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zio di mio padre). Ai più fortunati fra noi veniva richiesto di azionare il pedale del mantice della fucina. Il fabbro riusciva a forgiare i più svariati utensili dalle incandescenti stecche di ferro rovente che batteva sull'incudine con un grosso maglio. Molti dei ferri per le "pizzelle" che quasi tutte le famiglie possedevano, erano stati accuratamente fabbricati dallo zio di mio padre. Ogni famiglia aveva un proprio ferro contraddistinto da un fregio decorativo o dalle iniziali del nome. Il fabbro fungeva anche da maniscalco del paese e noi ragazzi lo guardavamo mentre forgiava i ferri di cavallo o mentre dava forma agli zoccoli degli animali e vi inchiodava i ferri. Un giovane fabbro di Fallo realizzò un manufatto in ferro di umile artistica bellezza (la porta del tabernacolo dell'Altare maggiore). Costui realizzò anche una gran parte delle serrature e delle chiavi in uso all'epoca.

Osservavamo anche il ciabattino mentre faceva o riparava le scarpe. Era affascinante vederlo ammorbidire il cuoio nell'acqua e cucirlo alla suola della scarpa con monotona ma precisa manualità.

Il paese era occasionalmente visitato da un venditore di stoffe, uno stracciaiolo, un riparatore di macchine da cucire o un mercante di piatti. Quelli che riscuotevano l'incondizionata attenzione dei ragazzi erano lo stagnaio ed il riparatore di piatti. Il primo rattoppava i buchi dei recipienti di rame o ne foderava l'interno con lo stagno. L'odore acre ed il fumo dell'acido che usava sembrava avere su di noi una

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sorta di potere magico.

L'uomo che riparava i piatti rotti usava una specie di trapano a mano col quale praticava dei piccoli fori su ambo i lati delle sezioni rotte del piatto. Le due parti venivano poi tenute assieme per mezzo di punti metallici che creavano un effetto molto simile a quello di una odierna sutura chirurgica. Usava una specie di porcellana in pasta per stuccare le crepe. Un piatto rotto riconsegnato alla vita significava molto per alcuni poveri.

L'altra attività improvvisata ma tremendamente appagante, era il girovagare per i campi o per i boschi. Cercavamo ed acchiappavamo le rane nei ruscelli, raccoglievamo lumache che arrostivamo e mangiavamo, ci arrampicavamo sugli alberi per scovare i nidi degli uccelli e piazzavamo trappole nei punti strategici per catturare lepri. Costruivamo piccoli cesti e fruste con la giunchiglia, facevamo cerchi con le canne e "ruote di mulino" con stecchi e foglie che lo scorrere dell'acqua d'un ruscello faceva girare. Esploravamo differenti aree degli aspri dintorni, scalavamo macigni e colline rocciose, facevamo rotolare per gioco delle grosse pietre giù da un'altura e raccoglievamo asparagi selvatici. Rubavamo le noci fresche nonostante il mallo verde lasciasse sulle mani delle ostinate macchie brunastre accusatrici. Rubavamo i fichi ed altri frutti dalle piante che si affacciavano sulla strada. Cacciavamo lucertole ed altri piccoli animali. Era una continua