È un episodio che tratta un argomento certamente non dei più raffinati, ma, visto il contesto, lo narro soprattutto perché rappresenta uno spaccato della vita sociale del nostro paese di molti anni fa.
Erano tempi in cui nelle case non esistevano stanze da bagno e per risolvere i problemi di tipo igienico ci si attrezzava come meglio si poteva. Le soluzioni erano delle più svariate e molto dipendeva dalla disponibilità e dalla fantasia dei vari paesani i quali molto spesso si scambiano addirittura i suggerimenti in merito.
Generalmente le emissioni liquide erano gestite in casa per mezzo del solito pitale che era poi svuotato nelle ore notturne o serali lanciandone il contenuto dalle finestre con i risultati prevedibili. Si narra però anche di qualcuno che si era organizzato in maniera completamente diversa. Chi ne aveva la possibilità riservava una zona della stalla a tali incombenze utilizzando tale cantuccio per le deiezioni diurne, mentre di notte aveva sempre a disposizione l'orinale. A chi era negata tale possibilità o nei mesi più freddi, in cui non era del tutto piacevole uscire da casa, il pitale era l'unica alternativa che restava. È rimasta negli annali del nostro paese la storia di una famiglia che svuotava tale contenitore in un grosso bottiglione di vetro sbeccato posto sul terrazzino di casa che poi, quando era pieno, era svuotato piegandolo su un fianco. Il racconto dei vicini di tale famiglia era molto ricco di particolari ivi compreso il rumore emesso in piena notte dal bottiglione che si svuotava.
Per quanto riguarda invece i depositi "solidi", oltre al già citato angolo della stalla, nella bella stagione potevano essere utilizzati siti opportunamente individuati a tale scopo che erano usati anche in "notturna". Considerando però la mancanza di luce questi luoghi spesso creavano qualche problema d'intimità confermati anche dai molti racconti passati alla storia. Tali siti, non potevano, ovviamente, essere utilizzati nei mesi invernali per questo si preferiva, anche in questo caso, ricorrere al pitale. Erano tempi in cui a Fallo, in inverno, non mancavano le abbondanti nevicate seguite da gelate notturne ed era quindi naturale che tutto ciò che venisse a contatto con la neve si congelasse fino al disgelo primaverile. Immaginate quindi le condizioni delle strade all'apparire del primo sole.
La storia di seguito riportata narra proprio di un litigio tra due massaie del nostro paese, vicine di casa, che discutevano proprio a causa di alcune deiezioni comparse sulla neve in un mattino d'inverno.
La prima donna accusava la seconda di aver svuotato durante la notte il pitale contenente il materiale di cui sopra nei pressi di casa sua, mentre la seconda, con qualche problema di dizione, negava l'evidenza semplicemente ripetendo appunto: "Tutte nin è tatate miè, tutte nin è tatate miè!".
Per tutta risposta la prima la incalzava dicendo: "No, custe è lu tiè, picchè ajere tu si cotte li foglie e custe è a chilore di foglie!" (No, questo è tuo, perché ieri tu hai cotto la verdura e questo ha il colore della verdura!).
C'è da aggiungere, a discolpa dell'accusata, che a quei tempi, per via della scarsità di mezzi economici, la verdura era uno degli alimenti più consumati nelle famiglie ed era quindi impossibile stabilire l'autore del misfatto. E l'esame del DNA era ancora molto lontano.
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