UN POETA
La vicenda qui narrata non è, come si può pensare leggendo il titolo, quella di un poeta di professione, ma quella di un ragazzo che lo divenne per un tempo sufficientemente lungo (pochi istanti) da farlo quasi passare alla storia.
Il fatto si svolge ovviamente nel nostro paese ed il periodo è quello purtroppo non molto felice dell'ultimo conflitto mondiale. Abbiamo accennato più di una volta come tale periodo sia stato vissuto dagli abitanti del nostro paese con un forte senso di solidarietà, ma spesso la quotidiana lotta per la sopravvivenza costringeva a venir meno a certe regole sicuramente non imposte, ma che facevano ormai parte del vivere sociale.
A Fallo, come in tutti i paesi del circondario, il vivere quotidiano era affidato alle scarse risorse agricole ed all'allevamento degli animali da cortile che, ovviamente, non tutti avevano la fortuna di possedere. In particolare le galline costituivano un investimento poiché spesso sia le uova sia gli animali stessi erano merce di scambio e, in caso d'estrema necessità, si poteva attingere al pollaio per sfamarsi. Altra particolarità di tali animali era la facilità con cui potevano essere allevati perché nel nostro paese non esistevano al tempo strade asfaltate e ogni piccolo slargo antistante le abitazioni poteva essere utilizzato come cortile per consentire agli animali di razzolare liberamente. Sono noti i casi di furibonde liti tra i proprietari del pollame ed i possessori dei covoni di grano depositati su Colle Rosso e pronti per la trebbiatura quando gli animali, attratti da tanto ben di Dio, "traslocavano" dal loro improvvisato cortile, scarso di cibarie, a quello che per loro doveva sembrare un Paradiso Terrestre.
Il problema però si poneva anche quando la "transumanza" avveniva da un "cortile" ad uno limitrofo più ricco di becchime.
La nostra storia racconta proprio uno di questi casi. I protagonisti sono, oltre ovviamente alle galline, anche due adolescenti, un maschio ed una femmina, vicini di casa. Il nome della ragazza era Giovanna, ma con l'abitudine che c'è in tutti i paesi di imporre diminutivi, da tutti era chiamata Giovannina (Giuvannine, in dialetto). Non si è riuscito a sapere con precisione se il ragazzo fungesse da guardiano delle galline o se nella vicenda si fosse autodefinito tale soltanto per mettere in mostra le sue doti di sbeffeggiatore della malcapitata vicina (considerando il soggetto è molto probabile la seconda ipotesi), sta di fatto che nel pieno rispetto delle sue "funzioni" spesso aveva azzoppato a sassate più di una bestia del confinante perché l'aveva trovata a razzolare nella "sua zona". Questo aveva ovviamente provocato delle reazioni giustamente risentite da parte dei genitori della sunnominata Giovannina la quale probabilmente era stata a sua volta redarguita per non aver compiuto a fondo il suo dovere (quella di guardiana delle galline, appunto). Alle sue rimostranze verso lo scorretto comportamento del ragazzo, quest'ultimo colto da un improvviso estro poetico declamò i seguenti versi: "Giuvannine, Giuvannine, i t'accite li 'alline. Vu sapè picchè picchè? Ca ve sempre a la casa me!" (Giovannina, Giovannina, io ti uccido le galline. Vuoi sapere perché perché? Perché vengono sempre a casa mia!).
Ovviamente, con la recitazione dei versi di tale levatura, le "migrazioni gallinacee" non cessarono, né cessarono i ferimenti a sassate delle povere bestie. Un fatto è però certo: è stato un vero peccato che un aedo di tale grandezza non abbia proseguito negli studi classici. Oggi avremmo potuto annoverare tra i nostri compaesani anche un noto poeta.
 
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