Uno dei problemi e forse il maggiore che i nostri compaesani emigrati in un altro paese hanno dovuto affrontare, è stato sicuramente quello della lingua. Molti di loro, infatti, tornando in Abruzzo dopo molti anni, soprattutto dall’America, parlavano un idioma che era un miscuglio di abruzzese arcaico, italiano e inglese. Fu proprio uno di questi nostri compaesani, tornato da qualche giorno a Fallo dagli USA o dal Regno Unito, che raccontando di un litigio avuto con una persona, pronunciò la frase che è giunta poi fino ai nostri giorni.
Non si conoscono i motivi della discussione, ma sembra che i due litiganti se ne stessero dicendo di tutti i colori e che il nostro compaesano dopo diversi appellativi in dialetto abruzzese incomprensibili per l’altro contendente se ne fosse uscito con l’unico insulto in lingua inglese da lui conosciuto, “son of bitch” con l’aggiunta di “i t’abbotte di mazzate” (io ti gonfio di botte). Sentendo chiamare in causa la mamma e ignorando la seconda parte della frase che, come al solito non aveva capito, l’avversario passò dalle parole ai fatti venendo alle mani. Fu a questo punto che il nostro compaesano si rese conto del guaio in cui si era cacciato perché raccontando il seguito della drammatica vicenda pronunciò la frase: “I nin li sapeve ca culle ere nu faitatore e mi n’ha date tante di chille mazzate chi ancore mi l’aricorde” (io non lo sapevo che quello era un faitatore e mi ha dato tante di quelle botte che ancora le ricordo).
A questo punto credo che sia giunto il momento di tradurre il termine “faitatore”. Tale “neologismo” deriva (udite, udite!) dall’inglese “to fight” (combattere, che si pronuncia, appunto, fait). Insomma, il nostro era venuto alle mani con un combattente che alla fine aveva “abbuttate di mazzate” lui.
Attenzione però, non confondete il termine “faitatore” coniato dal nostro compaesano con l’altro molto simile di “fatiatore”. Quest’ultimo, com’è noto, indica una persona dedita al lavoro, un lavoratore. |