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Scoppia di troppa ed esibita poetica del quotidiano il film del regista padovano, potenziale 'cinema d'acqua' che è invece arido e chissà cosa ne resterebbe senza la fotografia di Luca Bigazzi. Dietro il suo apparente silenzio la pellicola invece è sovraccaricata anche nella figura fuori controllo di Giuseppe Battiston e rischia di tenere in secondo piano il tema dell'immigrazione e l'incrocio di due solitudini.


Restano le nebbie di Chioggia, le maree della fotografia di Luca Bigazzi che prova a far respirare lo spazio. Lo sguardo di Andrea Segre, che viene dal documentario, si posa spesso sui dettagli (il riflesso dei vetri di un tram e sulla laguna, i gabbiani che volano vicino le barche) a volte anche ripetuti come per esibire la sua solida formazione. Dietro il suo apparente silenzio, Io sono Li è invece un film assordante, appesantito anche dalla colonna sonora che vuole quasi avvertire lo spettatore quando ci sono momenti di umanità intensa, in una scrittura che cita Marco Polo, non evita forzature come quelle nel rapporto tra Li e il suo padrone e sovraccarica anche la figura di Giuseppe Battiston, insolitamente fuori controllo.


Lei, Li, in attesa dell'arrivo del figlio di 8 anni, va da Roma a Chioggia dove va a lavorare come barista in un'osteria. In questo posto tra i clienti c'è Bepi, un pescatore di origine slave ma che vive lì da oltre 30 anni chiamato 'il Poeta'. La loro amicizia però è vista con sospetto dagli abitanti del luogo. Il cinema di Segre potrebbe lambire le zone del bel Mazzacurati d'esordio, quello di Notte italiana, ma poi scivola dalle parti dell'Angelopoulos più imbolsito, dove la 'poetica del quotidiano' diventa così ridondante da mettere in secondo piano anche le forme del cinema sull'immigrazione e il ritratto di due solitudini che s'incrociano, più vivo nei giochi di sguardi che nei dialoghi che spesso vanno a ripetere stati d'animo già rivelati.


Io sono LI, malgrado le sue apparenze, sembra chiudersi proprio dentro il luogo dell'osteria. Lo spazio fuori diventa solo punto di passaggio da fotografare, quasi una contemplazione al limite dell'autocompiacimento formale. Ed è forse paradossale che quello che poteva essere potenzialmente un 'film d'acqua' resta così arido, trattenuto nei riavvicinamenti e negli addii. Un ciclo della vita che vortrebbe scorrere nella sua naturalezza. Poi ci pensa il poeta Qu Yuan, con le sue candele accese nell'acqua a rivelarci quanto questo modo di guardare l'esistenza possa essere profondo anche con le parole di Rade Serbedzija, che nella sua filosofia e nelle sua esperienza rischia di andare ancora verso Angelopoulos avvicinandosi al tassista che parla alla neve in Lo sguardo di Ulisse. Parole pensate, evocazioni. E Io sono LI scoppia.

Il trailer del film: http://www.youtube.com/watch?v=fB6aNVyLqx8

Francesco Castracane