IL GALLO E LA GALLINA
"Vicce, vicce, vicce! Titì, titì, titì!" È impossibile per chi ha vissuto a Fallo non ricordare questi versi di richiamo per le galline e per i pulcini, com'è difficile non rammentare il pollame che razzolava per le strade del paese quando ancora non esisteva l'asfalto.
L'allevamento delle galline insieme con quello dei conigli e dei maiali è stato fino a non molto tempo fa una delle maggiori fonti di sostentamento per le famiglie del nostro paese.
In quasi tutte le case esisteva "la stallette" (una piccola stalla) in cui tali animali erano accuditi ed in cui trovavano riparo. In particolare i gallinacei erano lasciati liberi di scorazzare nei dintorni delle case per poi essere ricondotte a sera, nel pollaio, facendole passare attraverso una buca. Spesso erano i volatili stessi che tornavano spontaneamente "a casa" e il padrone doveva soltanto prendersi la briga di contarli. Oltre ad essere contate, le galline venivano anche "attintate" per sentire se erano pronte o meno per l'uovo. Per far prendere agli animali l'abitudine a non allontanarsi troppo, alcune volte venivano loro legate insieme le zampe con un pezzo di stoffa appositamente preparato. Tale modo di operare era talmente d'uso comune che spesso, quando qualcuno aveva un modo di camminare non del tutto sciolto si era soliti dire: "Camine gnè 'na gallina 'mpasturate!" (cammina come una gallina con le pastoie!).
Anche il fatto di lasciare il pollame razzolare liberamente spesso creava qualche problema di convivenza tra gli abitanti del paese. Nel periodo della trebbiatura, ad esempio, i proprietari dei covoni non erano molto contenti del fatto che le galline andassero a razzolare "Sobbre a Carrusce" (sopra a Colle Rosso) poiché gli animali non si accontentavano certamente di beccare soltanto ciò trovavano in terra, ma spesso attaccavano anche le spighe pronte per la trebbiatura. Ne nascevano così furibonde liti e spesso a rimetterci erano proprio i malcapitati animali che erano talvolta presi a sassate ed azzoppati.
Il momento più bello per i bambini era, in ogni caso, quello della schiusa delle uova. La chioccia, durante la cova, veniva tolta dal pollaio e trasferita in casa, adibendo a sua dimora quasi sempre un tranquillo sottoscala dove poteva portare a termine la schiusa. Tale evento era atteso con una certa trepidazione dai più piccoli perché spesso n'erano loro stessi coinvolti aiutando il pulcino ad uscire dal guscio (a scugniè).
Naturalmente non tutti i pulcini erano sani e parecchi morivano dopo alcuni giorni, ma spesso si faceva di tutto per farli sopravvivere dando loro da mangiare del pane intinto nel vino. Questo tipo di trattamento andava condotto naturalmente con le dovute cautele e qualche volta si era soliti vedere dei pulcini arrancare dietro alla madre con passo tutt'altro che stabile. Da qui alla battuta "Pare nu pillastrielle 'mbrijeche" (sembra un pulcino ubriaco) indirizzato a chi aveva l'andatura traballante, il passo è breve.
Dopo la schiusa delle uova, i pulcini erano controllati uno ad uno: i maschi (cioè i futuri galletti) non erano molto ben accetti dal padrone perché non adatti a produrre uova. Spesso tra gli "allevatori" si assistevano a discorsi del tipo "Ha scugniete li pulcine?" "Eh! Ha scugniete, ma è quasi tutte gallitte!" con una faccia di rassegnazione come se in famiglia fosse capitata una terribile disgrazia. Naturalmente molti dei polli erano venduti o finivano in padella e, questi ultimi, erano sicuramente ruspanti, molto di più di quelli che si acquistano oggi in macelleria.
 
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