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Chieti, 2 11 1953 Tema La coscienza è il miglior giudice. Svolgimento Ton,
ton, ton: mi svegliai di soprassalto. S'udiva un gran vociare: - Acqua!
Acqua! Per carità da quella parte. La mia stalla, accorrete. Il fuoco
attacca i pagliai. - Balzai dal letto, apersi la finestra: nella notte
lunare un gran chiarore si diffondeva facendo distinguere ogni cosa,
mentre un forte e acre odore di bruciato penetrava nella mia camera.
Le voci
giungevano più distinte; i tocchi della campana a martello intramezzati
dallo strisciare del battaglio intorno all'orlo della campana (uso del
mio paese quando v'è un pericolo) laceravano gli orecchi.
- Acqua,
acqua! - ripetevano gli uomini semivestiti, mentre qualche donna coi
capelli malmessi (scarmigliati) si affrettava
a portar acqua.
Molti
si affacciavano al balcone (alle finestre):
- Che succede? Cosa brucia? - - La paglia! Le stalle! Il paese corre
pericolo! - era la risposta.
A queste
parole alcuni si precipitavano a portare aiuto, altri chiudevano il
balcone e ricominciavano a dormire tranquillamente.
M'infilai
i pantaloni (calzoni) e uscii: su Collerosso
la vampa, alimentata da un leggero venticello, si ergeva superba. Già
qualche stalla era in pericolo e bruciava qualche pagliaio.
Era un
via vai interminabile, un urlio, uno schiamazzare, un gridare, un accorrere,
mentre la campana seguitava a chiamar gente. Il tumulto era accresciuto
dalla risonanza che ogni minimo rumore ha nella notte.
Intorno
alla vampa erano schierati quasi tutti gli uomini del paese, i quali
ora si protendevano avanti buttando secchie d'acqua, ora si torcevano
maledettamente abbattendo sulla fiamma prossima un ramo verde e fronzuto
tuffato prima nell'acqua, ora indietreggiavano di qualche passo per
poi riguadagnarlo, quando la fiamma li avversava; come campioni di pugilato
o negri danzanti intorno a un falò dopo aver catturato un coccodrillo.
Nel trambusto
di gente scorsi anche "il più fine seguce di tutte le polizie segrete
o anche, come molti dicono, indiscrete" cioè la guardia campestre, che
andava chiedendo informazioni scarabocchiando un taccuino.
Intanto
il sole era sorto rischiarando l'affaticante spettacolo e rincuorando
gli uomini, i quali non facevano che chiedere acqua ornando(?)
la parola con qualche nome di Santo.
Ormai
il fuoco era quasi spento e gli uomini imprecavano contro "lu filie
di ********** di ********- cioè contro di me. "Il più fine seguce .(?)",
com'era d'aspettarselo, venne a casa a querelarmi per essere stato io
la causa di quella diavoleria. Veramente Collerosso era ed è tutt'ora
il luogo dove la sera i ragazzi scavezzacolli (tipo, in illo tempore,
lu (il) filie (figlio)
di ********** di ********) andavano a sparare scatole di latta ripiene
di gas, datoci dai minatori.
Facevamo
un buco largo quanto la scatola di latta, ci mettevamo del gas (che
gas?) con qualche goccia d'acqua, quindi vi ficcavamo la scatola
con l'apertura rivoltata in basso e sopra vi mettevamo una grossa pietra,
intorno accendevamo il fuoco; quando la scatola s'era riscaldata usciva
dal buco mandando in aria la pietra, provocando un grande scoppio e
spargendo il fuoco, cosa pericolosa per la paglia che vi era (d'attorno).
Ora dato(si)
che (io) ero stimato il più grande "sparatore"
fra i ragazzi del paese e quel "pigmeo" spesso trovandomi a fare quelle
solite bravure mi aveva preso a calci, la colpa fu affibbiata a me e
i miei genitori dovettero rassegnarsi a pagare il danno. Però io non
me la passai liscio: i miei mi accomodarono "una cuccia" in fondo alla
cantina, mi legarono a una vecchia e sconquassata botte, che puzzava
solo di feccia, e mi misero per due giorni a pane e acqua.
Si può
immaginare come passai quei due giorni tanto più che quando il babbo
o (la) mamma mi portavano "la razione" ricevevo
duri rimproveri, ma almeno non ebbi il rimprovero della coscienza, che
fu, in quella occasione, la sola a riconoscere (testimoniare)
la mia innocenza (e a confortarmi in quella paura).
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