MPUTERE
Immusonito, contrariato, che si irrita per un nonnulla. Si tratta di un termine arcaico di cui non troviamo traccia nel corrispettivo italiano. È stato invece interessante la ricerca dell'etimologia della parola che sembra derivare, come spesso accade, dal latino o, meglio, da una frase latina: "Homo sum, humani nihil a me alienum puto" che letteralmente si traduce in "sono un uomo, non ritengo a me estraneo nulla di umano". In parole più semplici: nulla che sia umano mi è estraneo.
L'espressione è di Publio Terenzio Afro che la usò nella sua commedia Heautontimorùmenos (Il punitore di se stesso) del 165 A.C. In tale commedia, uno dei personaggi, Cremète, è invitato da Menedemo ad impicciarsi degli affari propri e Cremète risponde con questa frase che, nel contesto della commedia, si può tradurre come "sono un essere umano, e ritengo che tutte le cose umane siano fatti miei". La parola latina "puto" si traduce molto semplicemente in reputare, ritenere, ma ciò che la rende interessante nella nostra forma dialettale è l'uso che ne è fatto. Come può, infatti, chi si prende carico di tutto ciò che è umano e quindi anche dei problemi, vivere serenamente e non essere contrariato? Di fatto, "Stà mputere". Modi di dire: "Nin gni zi pò dice niente ca stà mputere" (non gli si può dire niente perché si irrita per un nonnulla);
"Auoje lu tiempe stà' mputere" (oggi le condizioni atmosferiche sono variabili).
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