Di data imprecisabile (ma certamente di qualche anno prima del novecento), questo documento è una delle tante testimonianze della profonda fede religiosa che animava i nostri antenati. Tale fede era spesso portata quasi agli estremi ma era probabilmente l'unica cosa che sosteneva gli abitanti del nostro paese nei momenti di difficoltà.
Il documento pur se redatto a mano è sufficientemente leggibile, ma contiene ovviamente una serie di errori d'ortografia. La parola pietà ad esempio è più volte scritta senza accento, come pure trinità, vanità, purità. Il termine prigionieri (nella seconda pagina) è scritto con la doppia g e, in alcuni casi, dove richiesto, sono stati omessi gli apostrofi (in seconda pagina: degl'infedeli e l'udito).
Probabilmente il documento era soltanto la prima stesura di uno scritto che avrebbe dovuto essere successivamente redatto in formato definitivo.
Nella seconda pagina infine l'autore del documento, pur di dare libero sfogo al suo fervore religioso, ha dimenticato alcune regole grammaticali e stilistiche. Si legge, infatti:
San Vincenzo, risanatori degli ammalati
San Vincenzo, seminatori di miracoli
San Vincenzo, che ottiene la parola ai muti
San Vincenzo, che ottiene l'udito ai sordi
San Vincenzo, che fate raddrizzare gli storpi.
Non mancano però neanche delle finezze linguistiche. Ne è un esempio il termine impetrate (San Vincenzo, che impetrate la vista ai ciechi). Forse il vero significato del verbo, che vuol dire ottenute con le preghiere, era poco chiaro anche al redattore del documento stesso ma certamente era d'effetto su chi lo leggeva.
Ma il tocco finale di sacralità al manoscritto lo danno, in fondo all'ultima pagina, le seguenti parole in latino:
Oremus, Deus. qui ecclesiam tuam Beati Vincenzi confessori tui meriti et predicationis.