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Dal Mali al Mississippi-(Feel Like Going Home) di Martin Scorsese 2003


Dal Mali al Mississippi (Feel Like Going Home) è un film documentario del 2003 diretto da Martin Scorsese. È il primo capitolo della serie di documentari " The Blues" prodotta dallo stesso Scorsese. Il film guarda alle radici della musica blues nel delta del fiume Mississipi e in Africa. Il chitarrista blues moderno Corey Harris si dirige a Senatobia, Missouri, e intervista il leggendario suonatore di fiffaro Othar Turner sulla sua veranda. Harris quindi viaggia fino al Mali, in Africa, dove parla con artisti come Ali Farka Toure, Habib Koitè e Salif Keita.


"Non riesco a immaginare una vita, la vita di nessuno, senza musica". Con queste parole Martin Scorsese apre il suo documentario The Blues - Feel Like Going Home, parte del progetto collettivo sul blues - promosso dal Senato degli Stati Uniti - di cui è ideatore e produttore. Dopo l'uscita nelle sale italiane del segmento di Wim Wenders, a Venezia sono stati presentati quattro nuovi capitoli firmati da Mike Figgis (Red, White & Blues), Marc Levin (Godfathers and Sons), Richard Pearce (The Road to Memphis) e, appunto, Scorsese. La passione del regista di Gangs of New York per la musica è di lunga data: basti pensare alle immagini memorabili dedicate a Woodstock o al concerto di addio del gruppo The Band (The Last Waltz), ma questo progetto sul blues ha nondimeno piacevolmente stupito. Alle basi del progetto la volontà di realizzare un fermo-immagine su questa musica prima che possa sparire definitivamente: «The Blues - ha affermato Scorsese - vuole essere un'occasione per celebrare una delle ultime espressioni artistiche indigene americane prima che svanisca, interamente inghiottita dalla generazione del rock and roll a cui il blues ha dato origine. Sperando di non arrivare troppo tardi». Il documentario vede ben presto avvicendarsi a Scorsese, che introduce con un excursus sulle origini del blues e sui suoi padri fondatori, il musicista Corey Harris in qualità di narratore: questo repentino cambio di ocularizzazione lascia inizialmente interdetti, ma discende probabilmente dalla volontà del regista di non interferire con la sua presenza «là dove le radici non producono ombra», ovvero in Africa, luogo di nascita del blues. Dopo una prima parte forse connotata eccessivamente in senso scientifico - con l'omaggio ai grandi bluesman che appare un po' ingessato - l'approdo in Africa valorizza, però, lo sguardo antropologico di Scorsese: gli incontri del suo alter-ego Harris con Salif Keita e Ali Farka Touré si costruiscono sul dialogo - inteso nell'accezione più profonda - e sono costellati da mini-esecuzioni a determinare una comparazione tra le rispettive forme d'espressione di struggente bellezza. Una comparazione tra "separati alla nascita" perché come afferma Ali Farka Touré: «Non esistono neri americani, ma africani in America». Il documentario, girato interamente in digitale come gli altri capitoli del progetto, è impreziosito da rareesecuzioni di repertorio di Son House, Muddy Waters e John Lee Hooker che, intrecciandosi con quelle di Corey Harris, Willie King, Taj Mahal, Keb Mo, Otha Turner, Habib Koité, Salif Keita e Ali Farka Touré, danno vita a un lirismo diffuso che comunica allo spettatore quella nostalgia, quella tristezza fuggente e quel sentimento che sono l'anima del blues. A questo proposito, una delle sequenze più commoventi è quella in cui troviamo Otha Turner, straordinario musicista-artigiano, il cui flauto con soli due fori riesce a riprodurre una incredibile varietà di suoni, e la figlioletta. La cultura che Otha incarna rischia di scomparire, pertanto affida alla bambina il compito di ereditarla e di testimoniarla, perché la luce fioca del blues non si spenga mai...


Come i griot del Mali, gli antichi progenitori del blues, lo sguardo di Scorsese è quello di un cantastorie itinerante: dal Mali al Mississippi fino alla sala cinematografica.