Nell'ambito dei matrimoni combinati per interesse o per decisione inappellabile dei capi famiglia, quello da cui scaturisce questa frase storica è certamente il più conosciuto.
Non è dato sapere la data precisa dell'evento, ma approssimativamente si può collocare intorno alla metà degli anni venti.
L'episodio, tramandato oralmente fino ai nostri giorni, fa riferimento appunto al desiderio di due famiglie di Fallo di unire le loro proprietà, combinando un matrimonio tra il primogenito di una casata, con la primogenita dell'altra. Tutto ciò naturalmente senza chiedere il consenso dei diretti interessati (i futuri sposi).
Particolarmente interessante sembra che fosse la figura del "promesso sposo" che, essendo piuttosto tonto e non avendo, tranne la proprietà del genitore, né arte né parte, si apprestò a sposarsi senza sapere neppure di cosa si trattasse e quali responsabilità tale passo comportava.
Ben presto nel paese, come sempre accade, si cominciò a parlare di tale matrimonio ed i più smaliziati affrontavano apertamente l'argomento con il "fidanzato" proprio per metterlo in difficoltà e riderne.
Era quindi frequente che qualcuno lo avvicinasse soltanto per chiedergli: - È lu vere ca ti spuse? E quanne? - (è vero che ti sposi? Quando?)
Per sentirsi rispondere quasi sempre con la stessa frase: - Eh! I pi me sò pronte! - (eh! Io sono pronto!).
- E chi i puorte a la spose? - (E cosa porti alla sposa?)
- Eh, li sacce i! - (eh, lo so io!) facendo seguire quest'ultima frase da un sorrisino malizioso.
Il giorno del fidanzamento "ufficiale" le due famiglie s'incontrarono in casa del futuro sposo.
Conoscendo i limiti di quest'ultimo i vari parenti si erano alternati nell'istruirlo sul comportamento da tenere per l'occasione e gli avevano consegnato dei confetti (una vera rarità a quei tempi) da tenere in tasca e da offrire alla fidanzata alla fine della loro prima conversazione. Erano convinti che un simile gesto avrebbe stupito e fatto piacere alla ragazza.
Ma ogni raccomandazione al giovane sul comportamento da tenere verso la fidanzata andò sprecata.
Il futuro sposo, infatti, dopo qualche minuto che era seduto accanto alla fidanzata e mentre ques'ultima cercava di intavolare con lui un qualche discorso, battendosi con il palmo della mano sulla tasca destra del pantalone esclamò: - Ecche tienghe lu dulce! - (qui dentro ho il dolce!).
Le parole dei suoi parenti per cercare di ricordargli le istruzioni avute, servirono a ben poco, come a poco servì la pazienza della ragazza che cercò di cambiare argomento di conversazione parlando di buoi, di campi da arare e di raccolti; il giovane ascoltava attentamente, iniziava un discorso, ma poi improvvisamente, ricordandosi dei confetti, tornava a battere la mano sulla tasca dei pantaloni dicendo: - Ecche tienghe lu dulce! -
L'epilogo della vicenda si è perso nella storia. Non è dato sapere se il matrimonio fu poi concluso o no, una cosa però sembra che sia certa: il dolce (anzi, lu dulce) fu ben presto mangiato, forse per permettere al fidanzato di poter parlare finalmente d'argomenti più interessanti. |