Avere un nonno abruzzese (di Alfedena), vivere a Velletri (in provincia di Roma) ed interessarsi di cultura popolare porta prima o poi a scoprire che certi modi di dire (e di fare), certe filastrocche ed alcuni termini si ritrovano in diversi dialetti d’Italia.
Ciò è quanto accaduto all’autore del brano che segue il quale, cercando nel Web informazioni su taluni insetti, è capitato nel nostro sito dove, come sapete, è presente una sezione dedicata alla flora ed alla fauna.
Lu cippe 'n cule, la marapilose e la coccinella hanno a Velletri come nel nostro paese delle affinità che non sono soltanto di tipo puramente linguistico. Sarà perché, come mi ha spiegato l’autore del brano, a Velletri negli ultimi centocinquanta anni si sono trasferiti molti abruzzesi?
Ringraziamo Roberto Zaccagnini per averci concesso di pubblicare il suo scritto.
Buona lettura!
La Filamarìa e la Mariapelósa
Viene popolarmente detta "filamarìa" la "Zygaena ephialtes", piccola falena diurna dal corpo lungo e esile, nero con un anello giallo intorno al basso ventre, con quattro alette nere a pallini bianchi. Era anche detta "farfalla de San Giovanni", perché compare nel breve periodo di un paio di settimane intorno al 24 giugno, festa di San Giovanni. Il suo volo sconnesso e di breve durata, le sue ali relativamente piccole che la costringono a un veloce frullio senza apprezzabili risultati in quanto a velocità, la rendevano facile preda dei monelli.
Catturata, le si infilava nell'ano un pezzetto di paglia o altro sterpo sottile, e si lasciava andare: il divertimento consisteva nel vedere la partenza a razzo di quell'insetto una volta che veniva lasciato dopo il particolare servizio che, popolarmente, era detto "zéppo 'n cuglio". E mentre la farfalletta filava via, c'era chi declamava un'assurda filastrocca senza senso: " 'A farfalla de San Giuvagni: prima bevi e doppo magni. Se ricorderanno l'agni, quando va' a lavà li pagni…". Si trattava di una semplice occasione per creare delle rime.
Doppio cinismo si dimostrava infilando invece due farfalline alle due estremità dello stesso sterpo, per vedere quale tirava di più. Ancora, un altro divertimento consisteva nell'infilare, come sopra, uno sterpo più lungo, e tenere in mano quel bastoncino con la farfallina in punta che frullava, come fosse una girandola o altro giocattolino.
Il nome "filamarìa" possiamo ritrovarlo anche in altre province insieme alla barbara usanza, mentre la preferenza popolare per quella farfalla, e non per altre, da destinare a quel supplizio, è dovuta alla facilità con cui essa si poteva catturare: non mancano infatti testimonianze di certe pratiche applicate ad altre farfalle, laddove a queste fosse capitato di essere catturate.
Il nome del divertimento (zéppo 'n cuglio) si usa in dialetto anche per indicare la condizione di una persona che agisce e si adopera, senza ottenere alcun risultato, con allusione alla farfalla che, pur agitando le ali, rimane sempre ferma, infilata al bastoncino.
La mariapelósa è per noi invece genericamente un bruco, e in particolare la processionaria, con riferimento alle fibrille che ne ricoprono il corpo. Di essa notiamo curiosamente l'assonanza con lo spagnolo mariposa (farfalla) che deriva da maria-posa.
Ma potrebbe essere stata anche per noi maria-posa, alla stessa maniera di fila-maria, con la differenza che quest'ultima ha conservato inalterato il nome grazie al supplizio infertole dai monelli, mentre il nome della generica farfalla, non più oggetto di particolari o spettacolari attività, ha perduto il senso trovandone un altro nell'assonante mariapelosa, e nella figura del bruco che, con la farfalla, ha comunque una connessione biologica.
La coccinella
Nelle tradizioni popolari infantili, la coccinella è forse l'unico animaletto che, catturato, non sia sottoposto a torture o giochi poco graditi per esso. Anzi, il breve incontro tra il bambino e la coccinella si concludeva molto poeticamente: in molte regioni, presa la coccinella su una mano, il bambino la librava in aria con la seguente invocazione: "Vola vola, pòrteme a Roma!". Come si vede, anche qui troviamo un indizio che si ricollega alle filastrocche fila-maria e maria-posa. Secondo la credenza infantile la coccinella, alzandosi in volo, si dirigeva sempre in direzione di Roma, e questo veniva creduto anche nella tradizione velletrana.
In Romagna, con lo stesso rito, si chiede invece all'insetto di insegnare la strada per andare "a scola". La rima vola-scola è più giusta, e l'abitudine senz'altro edificante ed istruttiva. A Velletri purtroppo ricordiamo un'usanza più grossolana: posto in terra l'insettino, lo si stuzzicava col dito intimando: "Pòrteme a Roma, sinnó t'ammazzo!".
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