Giacomo Caldora, nato a Castel del Giudice nell’anno 1368, sposò Rita Cantelmo; egli possedeva, tra l’altro, Anversa, Fallo, Monteodorisio, il ducato di Bari, il marchesato di Vasto, molte baronie urbane ed alcune contee (tra cui Agnone, Palena ecc.). Possedeva, insomma, una compagine di circa 200 feudi urbani, oltre ai rustici, ai benefici mobiliari delle capitanerie, delle dogane ecc.
L’ufficio di Gran Contestabile gli dava, da solo, un introito di 8000 ducati mensili.
Troviamo notato che fu egli stesso che nel 1421, fortificò Campo di Giove e che, proprio in quell’anno, il castello assunse tale nome.
Giacomo non volle assumere titoli, contentandosi solo del proprio nome; ma evidentemente aspirava più in alto, infatti, non tollerò alcuno al di sopra di sè.
Nel 1439, quando morì di "goccia", erano già in corso le lotte tra Angioini ed Aragonesi.
Si stava ancora dando sepoltura a Giacomo Caldora nella badia morronese, quando arrivò Sarro Brancaccio mandato dal re Renato d’Angiò, che, nel dare le condoglianze al figlio Antonio, gli presentò il diploma d’investitura di tutti i beni paterni.
Antonio prese quindi le parti degli Angioini nella lotta contro Alfonso V Il Magnanimo venuto dalla Spagna (sovrano del Regno di Napoli, aragonese). Vinto da questi in Sessanio e Carpinone il 28 giugno 1442, quel re, soprannominato appunto "Il Magnanimo" gli conservò la vita, la libertà e tutto il feudo composto dai contadi di Pacentro, Palena, Monte di riso (Monteodorisio), Archi, Trivento, con diciassette terre.
Il Muratori scrive che Antonio fu rimesso in libertà "con quattro bicocche a lui concedute in Abruzzo".
Al re Alfonso nel 1458 successe Ferrante I, ma Antonio Caldora seguitò a parteggiare per i d’Angiò. Questi ebbero vari successi, specialmente nella battaglia di Sarno (nell’attuale Campania) del 1460. Tuttavia gli Aragonesi riuscirono a riprendere il sopravvento e riconquistare tutto il regno. La battaglia di Troia (nell’attuale Puglia), 1462, fu decisiva per gli Aragonesi, e Giovanni d’Angiò se ne fuggì in Francia.