LA CASA

È difficile, soprattutto per chi è amante delle tradizioni, non restare affascinato dalle vecchie abitazioni o, meglio, da ciò che s'immagina si possa trovare dentro di esse.

Chiunque abbia una vecchia casa o una cantina polverosa sa quanti "tesori" possono trovarsi al suo interno e, quando la si esplora per la prima volta, ci si prepara come ad un rito. In un paese piccolo come il nostro non è difficile, infatti, imbattersi in persone che, coperte di vecchi panni sporchi di polvere, si aggirano per le strade con le braccia cariche di vecchi oggetti rinvenuti in proprietà "dimenticate" in qualche angolo dell'abitato.

Un'esperienza simile la vissi personalmente alcuni anni fa quando penetrai in una vecchia casa di proprietà di mio nonno e cominciai, raccogliendo i vari oggetti che incontravo sul mio cammino, a ricordare tutto ciò che mi era stato raccontato su quella casa e sui suoi abitanti.

L'atmosfera antica che soltanto alcune abitazioni sanno mantenere, mi fecero ritornare ai tempi dei miei antenati quando la casa era un luogo dove tutti i membri della famiglia si riunivano e dove ognuno aveva un suo ruolo ben preciso: gli anziani erano i detentori della saggezza ed avevano poteri decisionali, le donne accudivano alla casa ed alla famiglia, gli uomini lavoravano nei campi spesso insieme ai bambini e tutti contribuivano in maniera diversa al buon andamento della casa.

Dai racconti pervenutimi ricordai esattamente dove si trovava "la conca" con l'acqua, dove erano tenuti i finimenti degli animali, dove dormivano i cani, dove razzolavano le galline, dove era tenuta la chioccia. Rivissi le intense giornate di lavoro nei campi, le fredde giornate invernali, la calura estiva, le mosche, i parassiti ed i drammi quasi quotidiani delle malattie e quelli, purtroppo, frequenti delle morti. Si moriva per un nonnulla: un'appendicite, una bronchite, una febbre reumatica o una dissenteria e la morte era accettata con rassegnazione come qualcosa d'inevitabile e di naturale.

Ricordai che quella mi era stata indicata come la stanza matrimoniale con il suo altissimo giaciglio e che, ai piani superiori, c'erano le camere da letto degli altri membri della famiglia. Sui muri erano ancora visibili i segni antichi dei quadri con i ritratti dei santi, delle forme dei mobili: lì c'era un cassettone, dall'altro lato l'armadio, in fondo la porta che conduceva alla "dispensa" ed a quella finestra coperta di ragnatele si erano certamente affacciate intere generazioni volgendo il proprio sguardo verso i campi e le montagne circostanti apparentemente così immutabili, eppure tanto cambiate con il passare del tempo.

Nella cantina, in un angolo erano ancora ammucchiati gli attrezzi per il lavoro nei campi: tre zappe, due bidenti, un piccone e una grossa ascia, tutti con i manici consunti dall'uso e testimoni di una vita di duro lavoro per strappare ad una natura non sempre benevola un altro pezzo di terra da coltivare.

In fondo, accanto ai pezzi di una botte sfasciata, c'era una cassetta di legno ancora ben conservata: era piena di "tesori". Un vecchio documento parlava della vendita di un terreno, una lettera scritta in italiano stentato tentava di raccontare le vicissitudini di un emigrante alla propria famiglia, un libricino di preghiere era lì a dimostrare come la fede fosse l'unico appiglio e rifugio di una vita fatta di stenti e di duro lavoro. C'erano anche un vecchio coltello da caccia, una borraccia militare di una qualche "antica" guerra, un timbro con un pezzo di ceralacca e, per finire, un grande ritratto in bianco e nero di una bambina in cui erano riconoscibilissimi i tratti somatici della mia famiglia.

Rammentai allora una canzone degli anni settanta che diceva:

La casa sul confine della sera
oscura e silenziosa se ne sta
respiri un'aria limpida e leggera
e senti voci forse d'altra età.

E finiva:

La casa è come un punto di memoria
le tue radici danno la saggezza
e proprio questa è forse la risposta.
E provi un grande senso di dolcezza.
 
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