LA CERCA DELLE LUMACHE
Alle quattro e trenta di una cupa mattina d'agosto, due ragazzi ruppero ogni indugio e salirono la scala di pietra che portava allo sporto situato accanto al terrazzino di una casa. Come avevano fatto già tante volte, con un balzo superarono lo spazio che separava lo sporto dalla terrazza ed in un attimo furono sul balcone della casa. Cautamente si avvicinarono ad una delle persiane e cominciarono a chiamare qualcuno a bassa voce picchiando leggermente sul legno delle imposte.
Nessuno rispose. Tentarono ancora picchiando con più energia ed alzando un po' il tono di voce, ma ottennero lo stesso risultato. Mentre stavano per rinunciare, l'altra persiana si aprì ed il viso di una persona anziana vi fece capolino:
- Che cosa fate voi qui a quest'ora? - (Chi facete vu aecche a sstore?) - Chiese la donna.
- Avevamo un appuntamento perché dobbiamo andare per lumache! - Fu la risposta di uno dei due ragazzi.
- Per lumache! A quest'ora di notte? E quando le vedete! Quelle non sono buoi! - (Pì ciammagliche! A sstore di notte? E quanna li videte! Chille nin è vuove!) - ...

Emersi dal mio profondo sonno perché qualcuno mi stava scuotendo con violenza. Riuscii a capire cosa stava succedendo soltanto quando vidi il viso piuttosto imbronciato di un amico che mi scrollava e dietro di lui quello di mia madre. Improvvisamente ricordai l'appuntamento che avevamo preso la sera prima e guardai la sveglia poggiata sul mobile accanto al mio letto, erano circa le cinque: probabilmente non l'avevo sentita suonare. La pioggia dei giorni precedenti ci aveva fatto decidere ad andare per lumache e gli accordi erano che alle quattro ci saremmo dovuti vedere a Colle Rosso. Ancora oggi un è mistero il perché di quell'ora antelucana. Tra i borbottii di mia madre e quelli degli amici, in poco tempo indossai i vestiti adatti alla situazione e ci accingemmo a partire. Un ombrello ed un impermeabile avrebbero dovuto ripararci in caso di pioggia. La cosa che più mi colpì fu l'abbigliamento di uno dei miei compagni d'avventura. Dal primo momento che l'avevo visto mi era sembrato che indossasse qualcosa di strano che era al di fuori d'ogni regola. Riuscii a capire di cosa si trattava soltanto quando egli stesso, quasi con orgoglio, mi fece notare come fosse riuscito ad indossare un paio di pantaloni a mo' di camicia per proteggere le braccia dal freddo. Non ricordo francamente quale giustificazione addusse a questa sua scelta, rammento soltanto che mi sembrò buffissimo vedere un paio di pantaloni di colore avana ed a zampa d'elefante per giunta, indossato come una giacca. Naturalmente furono inutili tutti i tentativi di mia madre di dissuaderci dall'avventurarci in quella faccenda. Giustificazioni indiscutibili: "Ormai siamo svegli", "Si sta facendo tardi" (erano le cinque del mattino) e "Torniamo presto".

Uscimmo così da casa che era ancora buio, con un tempo che non prometteva niente di buono e con un vento che ci trascinava via.
Appena superato il cimitero ci rendemmo subito conto di non aver fatto una buona scelta. Il buio era fitto per la mancanza dei lampioni, per il cielo coperto e per l'ora antelucana, e poi cominciò anche a piovigginare.
La situazione peggiorò ulteriormente quando giungemmo all'altezza del primo ponte: la pioggia aumentò talmente d'intensità che fummo costretti a ricorrere all'uso dell'ombrello e dell'impermeabile. Uno soltanto di noi utilizzò l'ombrello, mentre gli altri due cercarono riparo alla meglio sotto l'impermeabile. Tranne qualche lampo che ogni tanto ci faceva un po' di luce, per il resto era talmente buio che eravamo costretti a camminare sulla mezzeria della strada per orientarci.

Poco prima di giungere al secondo ponte (di la Valla Villacine) ci rendemmo conto che la situazione era drammatica e decidemmo di tornare indietro. Ma non tornammo a casa. All'altezza del primo ponte, c'era una cava di pietra ormai in disuso e vi era una struttura in cemento utilizzata a suo tempo per il carico dei camion. Decidemmo di rifugiarci là sotto nell'attesa che spiovesse un po'. La pioggia durò ancora parecchio e quando uscimmo dal nostro rifugio era ormai giorno fatto. Il cielo era ancora plumbeo ma verso est s'intravedeva una piccolissima striscia di sereno. Da quel momento in poi partì la vera e propria cerca delle lumache. Andammo verso Civitaluparella: senza neanche sforzarci troppo a cercare ciascuno di noi riempì un'intera busta di chiocciole. Uno di noi, giunto a casa, si prese anche la briga di pesare la sua di busta: circa tre chili.

Tornammo alle nostre case verso le dieci del mattino e, visto che il tempo aveva ormai volto al bello, decidemmo di vederci nuovamente prima di pranzo. All'appuntamento però eravamo soltanto in due. Il terzo membro del gruppo era introvabile. Il guaio era che lo cercavano anche i genitori che cominciavano seriamente a preoccuparsi della sua sparizione.

"L'amico scomparso", per problemi logistici, aveva preso la sua momentanea residenza in una casa di proprietà dei genitori lungo Via Santa Maria ed era esattamente là che lo avevamo visto avviarsi quando c'eravamo lasciati. La porta della casa era chiusa e nonostante avessimo provato più volte a picchiare, non avevamo avuto risposta. Fortunatamente, superati i primi momenti di panico, recuperammo la razionalità necessaria per affrontare l'emergenza: poiché noi l'avevamo visto avviarsi verso casa e poichè in paese nessuno l'aveva più incontrato da allora, decidemmo di iniziare le nostre ricerche proprio da lì. L'intuizione era giusta: dopo aver forzato la serratura ed essere entrati lo trovammo che dormiva stravaccato sul letto con le gambe che penzolavano verso il pavimento. Indossava ancora gli abiti umidicci del mattino e fece non poca fatica a svegliarsi.
Ci spiegò più tardi che appena rientrato a casa si era disteso sul letto con l'intenzione di cambiarsi, ma probabilmente la stanchezza accumulata lo aveva vinto e si era addormentato immediatamente:
- Non pensavo che cercare delle lumache fosse così faticoso. Non ho neppure dovuto correre per prenderle! - Concluse con una sonora risata.

Era il 30 agosto del 1970.

 
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