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"Li ruve": croce e delizia dei contadini. Chi ha frequentato anche soltanto per pochi anni la vita di campagna del nostro paese, sa quali e quante cruente battaglie sono da sempre state ingaggiate tra i coltivatori e quest'invadente pianta che, nonostante i continui tagli, continuava imperterrita ad impossessarsi del terreno lavorato. È anche vero che poi i suoi frutti erano utilizzati per scopi mangerecci (consumati appena colti dalla pianta o utilizzati per farne marmellate), ma questo, quando la pianta occupava le zone messe a coltura i contadini sembravano non ricordarlo.
E chi non rammenta "lu scuacciamurièchele" (letteralmente, schiaccia more)? Era una specie di frullatore di tipo artigianale formato da due canne una dentro l'altra. A quella esterna, più larga, era praticato un foro nella parte terminale. Le more erano poste all'interno di essa e, con quella più piccola, venivano schiacciate. Il succo, che fuoriusciva dal foro posto all'estremità, era o raccolto in un bicchiere o succhiato direttamente dalla canna stessa.
In tempi non recentissimi la raccolta delle more spesso era finalizzata all'alimentazione dei maiali anche se, considerando i tempi, non si sa quante n'arrivassero alle bestie e quante fossero mangiate da coloro che le raccoglievano. Probabilmente è di quei tempi il detto che recita "Doppe tante paripazzaje, mi so magniete 'na muiaje" (dopo tante peripezie ho mangiato una mora) riferito al fatto che finalmente dopo tanto tempo una questione particolarmente complessa si fosse risolta in maniera positiva. In questo detto, una particolare attenzione va prestata alla "licenza poetica" legata alla parola muiaje (mora) di probabile importazione dai paesi limitrofi in luogo del fallese "murièchele" e qui utilizzata proprio per fare rima con il verso precedente.
Sicuramente il selvatico rovo creava tanti problemi ai contadini, ma li ripagava con i suoi saporiti frutti. C'è un famoso detto (già citato nella sezione proverbi di questo sito) che recita: "Quant'e' bbone quann'e' fatte li murièchele di li fratte" (quanto sono buone quando sono mature le more dei cespugli), e che conclude "Quann'e' pronte fìchere e uve, li murièchele nin li vò nisciune" (quando sono pronti fichi e uva, le more non le vuole nessuno). |
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Il rovo
(Rubus hispidus)
Famiglia: Rosacee
Distribuzione e habitat: vegeta dalle zone più basse del Lauretum sino al Fagetum, cioè dal mare ai 1500-2000 metri di altitudine. Vive nel folto del bosco, lungo i sentieri, nelle aree abbandonate, lungo le macerie, lungo le scarpate di strade e ferrovie, nei coltivi dismessi che inizia a ricoprire di vegetazione essendo pianta pioniera. Vegeta in tutta Italia.
Caratteristiche: Arbusto di 1-2 metri, appartenente alle Dicotiledoni. Si presenta molto aggrovigliato perché dato da molti fusti, tutti di diametro molto contenuto ai quali annualmente vanno ad aggiungersi nuovi getti grazie alla sua grandissima capacità di emettere polloni. Questi ultimi crescono prima eretti e solo successivamente cominciano ad arcuarsi. E' dalla parte arcuata che, l'anno successivo all'emissione dei getti, originano le gemme a frutto, che poi daranno i fiori e quindi i frutti. La parte arcuata può incurvarsi così tanto da toccare il terreno e allora in questo punto il Rovo può emettere radici. Non sempre i nuovi getti hanno andamento eretto in quanto ci possono essere fusti ad andamento prostrato cosicché la varietà di forme riscontrabili è notevole. Il fusto ha 5 costole rilevate lungo le quali ci sono spine robuste, rossastre, diritte o un po' arcuate verso la punta giallastra, lunga 4-5 mm. L'aspetto intricato del Rovo è accentuato dalla presenza di spine anche sulle infiorescenze risultandone un ammasso di vegetazione impenetrabile. Le cinque facce tra le costole possono avere superficie piana o scanalata. Fiorisce da Maggio a Luglio.
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Corteccia: violacea, pruinosa cioè ricoperta da sostanze cerose che si staccano con le dita.
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Foglie: caduche, alterne od opposte, imparipennate. Queste sono con picciuolo breve e schiacciato ad eccezione di quella centrale che ha il picciuolo di circa 2 cm che si prolunga nell'asse della foglia. Esse sono ellittiche od obovate, a base rotondata, con apice acuminato e margine seghettato.
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Fiori: Comparenti dopo le foglie. Sono ermafroditi e riuniti in racemi, corimbi o pannocchie terminali, con molti fiori, lunghe 4-20 cm, con asse centrale e peduncoli pelosi. Corolla con diametro di 2-3 cm, data da 5 petali separati, bianchi o rosa, più o meno tondeggianti, diametro di circa 1 cm, un po' arricciati e spiegazzati.
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Frutti: (More). Sono falsi frutti, verdi da acerbi, quindi rossi e infine neri a maturità. Derivano dall'ingrossamento del ricettacolo sul quale sono attaccate delle piccole drupe globose di color nero contenenti ciascuna un nòcciolo duro e sferico. Commestibili.
Utilizzo da parte dell'uomo: Dai frutti si ricavano marmellate e confetture. Sono inoltre molto utilizzati in pasticceria e gelateria. I frutti freschi, ma anche succhi e sciroppi, hanno blande proprietà astringenti intestinali e per questo vanno bene nel trattamento delle diarree dei bambini perché ben accetti da essi. Questa proprietà astringente li fa impiegare anche nel trattamento delle emorroidi soprattutto come coadiuvante. Per uso esterno si impiegano invece le foglie in decotti di 5-10 grammi di foglie secche per 100 ml di acqua. Si fanno sciacqui, gargarismi, irrigazioni, lavaggi, applicazioni di pezze imbevute su cute sofferente, mucose della bocca e intime, emorroidi, ecc. In farmacia sono utilizzati come aromatizzanti.
Curiosità. L'utilizzo dei frutti di Rovo a fini alimentari nelle popolazioni antiche è testimoniato dal ritrovamenti in alcuni siti lacustri di ammassi di semi di questa pianta. Dell'uso nella medicina popolare nell'antichità vi sono testimonianze di Teofrasto, Dioscoride, Plinio, ecc. :
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