Quello che mi accingo a narrare è, in effetti, il completamento della storia "A Fallo un settembre" già precedentemente pubblicata a "puntate" in questa stessa sezione del sito. Si consiglia quindi, a chi non l'avesse già fatto, di leggere tale racconto prima di procedere alla lettura di quanto segue.
Che cosa può sognare un adolescente la notte successiva alla sua incursione in un cimitero? È una domanda che penso si siano posti tutti quelli che hanno seguito le avventure dei tre ragazzi penetrati nell'ossario del cimitero di Fallo. Normalmente, forse, altri ragazzi, avrebbero trascorso placidamente la notte; probabilmente qualche lieve pensiero sarebbe riandato alla prodezza del pomeriggio, ma soltanto per motivo di vanto. La consapevolezza di aver compiuto un'azione considerata dai coetanei "valorosa" o per lo meno fuori dell'ordinario, era un motivo sufficiente per rendere il sonno più tranquillo piuttosto che sconvolgerlo con inutili rimorsi. Nel caso da noi narrato, le cose non andarono proprio così. Chi ha letto il racconto, rammenterà che, uno dei componenti del gruppo, da adulto, si ritrovò a guardare attraverso una delle finestre dell'ossario e rammentò che, la notte stessa, fece un sogno che lo lasciò sconvolto per diversi mesi e che, ancora in quel momento, era nitidissimo nella sua mente. Ciò che segue è la narrazione di tale sogno così come ci è stata riferita.
Mi trovavo nel cimitero di Fallo, vicino al cancello in una giornata plumbea e nebbiosa. La nebbia era talmente fitta che a stento riuscivo a distinguere la fila di cipressi ai bordi del vialetto centrale. Non sapevo per quale motivo avevo scelto proprio quel giorno per fare visita ai defunti, ma certamente non mi piaceva trovarmi lì in quel momento. Appena entrato al cancello fui attratto da un fruscio che proveniva da un angolo del cimitero alla mia sinistra, dalla parte dei vecchi loculi. Lì, tra la nebbia fitta, s'intravedeva una luce bianca resa quasi accecante dalla densa foschia. Sapevo che sarei dovuto andare via, bastava che mi voltassi ed uscissi dal cancello, ma in quella luce c'era qualcosa che mi attirava. Mi avvicinai ai loculi: udivo sempre il fruscio. La nebbia fitta mi bagnava i vestiti. Ora la luce proveniva da una delle nicchie cimiteriali posti in alto e c'era una scala a pioli appoggiata alla sua apertura. Con le gambe che mi tremavano, cominciai a salire fino a giungere davanti alla lapide che chiudeva il loculo. La lastra di marmo era bianca e non recava nessun'incisione né scritta. La toccai ed essa lentamente si aprì. Mi sentii afferrare da qualcosa che non riuscivo a vedere, qualcosa che mi stava trascinando nel loculo. Tentai di urlare ma, come accade sempre nei sogni, la voce mi mancava. Tentai di ridiscendere la scala, ma non feci in tempo……
Poi c'ero io che, come in un film, vedevo la scena dal di fuori; mi vedevo afferrato da qualcosa, vedevo che mi divincolavo cercando di resistere e che, nonostante tutto, ero risucchiato nel loculo. Infine, l'ultima immagine: le suole delle mie scarpe che sparivano nel buio della tomba. La lapide si richiuse senza alcun rumore e, proprio come in un film, la vidi avvicinarsi in primo piano. Sul marmo bianco c'era inciso a caratteri dorati il mio nome, il mio cognome e la mia data di nascita.
Com'era naturale, mi svegliai terrorizzato e, ovviamente, non riuscii più a riprendere sonno. Erano le quattro del mattino e la prima cosa che udii era lo stesso fruscio che avevo sentito nel sogno: era il vento che, fuori, soffiava ancora più forte del pomeriggio precedente. Attesi che facesse giorno del tutto e poi uscii in cerca di qualcuno cui confidare tutta la mia angoscia. Ma, si sa, gli adolescenti dormono molto, soprattutto se la sera prima hanno fatto le cosiddette "ore piccole" al bar. Incontrai, quindi, uno dei miei compagni d'avventura soltanto in tarda mattinata e gli raccontai il mio sogno: mi ascoltò attentamente, poi minimizzò il tutto con la frase - Sognare di morire allunga la vita, quindi non preoccuparti. - Invece preoccupato lo ero e come, anche perché l'angoscia del sogno mi aveva tolto almeno già dieci anni di vita. Cominciammo a passeggiare prendendo la strada verso Lacariello e cercammo di razionalizzare il tutto. Il sogno, naturalmente era scaturito dalla nostra avventura del giorno prima. La nebbia fitta era la pioggia sottile che ci aveva colto quando eravamo usciti dall'ossario. La scala a pioli era, …la scala a pioli. Le suole delle scarpe erano le impronte lasciate sulla polvere del davanzale della finestra. Il loculo era quello della persona più vecchia tumulata nel cimitero. La lapide era quella che avevamo tolto dall'apertura di uno dei nuovi loculi. E la mia data di nascita sulla lapide? E il mio nome? Solo mie fantasie. A sentire il mio compagno d'avventura non c'era da preoccuparsi (il sogno in fondo non l'aveva mica fatto lui). E poi la data era quella di nascita e non quella di morte, quindi, era tutto a posto (per lui).
Nei giorni successivi, prima che ripartissi da Fallo, condussi una vita quasi monastica evitando scrupolosamente qualsiasi cosa che andasse oltre la passeggiata o la chiacchierata, poi dovetti affrontare la dura prova del viaggio che mi sembrò più lungo del solito. Arrivai incolume a destinazione e ripresi la mia vita di sempre. Ovviamente, se scrivo, vuol dire sono ancora vivo. Eppure, ogni volta che torno a Fallo, non manco mai di fare una visita al cimitero e, affacciandomi alla finestra dell'ossario, ricordo il giorno di un settembre in cui tre ragazzi s'incontrarono a Piazza Quattro Novembre e…