A FALLO UN SETTEMBRE
(ULTIMA PARTE)
 

Nessuno parlava più. Calarono la scala nella botola. Un inspiegabile quanto repentino senso di rispetto, li indusse a fare attenzione a che la scala non urtasse il mucchio di ossa sottostante ma, malgrado le premure, uno dei montanti andò a cozzare contro la base del macabro cumulo: qualcosa, forse un teschio, rotolò sul pavimento.

Il primo a scendere fu S. seguito da C. e quindi da F. Il soffitto, visto da quella nuova prospettiva, sembrava basso ed opprimente.

L'intero locale prendeva luce da due finestre poste in alto che davano sulla strada. Entrambe avevano le ante aperte ed erano protette da sbarre di ferro e da una rete arrugginita sulla quale si erano abbarbicati i rovi che crescevano all'esterno. Su una parete, una larga crepa mostrava il vivo delle pietre sottostanti accentuando l'inquietudine di quell'atmosfera resa ancor più intollerabile dall'aria pesante. Alcune cassette di legno giacevano fra le ossa sparse alla rinfusa. Il pavimento era ricoperto di uno spesso strato di polvere e fra le ossa saltellavano insetti simili a grilli dello stesso colore della polvere. Erano molli: i tre se ne resero conto quando uno di loro, inavvertitamente, ne schiacciò alcuni fra le dita frugando a mani nude fra le ossa.

Il senso del proibito, la curiosità, la violazione del mistero più profondo fecero abbandonare ogni pudore ai tre ragazzi che, di lì a poco, si ritrovarono a maneggiare con la massima naturalezza tibie, teschi, mandibole ed ogni altro tipo di "reperto" del quale, quasi certamente, non conoscevano neppure la collocazione anatomica. Al colmo della più innocente ed adolescenziale esaltazione, C. si mostrò fermamente intenzionato a voler portare via un teschio e solo il buon senso degli altri due lo indussero a desistere.

- Non abbiamo neppure un sacco in cui nasconderlo! Te lo immagini cosa sarebbe rientrare in paese con un teschio sottobraccio? - tuonò F.

- Va bene, vuol dire che tornerò a prenderlo un'altra volta. - rispose rassegnato C. come se si fosse trattato di tornare a fare compere al supermercato.

Improvvisamente, spostando alcune ossa, C. e F. scoprirono un vero "tesoro": uno scheletro quasi intero ancora ricoperto, qui e là, di qualche brandello di pelle incartapecorita dalla quale fuoriuscivano ciuffi di peli bianchicci.

- Questo deve essere il prete e dentro quella cassetta deve esserci il breviario - disse S. indicando una cassetta che probabilmente aveva adocchiato già da un po'.

I tre si avvicinarono alla cassetta e cercarono di aprirla ma il lucchetto, anche se malandato, resisteva. S. tornò verso la scala a pioli, salì alcuni gradini e si sporse con il busto e le braccia fuori dalla botola riapparendo di lì a poco con l'ascia fra le mani. Il lucchetto, forzato a piccoli colpi, cedette quasi subito. Nessuno sa cosa i tre avessero immaginato di trovare in quella cassetta ma, di certo, il contenuto li deluse: oltre ad un berretto di lana che aveva conosciuto tempi migliori e ad alcuni fogli di carta ormai illeggibili, c'erano una pipa rotta, alcuni chiodi e dei pezzi di legno. Delusi, i tre si misero a cercare intorno qualcosa di più interessante ma ormai il luogo non aveva più mistero per i tre.

Diedero ancora un fugace sguardo all'intorno e poi, compostamente, risalirono al piano superiore. Tutto fu ricollocato al suo posto: l'ascia, il tombino che copriva la botola, la scala a pioli. I tre, richiusa dall'interno la camera ardente, riguadagnarono l'uscita attraverso la finestra dalla quale erano entrati non più di un'ora prima e, a parte le impronte lasciate sulla polvere del davanzale, nessuno avrebbe mai potuto aver prova di quella irriverente incursione.

Non pioveva più e si era alzato di nuovo il vento. Ritornarono sul vialetto centrale del Cimitero ed uscirono dal cancello .

Uno squarcio di sereno si scorgeva verso i Monti Pizzi ed un pallido sole brillava su Fallo. Nessuno dei tre confessò l'intima ebbrezza liberatoria che il profumo della terra e dell'erba bagnata infuse nell'animo di ciascuno di loro.

Avevano le mani sporche, le scarpe infangate, i vestiti impolverati: se qualcuno li avesse scorti non avrebbe potuto fare a meno di chiedere loro da dove venissero e che cosa avessero mai fatto. Ma fortunatamente nessuno li incrociò.

Quasi senza parlare proseguirono insieme fino allo slargo di Viale della Rimembranza, poi si salutarono e si divisero.

 

Qualche tempo fa uno dei ragazzi, ormai adulto, si è affacciato di nuovo ad una delle finestre che dalla strada si apre nell'ossario ed ha ricordato tutta l'avventura. Il primo istinto è stato quello di cercare lo scheletro nell'angolo dove lo avevano lasciato tanti anni prima. Dapprima non riusciva a vederlo. Lo ha scorto poi, quando gli occhi si sono abituati all'oscurità del locale, sotto la finestra accanto a quella dalla quale stava sbirciando: qualcuno lo aveva messo lì a sorreggere una delle ante. Ricordò anche che fu la notte successiva all'incursione nell'ossario che fece quel sogno allucinante che lo lasciò sconvolto per diversi giorni e che ancora oggi rammentava così bene. Sognò, infatti, di trovarsi nel cimitero di Fallo, vicino al cancello e...

Ma questa è un'altra storia.

 
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