TRADIZIONI |
SAN MARTINO Il brano è tratto dal libro "CREDENZE USI E COSTUMI ABRUZZESI" di Gennaro Finamore. S. Martino é sinonimo di abbondanza. Ci stà lu sande Martíne (ce n'é molto, c'é abbondanza). E la frase si applica a commestibili, a bevande e ad oggetti d'industria domestica. Onde, il saluto che si fa nell'arrivare dove si fa il pane, il mosto, il sapone, l'olio ecc., é: Sande Martíne! Probabilmente per ragione della cornucopia - già simbolo dell'abbondanza -, si dà a S. Martino il patronato dei becchi bipedi (cioè i cornuti). Nei nostri comuni, forse senza eccezione, nelle prime ore della notte che precede la festa, un gruppo di monelli e di beceri chiama a raccolta le persone più notoriamente devote al santo e con qualche tamburo vecchio, campanacci, padelle, cannelli di canna da urlarvi dentro, e altri strumenti, portando lumi dentro delle zucche vuote, vanno m giro e strepitano più che mai innanzi alle case di coloro che alla finta processione sono in obbligo di andare per far onore al patrono. Il desinare del popolano, nel dì di S. Martino, é uno di quei pochi nell'anno in cui lo scialo tiene luogo della frugalità abituale. I maccheroni, la carne di maiale e, nelle mense degli agiati, anche quella di tacchino, sono cibi di rito. Inoltre, si fa onore, per la prima volta, al vino nuovo, e alla cicerchiata (specie di ciambella fatta con pezzettini di pasta dolce, simili ai ceci, fritti e poi legati col miele o con sciroppo), che poi ricomparisce in tutte le solennità, fino a Pasqua. Perché si usa spillare le botti nel dì di S. Martino ? Si narra che, inseguito dai nemici, S. Martino cercò ricovero nella casa di un contadino. Questo buon uomo, non avendo di meglio, lo fece nascondere in una botte vuota. Arrivati, gli sbirri lo cercarono anche in cantina ma trovarono che tutte le botti, vuote da tanti anni, erano piene. Peggio per le botti! Bevvero, bevvero tanto, che caddero ubriachi fradici, e il santo, senza molestia alcuna, poté andare per i fatti suoi. Ecco perché S. Martino é protettore del vino, e nel dì della sua festa si spillano le botti (Campli). Nell'ora gaia che segue il desinare, i popolani sono soliti fare scherzi che accrescono in famiglia l'allegria di quella sera. In Aquila, si usa quello dei mucchjitti (a cruscherello). In un largo vassoio di legno, chiamato capistiéru, il capo della casa fa con della crusca, in luogo dove non é veduto, tanti mucchietti quanti sono i presenti, mettendo sotto ciascuno o carboni o soldi. Poi, per turno, ciascuno disfá il proprio mucchietto; e, secondo quel che trova, ha applausi o beffe. Altrove, in tanti rocchi di pizza di gran turco, mettono fagioli o soldi (Roccaraso, Pescina, Celano). Nel giorno di S. Martino, in Montenerodomo, é rinnovato in maniera curiosa il contratto per il pascolo dei maiali (Vedi. nell'Archivio tradizioni popolari, Volume. IV, pag. 190), che a Castiglione Casauria ha nome di pléceta, ed ha luogo il 4 di febbraio. A Fara S. Martino, tra i monti dai quali ha origine il fiume Verde, v'é una gola (colà chiamata "lo stretto"), allargata, a via di gomitate dal santo, il quale aveva colà la sua grotta. Quando il vento soffiava forte, dai fianchi di quei monti rotolavano i sassi. Allora, S. Martino non usciva dalla grotta, e diceva: - É cattivo tempo! - Dice sande Martine: lu cattive tiempe é lu viente -. Qui, là dove la gola si allarga, fu poscia edificata una badia. Allorché questa, due secoli fa, per via delle frane andò in rovina, la statua di S. Martino fu travolta fino al fiume ma, galleggiando, diritta e intatta, passò nell'Aventino e poi nel Sangro. Giunta nel tenimento di Atessa, e vedendo quel prodigio, gli atessani corsero a impadronirsene, e solennemente la collocarono nella loro chiesa maggiore. Sennonché, terminate le feste, la statua scomparve. Era tornata nella sua Fara e si vuole che per tre volte si ripetesse il miracolo. Allora, gli atessani si persuasero che S. Martino non aveva voglia di espatriare; tuttavia, per non perderne la protezione, tre volte l'anno, ai principi dell'estate, vanno processionalmente a Fara ad offrirgli una torcia e le primizie dei campi: fave fresche nei baccelli (sallécchie), spighe di orzo e di grano, e pannocchie (marrócche). Se la stagione é favorevole e la campagna promettente, i pellegrini - uomini e donne - sono pochi; al contrario, la "processione" é numerosissima. Secondo il costume antico, ciascun pellegrino va col suo bastone (burtéine, bordone). A mezza strada, a Gessopalena, entrano in bell'ordine, cantando, e sono accolti, a suon di campana, nella chiesa maggiore. Poi, per atto di umiltà, anche se agiati (e sono i più), vanno accattonando per il paese e dopo una breve sosta, intonando canti religiosi, riprendono la via di Fara. Di là, tornando il dì appresso, che é sempre di domenica, dispensano a chi ne chiede li vrícciulille (i sassolini) di Sande Martine, che, come cosa sacra, sono sparsi per le campagne (Fara S. Martino). Dopo otto giorni a partire dal giorno di S. Martino, pretesto a una nuova allegria e a nuove sbornie lo dà S. Martinello. |