potessero essere consumati senza rimanere disgustati dal terribile sapore del frutto allo stato acerbo. Un sapore così sgradevole da solleticare la fantasia di molti nel concepire epiteti e modi di dire diventati ormai proverbiali nell'idioma dialettale della nostra zona. Fra i più ricorrenti, potremmo citare "Mi pozze agliotte 'sti sciòreve, i'!?" ("Posso mai ingoiare queste sorbe, io !?") usato per rappresentare un personale disagio nel dover ingoiare i bocconi amari di una cattiva sorte.
Altrettanto "colorita" è l'espressione "Culle è gnè nu sciuòreve !" (quel tipo è come una sorba) usata per definire una persona indigesta e difficile da trattare o sopportare. In ambedue le espressioni è evidente il sottinteso riferimento al frutto ancora acerbo e disgustoso.
 
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